Claudio Cresseri, un Visenta che non ce l’ha fatta (e forse neanche gl’importava)


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per RAINBOW SPORTS BOOKS ©

«Never let the truth get in the way of a good story.»

– Mark Twain

Il «fisico della madonna», di cui tanti m’avevan parlato, ce l’ha tuttora. Eccome. La stretta – pardon: la stritolata – di mano, me lo conferma. Pure la trascinante, istrionica simpatia gli è rimasta, e ti pervade. Ti contagia. 

Narra la leggenda che Claudio (Caio) Cresseri sia stato, da dilettante, nella Mariani Calì, l’alter ego di Roberto Visentini. Mattocchio e forte quanto lui, e a differenza del compare tutt’altro che fermo in volata. Un Visenta che non ce l’ha fatta, forse anche perché, magari, in fondo in fondo, neanche gl’importava poi tanto. S’è sposato presto il Cresseri, ed è per quello che col ciclismo ha smesso (o perlomeno così dice lui). Non con la bici, però: ancora oggi settanta-ottanta chilometri sul lungolago, il sabato o la domenica, con gli amici. 

Dopo otto mesi d’inseguimento telefonico e di suoi iniziali, pur cortesissimi, dinieghi finalmente lo raggiungo in un tardo pomeriggio nella sua ditta di costruzioni e ristrutturazioni edili. E ancora non si capacita del perché fra i tanti più o meno illustri ex talenti bresciani degli anni Settanta io sia andato a intervistare lui. Facile, Caio: perché di te, come del Visenta, si son dette e scritte tante di quelle balle da costruirci una nazione. La nostra. 

La «rivalità molto accesa», e in realtà mai davvero esistita: in sala riunioni, sulla parete di fronte a una mini collezione di suoi trofei, Claudio ha appeso una splendida gigantografia di lui e Roberto giovanissimi in maglia biancorossa della Mariani Calì. La squadra che poi diventerà, colori sociali compresi, la Inoxpran progenitrice della Carrera. 

Pupilli del maestro telaista Piero Serena, a sua volta guru e mentore di quel Mino Denti che alla Mariani Calì fu molto più che direttore sportivo, Cresseri e Visentini tecnicamente e fisicamente erano simili: forti in salita e a cronometro; perfetto in sella e dalla sparata micidiale il Visenta, più veloce e tatticamente anarchico il Cressy. Occhi languidi e capelli al vento (per Roby non solo quelli: al vento lui ci ha corso una vita), entrambi troppo belli per l’immagine stereotipata che si aveva allora del corridore, tutto fame, sudore e fatica, e giù di bici sempre in canottiera e ciabatte. 

Quante balle. 

Il Visenta e il Cresseri gemelli diversi, si assomigliavano invece nel carattere, e difatti come «tutta ’sta rivalità» non c’era neanche un «feeling particolare». 

Gli aneddoti-bufala invece, quelli sì, si sprecano. Da sempre.

La più grossa, quella del «Cresseri che, in fuga in cima alla salita di Lodrino con un paio di minuti sui migliori (tra cui il Visenta), si fermò mangiò un panino e si fece riprendere. All'arrivo Cresseri secondo, Visentini primo. Mai successo. In realtà fu il loro diesse Denti a fermare Cresseri.
La più assurda, ripresa e copia-incollata a catena sul web, quella del Cresseri «che lasciail ciclismo quando capisce che, per passare professionista, avrebbe dovuto fare una cosa mai fatta nelle categorie inferiori: allenarsi». 

Ecco perché ti ho inseguito per otto mesi, Caio. 

«Mai rovinare una bella storia con la verità», recita un mantra tabloidista oggi tanto in voga. Mark Twain era un romanziere, e non solo poteva ma doveva permetterselo. Il cronista sportivo, per passione prima ancora che per mestiere, no: la storia, pur verosimile, non sarebbe più così bella.

