ALCOLISMO, DRIBBLING E MONDIALI: “EL LOCO IMPRESENTABLE” HOUSEMAN




“Per me non è esistito mai un giocatore dello stile di Houseman. È l’unico che corre nell’aria, senza toccare il terreno. Riferendosi a Pelè: René è più dotato, più pazzo, più geniale, più inventore con la palla.”

Pensieri e parole di uno dei padri del menottismo nel calcio argentino: Miguel Angel Juárez. Quel che resta certo – oltre all’epica un po’ malinconica di un racconto calcistico tipicamente argentino – è il talento puro in questione. Quello di René Houseman. O meglio: El Loco Impresentable.

Soprannome che sapeva di sentenza per qualcuno destinato a rincorrere il futuro esclusivamente dietro ad un pallone. Un epitaffio prematuro. Ma Houseman non è mai stato un personaggio normale: come in campo, così fuori. Outsider poverissimo, villero sporco e anarchico, ala nevrotica ed esplosiva, uomo dal fisico limitato, schiavo delle sue Gauloises rosse e del rum, giocatore dal calcio immaginifico: destabilizzante, estroso ed adrenalinico. Ho selezionato tre cose da sapere su El Loco Impresentable, tre aneddoti che ne stilano un identikit tout-court.


Umiliò l’Italia a Germania Ovest ’74

Cosa succede quando un’ala di 1,66 per 63 chili incrocia sul suo cammino un moloch statuario come Giacinto Facchetti? La risposta sta tutta nella partita di René Houseman contro l’Italia a Stoccarda nel Mondiale del 1974. Un incubo per gli azzurri, materializzatosi direttamente dal profondo della fascia sinistra.

Con quell’abilità rara di giocare e condurre palla indifferentemente di destro e sinistro, El Locomise in imbarazzo un’Italia monocorde e mediocre; subì falli e tackle degni di un judoka per quel suo modo di dribblare scivolando via come una vespa, e riuscì a segnare un gran gol sgusciando con un taglio alle spalle di Facchetti, infilando un pallonetto morbido e velenoso al tempo stesso oltre la sagoma di Zoff. Un pareggio che suonò come una condanna a morte per la discussa Italia di Valcareggi, mentre fu l’ascensore per le fasi finali per un’Argentina ancora in evoluzione. Che soltanto quattro anni dopo – nei Mondiali della Vergogna – avrebbe raccolto i frutti di una generazione d’oro. Houseman (part-time) compreso.


Scomparve nei barrios e finì a vivere sotto un ponte

Houseman, al contrario del cognome che si portava dietro, è stato un homeless per un lungo periodo della vita. Un genio schizoide su quella stretta porzione di campo limitata dalla linea laterale ed un uomo senza limiti e confini morali al di qua della linea bianca: Houseman è finito male a causa dell’alcol. O forse si è arreso all’alcol perché era finito male. Proprio come la più grande ala destra della storia, anche lui figlio della miseria e indissolubilmente legato alla narrativa calcistica popolare da potrero: Garrincha.

O almeno, questo è ciò che dichiarerà un giorno durante un’intervista ai media argentini, a seguito del suo “ritrovamento” nei pressi di un ponte vicino al Parque Patricios, epicentro cittadino del club della sua vita: l’Huracán. Recuperato nei primissimi anni zero dal vagabondaggio nei barrios e inglobato con un ruolo tecnico in società – dopo anni di abbandono e alcolismo nomade – con espressione provata e il viso solcato da rughe profonde assimilabili a quelle di un poeta rock maledetto come Keith Richards, dichiarerà con schiettezza: “Se spreco anche questa chance, sono proprio un coglione”. 


Giocò Huracan-River Plate sbronzo (segnando)

In questo caso la storia racconta di un personaggio folle e geniale. Ingestibile e generoso. Un passionale che non cambierà mai, perché nemmeno ci proverà. È il 1973 e Menotti sa che la sua occasione di trionfare contro il River Plate passa quasi esclusivamente dai piedi rapidissimi e incontrollabili del Loco. Quello che ancora non sa è che Houseman si presenterà a quella sfida di cartello, decisiva per le sorti del campionato, direttamente da una notte insonne, passata a girovagare per party nei club di Buenos Aires, attaccato al fondo di molte bottiglie di cerveza e un numero imprecisato di rum, elemento alcolico di cui non riusciva a fare a meno. E che lo stesso Menotti aveva cercato di normalizzare e proteggere con il lancio da titolare nella massima divisione a soli 19 anni, dopo che i compagni dell’Huracan, sorpresi dal suo debutto, lo avevano ribattezzato “barbone”.

Non sopportava i ritiri, el Loco. Nella sua concezione ludica e naif del gioco del pallone non riusciva proprio a concepirli: artefatti, reazionari, noiosissimi. Insomma, anche l’Argentina aveva il suo George Best. Così in quel pomeriggio del 1973, Houseman si materializzò al campo dopo oltre 10 ore di assenza a seguito della sua fuga fuori orario. Senza nemmeno il tempo di dormire né di rimettersi dalle conseguenze della sarabanda alcolica notturna, Houseman saltò in campo dopo essere stato costretto a fare tre docce fredde. Ma, più che giocare, quello che fece fu aggirarsi per il prato come un fantasma dannato: tormentato dai suoi demoni interiori.

Fu così fino a quindici minuti dal termine, quando ricevette il pallone, si liberò con un dribbling secco dei due centrali difensivi – Perfumo e Ártico – e infine superò il Pato Fillolnell’uno contro uno. Gol, 1-0 Huracan e prodezza del Loco. Il River però ebbe ancora il tempo per pareggiare: 1-1 finale. Tutto inutile. Perché quell’incontro sarà per sempre ricordato per il golazo di Houseman, piombato sul campo quasi per caso da un’imprecisata festa di compleanno persa nel cuore della notte bairense. Inolvidable Loco.

“Non ho mai messo da parte un peso. Quello che avevo, spendevo: per la mia famiglia, i miei amici o per chi ne avesse bisogno. Quando vedo le persone intorno a me felici, a cosa mi serve del denaro?”.


Fiorentino, fondatore e admin di Zona Cesarini, autore a tempo perso. Soffro di una rara malattia compulsiva per tutto ciò che ha a che fare con viaggi, cinema di genere, musica e calcio. Adepto del culto di Matt Le Tissier.

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