Bontempi: «Non sono un bandito»


DARIO CECCARELLI
l'Unità, mercoledì 3 giugno 1987

OSIMO - «No, lasciatemi stare. Basta con gli autografi. Vorrei un po' di pace, per favore». Faceva molta pena ieri mattina alla partenza da Giulianova, Beppe Saronni. Seduto sull'ammiraglia della Colnago si guardava attorno come se non gli importasse nulla di nulla. Pallido, gli occhi cerchiati per la notte quasi insonne, Saronni raccontava che neppure tranquillanti e infiltrazioni erano riusciti a lenirgli i dolori. «Parto lo stesso ma sarà un tormento. Certo che cadere in quel modo...».

- Senti, Saronni, qual è il vero problema di questi arrivi?

«Mah, ce ne sono tanti, ogni sprint è sempre un azzardo, un bolgia infernale dove può succedere di tutto. Colpa, innanzi tutto, dell'eccessivo numero di squadre. Direttori sportivi e tecnici, soprattutto delle formazioni più piccole, incitano i loro corridori a tentare qualsiasi cosa pur di vincere una tappa. Il solito discorso, il Giro è una passerella pubblicitaria e tutti vogliono mettersi in mostra. Ma le volate bisogna saperle fare. Invece è pieno di improvvisatori, gente che per un decimo posto rischia l'osso del collo».

- D'accordo, ma allora che cosa si può fare?

«Si può ridurre il numero delle squadre, tanto per cominciare. Non più di 12 ognuna con al massimo dieci corridori. Non solo al Giro ma in tutte le corse. Poi c'è anche l'annosa questione degli elicotteri. Lunedì a Termoli i primi tre sarebbero caduti lo stesso. Quelli dietro però, senza l'elicottero, avrebbero sentito il rumore delle frenate, non rimanendo poi coinvolti nella caduta generale. Infine l'autodisciplina. Una volta c'erano delle regole non scritte che tutti i corridori rispettavano. Adesso conta solo farsi vedere. Io sono nato velocista e conosco bene i pericoli di questo mestiere. Non per caso finora a questo Giro avevo sempre evitato le volate».

Se Saronni ha il dente avvelenato, Bontempi è addirittura furibondo e a fargli male non sono solo i lividi e le ammaccature ma soprattutto quel titolo alla sbatti il mostro in prima pagina apparso sulla "rosea". La Gazzetta dello Sport ha titolato «Bontempi ne stende 50».

«Mi fanno passare per un bandito. Io chiamo il mio avvocato - ha tuonato Bontempi - E poi vorrei dire al signor Cannavò (il direttore della "rosea") di leggere perlomeno il suo giornale dove son state pubblicate ben quattro versioni different dell'incidente. Eppure hanno deciso che c'era un unico colpevole, il sottoscritto».
DARIO CECCARELLI

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