“Edil Faraglione”
Rezzato (Brescia), lunedì 17 dicembre 2018

- Allora, Claudio, dimmi un po’ di quello là con te nella gigantografia qua nel tuo ufficio.

«Eh, è il nostro amico, quello». 

- Eri più forte tu, eh? In volata, di sicuro.

«Macché più forte io… Nooo».

- Chi dei due era più mattocchio, tu o il Visenta?

«Mattocchio in che senso, in senso buono?».

- In senso buono.

«In senso buono, forse ero io…».

- Perché?

«E che ne so io… Non lo so». [ridiamo, nda]

- Cominciamo bene…

«Forse perché avevo diciannove anni, capito?».

- O forse perché eri troppo bello…

«Ma no…».

- Bello, era bello anche Roberto, però…

«Eh be’, sì. Eravamo dei bei ragazzini, infatti». 

- È vero che alla Mariani Calì avevate i due corridori più belli e il più brutto, il povero Ferracina?

«Giorgio Ferracina? “Janssen”. Janssen: era soprannominato Janssen…

- Perché, aveva dei tratti olandesi come Jan?

«Portava gli occhiali…».

- I due più belli e il più brutto, la battuta non è mia. È di Mino Denti, il vostro diesse di allora. 

«No, non è che fosse il più brutto, però diciamo così…».

- …il meno bello.

«Il meno bello di tutti, dai…». 

- E tu, perché “Caio”? È un diminutivo? 

«Il diminutivo di Claudio. Mi chiamavano Caio anche quando andavo a scuola».

- Pensavo fosse un nomignolo che ti eri dato tu.

«No-no-no. Ma perché… io ti voglio chiedere una cosa, posso chiederti una cosa?». 

- …il perché sono qua?

«Perché sei qua? Proprio da me quando ci sono…».

- Io sono attratto dal talento. Se poi è multiforme come il tuo, è meraviglioso. Più forte il corridore o il pittore?

«Dopo ti faccio vedere cosa faccio. Io ho sempre avuto passione…».

- E poi c’è un’altra cosa. Volevo fossi tu a raccontarmi la tua storia, e non solo perché da juniores e da dilettanti eri in squadra con Visentini. Ah, il Cresseri, gran talento ma non aveva voglia... Io alle etichette, specie se facili, non ho mai creduto. 

«Tutte balle». [gli squilla il cellulare, nda]

- Hai messo come suoneria “The Final Countdown” degli Europe, un pezzo dell’86.

«Eh… è mica bella, eh?».

- Sei un pezzo grosso qua, Claudio. Il telefono squilla sempre. Senza il capo non si fa niente…

«Sono i miei fratelli…».

- Quanti siete?

«Siamo in sei».

- Lavorano tutti qui in ditta?

«No, solo i tre fratelli maschi [Claudio è il maggiore, poi Piero e Bortolo, nda]».

- Avete messo su una bella impresa. Ristrutturate e basta?

«No, ristrutturiamo e costruiamo: cinquanta e cinquanta, cinquanta percento per conto nostro e cinquanta per clienti, su appalto». 

- E le cose vanno bene?

«Sì, dai. Ci son stati dei periodi un po’ duri qualche anno fa, si lavorava poco. “Poco”: noi abbiam sempre avuto…».

- Hai sempre fatto questo lavoro?

«Sempre, anche quando ero ragazzino, sì…».

- È anche per quello, quindi, che hai messo su e mantenuto ’sto fisicone… [ride]

«Guarda che io, ioooo, vado in palestra da una vita, non da ieri sera. Tutte le mattine».

- Prima di venire al lavoro?

«Sempre. Dieci alle sette io sono qua alla New Fitness, ma non ci sto tanto, guarda, ci sto…».

- …un’oretta?

«Ma neanche. Quaranta minuti. Faccio tutto quello che devo fare poi…».

