Marco Saligari, il commissario deluso


Tuttobici Numero 6 - Anno 2008 


Se vado indietro nel tempo mi rivedo sulla vettura de l'Unità con un taccuino dove compariva sovente il nome di Marco Saligari, nato a Sesto San Gio­vanni il 18 maggio 1965, professionista dal 1987 al 1998 con un bottino di 15 vittorie tra le quali figurano il Giro della Svizzera, il Giro di Calabria, il Giro di Toscana, tre tappe del Giro d'Italia e un bel numero di piazzamenti.

Momenti piacevoli per un cronista in piena attività da febbraio a ottobre nel contesto di un ciclismo diverso da quello di oggi, ricco di episodi per il totale impegno dei suoi protagonisti. Altro ambiente, altre facce, altro di tutto e scusatemi se al pari di Saligari sono un passatista.

A sostengno del mio pensiero, ecco il racconto di Marco che sceso dalla bici ha abbracciato il mestiere di direttore sportivo ed è perciò in grado di fare accostamenti e paragoni.

Ecco. «Se ci fosse ancora con noi Gino Bar­tali avrebbe buoni motivi per sostenere che è tutto sbagliato, tutto da rifare. È un ciclismo esasperato, dove l'amicizia non è più di casa, dove si avverte l'incapacità di tanti dirigenti, dove è assente il sindacato dei corridori. È chiaro, chiarissimo che così non si può continuare...».

Saligari il fuggitivo, il ragazzo che amava le avventure come quella realizzata con le mani al cielo sul traguardo di Sondrio (Giro d'Italia '92) dopo un'azione solitaria di 140 chilometri. Una giornata da ricordare per due motivi: per la gioiosa cavalcata e per il disappunto derivante dal furto di un lestofante che si era appropriato del premio, consistente in una coppa d'argento.

Saligari il battagliero, l'ostinato cacciatore di successi. Saligari definito da Baronchelli col nomignolo di "commissario" perché sempre disponibile nel consigliare i colleghi. Saligari l'altruista per la generosa disponibilità nei riguardi di Argentin, Bugno e Soerensen.

Il lettore che ha la bontà di seguirmi comprenderà la mia simpatia nei riguardi di personaggi non propriamente campioni, ma che al pari di Marco hanno onorato la professione con un impegno e uno slancio degni del massimo applauso. Guai se nel plotone non esistessero elementi del genere. E qui il discorso si fa più serio, più che serio. 

Domanda: cosa deve fare il ciclismo del duemila per produrre veri atleti? Deve uscire da una generale confusione, da persistenti incapacità, deve cacciare i disonesti, deve rifarsi la mentalità e l'abito del passato, deve abbandonare una falsa ricchezza per riabbracciare una santa povertà madre del coraggio e della fantasia. Eh sì, siamo messi male, veramente male... 

Commenti

Post popolari in questo blog

Dalla periferia del continente al Grand Continent

Chi sono Augusto e Giorgio Perfetti, i fratelli nella Top 10 dei più ricchi d’Italia?

I 100 cattivi del calcio