HOOPS MEMORIES - Il destino beffardo del predestinato


Come ogni confronto fra epoche, anche la discussione su chi sia stato il più forte giocatore universitario di tutti i tempi è inutile e non avrà mai fine. Ma con tutto il rispetto per altre leggende quali George Mikan, Bill Russell, Lew Alcindor (il futuro Kareem Abdul-Jabbar), Bill Walton e Larry Bird, è dura non votare per “The Big O”, al secolo Oscar Robertson della University of Cincinnati.

Da stellina delle high school, prima di andare al college aveva guidato la Crispus Attucks a 45 vittorie consecutive e due titoli statali. Il sogno di una vita, per Oscar, era quello di indossare il biancorossio della Indiana University, ma quando il fratello maggiore Bailey, uno dei migliori giocatori dello stato, fu scartato dagli Hoosiers perché Indiana aveva già ammesso un giocatore nero, il Robertson più piccolo decise che al college sarebbe andato altrove.

Quella ferita lo segnerà per sempre, e ne marcherà l'intera esistenza, poi votata all'emancipazione degli afroamericani e alla lotta per i diritti sindacali dei giocatori: si deve soprattutto a lui, che non ne godette perché arrivò subito dopo il suo ritiro, la free agency nella NBA.

La leggendaria topica di Indiana fu però la salvezza di Cincinnati, college che mai aveva reclutato giocatori neri e che sin lì aveva sempre navigato in fondo al ranking nazionale. Ma l’arrivo di Big O cambiò tutto. Con lui in campo, coach George Smith si ritrovò fra le mani una corazzata inaffondabile.

L’impatto di Robertson nel college basketball fu immediato. Nel 1958, da sophomore (ma alla sua prima stagione universitaria: allora i freshmen non potevano giocare con la varsity, la prima squadra, in competizioni ufficiali), fu subito Giocatore dell’anno, e capocannoniere a oltre 35 punti di media, davanti - e di parecchio - a Elgin Baylor di Seattle e Wilt Chamberlain di Kansas. I Bearcats vinsero il loro primo titolo nella Missouri Valley Conference e chiusero sul 25-3, ma poi uscirono nei Midwest Regionals del Torneo NCAA.

L’anno dopo, Robertson rivinse la classifica marcatori e Cincinnati andò sul 26-4, bissando il titolo di conference. Stavolta però i Bearcats arrivarono alla Final Four, ma persero in semifinale con la California futura campione.

Nella stagione da senior, Big O fu per la terza volta in fila capocannoniere e Giocatore dell'anno e i suoi Bearcats, chiudendo a 28-2, centrarono il loro terzo titolo di conference consecutivo. Ma come dodici mesi prima, Cincy perse la semifinale NCAA contro i Golden Bears, capaci di tenere Robertson a soli 18 punti. Oscar Robertson terminò così la carriera universitaria senza aver vinto il titolo, ma le sue credenziali come miglior giocatore universitario di tutti i tempi restano inattaccabili.

Nelle tre stagioni con la varsity, a 33.8 di media Oscar aveva stabilito il record NCAA per punti segnati in carriera. Al Madison Square Garden di New York, Cincinnati strapazzò (118-54) Seton Hall e Big O (56 punti) segnò, da solo, più di tutti gli avversari messi insieme. Per chi abbia anche solo la tentazione di ritenerlo una point guard egoista, capace di pensare più alle proprie cifre che ai compagni, si tenga presente che è suo il record NCAA per assist in carriera (7 di media a partita) come suoi sono altri 13 primati NCAA e 19 di ateneo.

In quanto ai professionisti, prima del Russell Westbrook ai Thunder 2016-17 era stato lui l'unico a chiudere la stagione NBA con una tripla doppia di media: 30,5 punti, 10,1 rimbalzi e 9,7 assist (top della lega) nei Cincinnati Royals 1961-62. 

In tre anni con lui i Bearcats chiusero sul 79-9, imbattuti in casa e senza scendere sotto il quinto posto nel ranking nazionale. Robertson non vinse mai il titolo NCAA (che invece conquisterà da pro' nella NBA, nel 1971, ai Milwaukee Bucks con Lew Alcindor), ma le sue prodezze avevano permesso a Cincinnati di reclutare un roster che ne vincerà due consecutivi subito dopo il suo approdo nei pro'. Scherzi del destino a un predestinato.
CHRISTIAN GIORDANO

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