- …vieni al lavoro bello carico. Prima dicevi “tutte balle”. Quali balle? Che non avevi voglia di allenarti, che eri un po’ un mattocchio? Tutte balle in che senso?

«Se sei un ragazzino, mi allenavo anch’io come tutti gli altri, non è che facessi delle cose particolari».

- Ci hai mai pensato sul serio a diventare professionista? O hai capito subito che non era la tua strada?

«Ma, guarda: avevo passione della bicicletta, sennò [il ciclismo] neanche l’avrei fatto. Non lo so, erano tempi… non lo so, non lo so… Non so il motivo, cioè se avevo la voglia di diventar professionista. Se ne sentivano di tutti i colori a quell’epoca, e poi non si passava professionisti così facilmente come magari può succedere adesso, hai capito?».

- Forte, però, eri forte…

«Forte… Mi difendevo. Sai cosa c’era? Che forse ero convinto nelle cose. Ero convintodi andar forte, magari neanche ci andavo così forte, hai capito?».

- Beh, insomma: io con Mino Denti e compagnia ho parlato…

«Ah, il mio amico Mino: lo conosci bene?». 

- L’ho intervistato un paio di volte. E in bicicletta mi ha risistemato lui. Tutti gli errori di posizione e di pedalata che avevo, le misure giuste: tre millimetri qua, due là; così a occhio, eh... Tutto con calibro e a mano, senza computer. È come un artigiano: vederlo lavorare è uno spettacolo.

«Sì, la gamba che va fuori… il Mino, guarda, mi ricordo all’epoca – perché stiam parlando di quarant’anni fa – aveva non una marcia ma forse anche due rispetto agli altri».

- Anche lui, come te, era un pupillo di Piero Serena. La (vecchia) scuola è quella.

«Sì, noi andavamo sempre là. Andavamo sempre là con le biciclette. Non era come adesso. Si andava là con il tubolare a spalle, e lo davamo alla “nonna”. Hai sentito parlare della mamma di Piero Serena? Aggiustava i tubolari. Aveva sempre un mucchio di tubolari, li aggiustava tutti. Li aggiustava a Michele Dancelli a Franco Vianelli. Lì nella bottega c’era la mamma, che in pratica assisteva il figlio: aggiustava, faceva…».

- Tu come ti sei avvicinato al ciclismo? Quando e come hai capito che andavi forte, staccando gli amici?

«Con gli amici. La mia prima squadra era la Libertas, è l’unica maglietta (di lana, rossa, con scritta bianca sul petto, nda) che mi è rimasta».

- Quella della Mariani Calì non l’hai più? È un delitto, sei un assassino: era bellissima.

«Era bellissima. L’ultima l’ho regalata a un amico in città, dove sto facendo un cantiere adesso. Per sbaglio mi è saltata fuori una tuta della Mariani Calì. Gliel’ho regalata non tanto tempo fa, un mese fa. No, non ne ho più di magliette. Ho quella della Libertas».

- Togliamoci subito il dente, i due famosi aneddoti: uno, quello del panino che ti saresti fermato a mangiare seduto su un sasso in cima a una salita dopo che in fuga avevi staccato tutti…

«Ma va’…».

- È una balla? Lo sapevo…

«Ma quale panino, sul San Michele… L’ho letta anch’io quella puttanata lì». 

- È una puttanata?!

«Puttanata, Christian… [ridiamo] Non so neanche chi l’ha messa in giro».

- Sai, dopo uno fa copia-incolla da un altro e così via.

«Ma sììì, poi ognuno ne attacca un pezzettino».

- E l’altro, al campionato regionale 1975 in provincia di Milano: eri stato in vacanza in Svizzera con la fidanzata e ti presenti al via solo perché Piero Serena ti dice che la corsa l’avrebbe fatta Visentini.

«Be’, quello sì…».

