2010-2020: dieci anni senza Fignon


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Quando se ne è andato Laurent Fignon, e in quella maniera, a soli cinquant'anni, portato via il 31 agosto 2010 da un cancro fulminante al pancreas, se ne è andata per sempre una parte di un'intera generazione.

«Fignon» è stato un ciclismo nuovo. Diverso. 

La coda bionda al vento, la fascia tergisudore sulla fronte alla John McEnroe che negli anni Ottanta andava così di moda.
La stempiatura precoce, gli occhialini «da intellettuale» e quell'aria da snob: quanto di più lontano dall'immagine stereotipata del corridore «ciao-mama-son-arivato-uno» del "Processo alla tappa" zavoliano.
La francesissima spocchia, l'indole ribelle, le buone letture: l'anticonformismo a pedali.

È stato «altro» che il campione-poster da parete.

Correva in bicicletta non per bisogno ma per passione, e ne ha fatto mestiere.

Ha sbagliato e ammesso, ha vinto tanto e perso di più, e à la Fignon: un Tour per otto secondi e il soprassella; un Giro ormai suo e sfilatogli, forse con dolo, dal vento moseriano e magari pure dell'elicottero. Fuoriclasse anche nella jella.

È caduto e si è rialzato, ha molto amato e più è stato malvisto e sopportato se non detestato. Da corridore prima, da organizzatore e da commentatore poi.

Ha, sopra ogni altra cosa, corso come ha vissuto. 

«Quel panache!». Quanto gliel'abbiamo invidiato uno come Fignon ai francesi.

«Eravamo giovani e spensierati», ha intitolato la sua autobiografia-manifesto. E così ha attraversato la sua troppo breve esistenza.

Ecco: questo è stato, prima di tutto, per tanti di quella generazione, Le Professeur. Un inno alla vita. L'essersene accostati fino a restarci scottati. 

Ma anche tornando indietro, da rifare mille e mille volte. Anche solo per rivivere quella parte che, per sempre, se n'è andata via con lui.

PER SKY SPORT 24 ©, CHRISTIAN GIORDANO ©
lunedì 31 agosto 2020

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