Solo un samaritano della strada ha aiutato l'eroe in difficoltà
La Gazzetta dello Sport, domenica 7 giugno 1987
SAPPADA - Le dolomie sono relitti pietrificati di meravigliosi fondali marini. Qui duecento milioni di anni fa viveano lussureggianti colonie di coralli. Piccoli bivalvi, come la «Claraia clarai», hanno lasciato la loro impronta nella pietra. Oggi le Dolomiti sono piantate sul verde superbo degli abeti e dei larici. I prati sono chiazzati di mille fiori: la malva e i ranuncoli, i botton d'oro, le genzianelle, i nontiscordardime, le eleganti aquilegie, che assomigliano a lanterne progettate dal raffinato Gaudì. Ma forse è rimasto qualcosa di quell'antico mare.
Il grande tentacolo di un calamaro gigante si è allungato sopra i fiori. Il braccio invisibile e viscido del tradimento e della paura ha stretto alla gola Visentini con ventose formidabili e lo ha trascinato nel gorgo della sconfitta.
Un dolore lancinante
L'agonia di Visentini, spietatamente ripresa dalla Tv, è un lungo sorprendente momento di dolore puro, lancnante. Il capovolgimento è stato totale, incredibile perfino per gli occhi dei testimoni. Un re troppo sicuro del suo scettro è finito nella polvere in un attimo: nove chiloemtri in una corsa che è quattrocento volte più lunga sono un breve istante. La caduta della maglia rosa si è cmpiuta con crudezza inarrestabile e fatale, degna di una tragedia greca.
I cuori degli uomini della strada - e talcolta le mani - hanno cercato di sospingere in lto il campione in asfissia. Inutilmente. Il destino di Visentini si è compiuto secondo il volere degli dei. Non sapiamo se egli si sia reso colpevole di un peccato di «ibris», la superbia di Eschilo, che provoca l'ira divina e la caduta. certamente non è riuscito a fare di Roche un alleato e ieri è giunto tremendo il giorno della vendettaper il semidio irlandese dagli occhi azzurri. Corti ha parlato di «lotta fratricida». Altri corridori si sono detti increduli davanti ai colpi di spadone che gli uomini della Carrera si sono scambiati. Già da giorni nella fortezza di Boifava c'era un cavallo di Troia. Ieri la solitudine orrenda di Visentini è un grande atto d'accusa. Visentini è andato a mrire senza l'aiuto di un compagno. È colato a picco senza che nessuno tentasse di dargli un input per invertire il verso degli eventi.
Lo scettro della polvere
In questa sede non ci interessa discutere se Roche, stupendo purosangue, avesse o no diritti al trono. Di certo le azioni che ieri ha messo a segno appartegono a un guerriero che aspirava alla corona, anche al di là delle sue forze. Il suo scudiero Schepers non ha degnato Visentini di uno sguardo e lo ha lasciato al suo destino. Solo un samaritano di strada, il biondo Santaromita ["Santoromita" nell'edizione originale, nda], soprannominato il «Cappellano», gli è stato accanto, quasi per concedergli il dono dell'estrema unzione.
Il drmma di Visentini è stato di un'intensità assoluta, crudelmente bello. Le lacerazioni che sono esplose hanno dato alla corsa l'aspetto di una battaglia. Ma per tutto il giorno ieri l'asfalto è stato deserto di baci. La resa di Baronchelli al via sembrava un segnale.
Deserta di baci era rimasta anche la curva di Portogruaro, dove inizia via Antonio Bon, in cui aspettava Antonietta, la moglie di Argentin, i riccioli lunghi sulle spalle e il pancione a luna piena per l'erede che sta per arrivare. L'arcobaleno del campione del mondo era afilato via sull'altro lato della strada prigioniero del gruppo. La corsa non lasciava spazio agli affetti.
Prigioniero del gruppo
Lungo la strada vecchie nonne erano ancorate ai capitelli, pronte a pregare, quasi sapessero. Doddici amatori del S.C. Gentlemen, partiti da Trieste, pedalando salivano, salivano, capelli bianchi al vento, «per salutare la vittoria di Visentini».
Leggevano sull'ultima rampa una frase in rima: «Dove crescono i pini quello è il regno di Visentini». Quelle speranze, quello striscione un'ora dopo erano spariti nel gorgo.
Claudio Gregori
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