- È vero che Serena ti disse: “La squadra ci tiene, almeno ti schieri al via con la maglia di campione regionale, poi, visto, che non ti alleni da venti giorni, puoi anche ritirarti e la corsa la farà il Roberto”, e tu gli hai risposto: “Ci vado, ma non per ritirarmi, vado a vincere”? 

«Non lo so, non mi ricordo se ho proprio detto così…». 

- Sei scattato sul San Michele, la salita di Gardone Riviera dove abitava Visentini. E alla fine, pur devastato dai crampi, hai vinto. È andata così? Perché quella gara l’hai vinta…

«Ma non c’era il Visenta, comunque, eh. Non c’era Roberto, Christian! Sai chi c’era all’epoca? C’era Saronni, quello me lo ricordo, lui in gruppo c’era ma Roberto credo fosse su… si stava preparando per il campionato del mondo [juniores] di Losanna».

- E quindi Visentini a quella gara non partecipava?

«A me sembra che non ci fosse, non me lo ricordo. Ed era il provinciale, non il regionale… Lo confondono col regionale, perché sì, quello è vero: ho fatto un sacco di chilometri da solo…». 

- E quindi non è stato lì che hai battuto Visentini?

«Ero in fuga, mi ricordo bene, con Leali. Gli ultimi venti chilometri. E dopo lui si è staccato e io li ho fatti da solo. C’era il Leali. C’era il Bruno Leali con me, quello me lo ricordo, ma Visentini…».

- E l’altra bufala di cui mi parlavi è quella di quando eri in fuga in cima alla salita di Lodrino con un paio di minuti sul gruppo dei migliori (che comprendeva anche Roby); tu ti saresti fermato a mangiare un panino e ti saresti fatto riprendere: all’arrivo, primo Visenta, secondo Cresseri. È una balla anche questa?

«È una balla». 

- Io a quella del panino non ho mai creduto: troppo inverosimile.

«Forse confondono… Ecco, quella lì è un gara che ho vinto io, Visenta non so se è arrivato secondo o terzo… Facevamo il Brione. Non so se consoci il Brione di Gussago, il Polaveno: hai presente il Polaveno di Iseo? Fatto però da un altro versante. Forse hanno mischiato le due cose…».

- In questi aneddoti però ti ci riconosci? Numeri del genere li facevi? Tu che in fuga solitaria ti fermi, in cima alla salita, tiri fuori un panino…

«Ma sì, le puttanate le facevo, io… Però che mi fossi fermato a mangiare, noooo, daaaai…». [ride, e in quel “daaaai” prolungato vien fuori tutto il suo accento bresciano, nda]

- Raccontami del tuo rapporto con Mino Denti, in quello squadrone lì, la Mariani Calì.

«Con Mino Denti ero… Anzi, Mino per me ne ha fatte di robe… Anche quando avevo smesso, ho litigato, ho buttato la bici. Tutte ’ste cose…».

- Anche tu hai buttato la bici? Come il Visenta?

«Mino mi ha prestato la sua bici perché voleva che corressi ancora».

- Con chi avevi litigato e perché, te lo ricordi? 

«Con chi avevo litigato…».

- Tu eri un po’ fumantino, di carattere?

«Forse con qualcuno, diciamo così, dello staff della squadra, della Mariani Calì. Forse era per quello».

- Avete vinto un sacco di corse con quella squadra lì, era forte-forte.

«Eh, vincevamo una decina di corse…».

- Avete vinto centocinquanta corse, tra cui tre campionati lombardi: tu e Fracassi di Terza, Sigurotti di Prima.

«Certo. C’erano Giampietro Fracassi, Luigi Busacchini. Paolo Sigurotti era di Prima categoria, ha corso l’anno successivo [il 1977, nda] che io son andato a correre all’Itla, con Angelo Tosoni, Pietro e Vittorio Algeri…».

- È vero che egli anni Ottanta hai ricominciato a correre?

«Sì, con la Mobilbrix. Sì, ma l’avevo fatto così, tanto per…».

- Da dilettante?

«Sì, con i Prima e Seconda. Ho fatto anche delle gare, sì». 

- E dopo perché hai mollato? Non ti andava più?

«Mah… ormai mi ero sposato, Christian... Tu pensa che io mi son sposato a ventun anni, pensa che testa che avevo, capito? Poi, così, siccome la passione rimane, come penso a tutti, quando incominci da ragazzino, poi ti manca. E allora avevo voluto riiniziare a correre. Correvo contro Mario Chiesa, Enrico Zaina, contro tutta ’sta gente, loro erano dell’Inoxpran».
[Verosimilmente era l’87, l’unico anno in cui Chiesa e Zaina hanno corso insieme da dilettanti, nda]

- Sono andato a trovarli quasi tutti.

«Sei andato a trovarli? Io con loro non ne ho fatte tantissime di corse, ne avrò fatte sei o sette». 

- Corrado Donadio te lo ricordi?

«Certo che me lo ricordo».

- Tanti ti paragonavano a lui: grandi potenzialità ma non la testa giusta.

«Mah, io dico che dovrei iniziare adesso che di anni ne ho sessantatré. Cazzo, è dura, eh… Hai capito?». [ridiamo]

- Hai ragione. Io invece ho iniziato troppo tardi. Avessi avuto un briciolo del tuo talento…

«Ah, sei andato in bicicletta anche tu?»

- Sì, ma a livello scarso. Amatoriale.

«Ci vai ancora?».

- Sì, faccio le non competitive.

«Cioè, come funziona?» [Ormai è il Cresseri che intervista me, nda]

- Non c’è la classifica. 

«Ah, si parte tutti insieme… Non fai le gran fondo?».

- Per me sono ancora troppo dure, peso 81 chili: in salita faccio fatica… E poi non ho il tempo per allenarmi tanto e bene, faccio quel che riesco. Però la bici continua a piacermi tanto. 

«Le gran fondo son tutte dure…».

- Tornando a te: non ti dà fastidio sentire e leggere tutte queste balle? Non hai voglia di smentirle? O preferisci lasciar perdere, e in questo sei come il Visenta?

«Non me ne frega niente. Siccome son… cazzate, cosa me ne frega a me di quel che vanno a dire…». 

- Col Visenta quindi andavi d’accordo ? Con lui eri amico? C’era o no questa (presunta) rivalità?

«Allora, io col Visenta sono amico. Cioè: “sono amico”… eroamico ma con lui non avevo un feeling particolare…».

- Troppo diversi caratterialmente?

«Ma no, forse perché ci assomigliamo. Però sai, quando si è in squadra, e corri, fai i gruppettini, no? Ma comunque contro lui io non ho mai avuto niente…». 

- Anche perché se in ufficio tieni quella gigantografia lì, vuol dire che… Però non vi frequentate?

«Conosci Lucio Belli? È un fan scatenato del Visenta. Lui ogni tanto mi manda dei video di quando fanno le feste, invitano pure me ma io non ci vado mai. C’era però il Visenta, l’ho rivisto».

- Perché non ci vai mai? Non ti piace, non t’interessa o perché l’effetto-nostalgia ti mette tristezza?

«Non me ne frega. Tutti a ricordare ’ste cazzate del passato…».

- Meglio vivere il - e nel - presente?

«Massììì… Io quelle cose qua [indica le coppe nel suo ufficio, nda] le vedo come delle cose che ho fatto da ragazzino, mi piace da morire ricordarmele, poi ti faccio vedere di sopra…». [Nello studiolo al piano superiore, dove dipinge, oltre ai suoi quadri, tele, colori e pennelli, ci sono altri trofei vinti da corridori e la maglia della Libertas, nda]

- E quindi non hai alcun rimpianto per una carriera mancata, per «un talento buttato alle ortiche»? E non è vero che non sei passato professionista perché non avevi voglia di allenarti? Anche qui: tutte balle?

«Nooo, tutte balle. Tutte balle. Io ho smesso perché mi son sposato. Mi son sposato e, conosciuta ’sta ragazza, alla fine, mi era passata un po’ la voglia, capito? Mi era passata un po’ la voglia e… niente, è andata a finire così. Il Visenta è un po’ che non lo vedi?».

- L’ho visto per l’intervista a casa sua e poi alla pedalata benefica di Ennio Vanotti. Correva. 

«Il Visenta… lui ci va, eh?».

- In bici, sì. È che non sopporta l’ambiente professionistico, certi dirigenti, i giornalisti paraculi…

«Gli stan sulle balle».

- Devo dire che non ha tutti i torti.

«Eh, beh, infatti… Christian, hai il nome di mio figlio».

- Della Mariani Calì che cosa mi racconti? Qualche aneddoto che ti ricordi…

«Eh, cosa mi posso ricordare? Mi posso ricordare che mi allenavo sulla famosa tangenziale, che adesso non puoi percorrere. Noi ci allenavamo con Mino Denti alla ex rotonda, in città, come si chiama quel centro lì? Mi sfugge il nome…».

- Non ti posso aiutare. Io sono di Senigallia…

«Io vado sempre a Marotta, abbiamo un appartamentino lì, dove son Le Vele. Faccio un mese lì e tutti quei saliscendi, Corinaldo e dintorni…». 

- Posti stupendi anche per andare in bici. Parlami invece della tua verapassione, la pittura. 

«Questa è nata come per la bicicletta: da sempre». 

- Da ragazzino?

«Sì».

- Però non hai mai pensato di farne un mestiere? È un hobby?

«È un hobby. [Nel suo ufficio ci sono grossi quadri che per soggetto hanno il mare, nda]

- Sei davvero bravo. Sfatami invece quest’altro (falso) mito: che eri un po’ mattocchio. Alla fine eri ma come lo sono tanti ragazzi a quell’età.

«Esatto».

- Niente di che, niente di più?

«Ma no, niente di particolare». 

- Del tuo rapporto col Visenta mi hai detto, ma un po’ di rivalità c’era, dai…

«Ma no, ma neanche, sai, ma neanche “rivalità”: assolutamente no». 

- Prima mi parlavi dei gruppetti. Tu legavi di più con altri? Questo si può dire?

«Mah… legavo di più, per dirti, non lo so, con Alessandro Bettoni. È stato anche professionista [per due stagioni, 1978 e 1979, nda], erano i due fratelli [Osvaldo, classe 1952, e Alessandro, classe 1955, nda]». 

- Con loro legavi di più?

«Legavo di più con loro, con Walter Dusi. C’era Roberto “Braghì” Braga, c’era Fiorenzo Scalfi, che però non era della Mariani Calì [correva per la Mobili Lissone, nda]». 

- Era un bel vivaio quello, vabbè che qui c’è sempre stata grande tradizione.

«C’era il povero Busacchini…».

- Bracchi te lo ricordi? Mi ha parlato benissimo di te. 

«Eh, come no? Sì, certo: Lucianino della Carrera. Sì-sì, me lo ricordo, ma come mai vuoi scrivere un libro su…?

- No, io sono qui non solo perché eri in squadra con Roberto ma anche perché tu eri un Visenta conla volata.

«Allora: io una volta ho battuto il Manenti eh? Eravamo ragazzini, non è che fossimo… però ho ancora delle fotografie, eravamo in fuga io e lui, per cui… Lui è rimasto secco. Hai capito? No, daaai, comunque… tanti rimpianti per la bicicletta non…».

- …non li hai. Infatti ti vedo che sei molto sereno, ne parli proprio con leggerezza.

«Ma sì, [i miei trofei] mi piace vederli. Ho i miei ricordini dell’epoca, quando avevo vent’anni…».

- Pensa: oggi sui social avresti subito foto, video, ci sarebbe di tutto.

«All’epoca non c’era niente, eh… Passava Rodella con le foto, non so se ti ricordi le fotografie in banco e nero… Andava dai ciclisti e gli chiedeva: dai, vuoi comperarneuna? A duecento lire, o trecento o cinquecento, dipendeva dalla data…».

- Tu di che anno sei?

«Del ’56, 26 giugno». 

- Visentini è del ’57, 2 giugno: ha vinto il Giro nel giorno del suo ventinovesimo compleanno, ti ricordi?

«Certo che mi ricordo. Eh, il Visenta era potente, eh… Visenta… Forse il suo carattere, il fatto di non volersi… di non star troppo in mezzo alla gente…».

- Quando il Visenta vedeva un’ingiustizia – o qualcosa che lui riteneva tale – saltava subito e… Anche tu eri così?

«Uh! Lo sono ancora adesso. Chiedilo a tutti i miei amici che hai visto qua. Io sono un istintivo. Poi magari poi mi ridimensiono…».

- Poi magari ci ripensi e ti penti però lì per lì…

«Però ormai… bam! La schioppettata è partita».

- Anche il Visenta era così, e forse in carriera questa cosa l’ha un po’ pagata...

«Eh, l’ha pagata sì… però, cavolo, era forte. Era forte! Andava forte in pianura, forte in salita…». 

- A cronometro non ne parliamo; tanto, era sempre al vento. Non correva mai in pancia al gruppo. Mai. 

«No-no: mai!

- Fra voi che altre differenze c’erano, dal punto di vista tecnico, a parte la volata? Tu rispetto a lui che corridore eri?

«Allora, io mi ricordo che il Visenta aveva una sparata… Me lo ricordo, perché m’è successo».

- Fisicamente vi assomigliavate: busto lungo, spalle larghe, grossa capacità polmonare, gambe in proporzione abbastanza corte, ma possenti, capaci di fare velocità sul passo e anche di spingere in salita. Non eravate passistoni dalle leve lunghe come Leali, Ghirotto, Bordonali, tanto per restare a nomi di quella Carrera.

«No-no-no. Comunque io non ero, e neppure lui lo era, uno che andava con il fuori sella, capito? Andava su di potenza sul sellino. No, no: in bici era bello da vedere. Aveva una sparata, i primi chilometri… Se tu gli tenevi botta, un chilometro, due chilometri, basta, tu potevi andar su… Almeno, io ti parlo di quei livelli nostri, da ragazzini, capito? Dopo, non so…».

- Com’è che dopo vi siete persi di vista? Perché?

«Roberto abita qua vicino. L’ho incontrato, in bicicletta, forse tre anni fa. M’ha riconosciuto lui, ci ha raggiunti lui. Eravamo tre o quattro, pedalavamo sulla statale. Due corridori si sono accodati e poi a un certo punto sento lui. Ho riconosciuto la voce: “…ma non è mica Cresseri quello li?”. Allora mi giro: “Oh, Visenta… Cazzo, Visenta! Ciao, Roberto, cavolo ma… dopo venticinque anni… Di più, di più! Quarant’anni, a momenti…».

- Che uscite fai? Con gli amici, così, tra di voi?

«Sì, tra di noi e basta».

- Tipo il sabato e la domenica, così?

«Sììì, sabato e domenica. La domenica, settanta-ottanta chilometri… vado sul lago». 

- I posti qua sono belli. Hai una bici “spaziale”?

«Ma no, una bicicletta di Casari. Lo conosci Casari? È una bottega all’antica maniera, dove si radunano tutti i ciclisti lì a Gavardo. Dai che ti faccio vedere i miei lavori, prendi il tuo macinino…» [il mio registratore, nda]

- Lo so, lo so che non hai tempo…

«No, più che altro è che non ho molto da raccontarti».

Questa sì è una balla, Caio. Grossa quasi quanto quella del panino sul Lodrino.

CHRISTIAN GIORDANO


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