Se n’è andato Fignon
di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©
Quando se ne è andato Laurent Fignon, e in quella maniera, portato via il 31 agosto 2010 da un cancro fulminante, se ne è andata per sempre una parte di me. Un’altra. L’ennesima.
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Quando se ne è andato Laurent Fignon, e in quella maniera, portato via il 31 agosto 2010 da un cancro fulminante, se ne è andata per sempre una parte di me. Un’altra. L’ennesima.
Succede sempre così quando perdi – o ti stacchi da – un pezzo d’infanzia o di adolescenza. Mi è poi successo con Robin Williams e Johan Cruijff e prima con pochi altri. E dopo ancora con più nessuno.
Non so se mi risuccederà. Non so neanche se volerlo, sperarlo o anche solo permetterlo.
E nemmeno voglio chiamarlo «Laurent», così, per nome, come se lo avessi conosciuto anche solo da lontano, o magari intervistato, come invece mi è poi successo con corridori altrettanto grandi e celebri: sempre «Vincenzo» e «Chris» con loro, mai «Nibali» e «Froome».
«Fignon» però per me è stato diverso. È stato il ciclismo quando ancora nemmeno sognavo di occuparmene. La coda bionda al vento, la fascia sulla fronte. La stempiatura precoce, gli occhialini «da intellettuale» e quell’aria da snob: quanto di più lontano dall’immagine stereotipata del corridore «ciao-mama-son-arivato-uno» da Processo alla tappa di zavoliana memoria. La francesissima spocchia, l’indole ribelle, l’inclinazione alle buone letture. Insomma l’anticonformismo su due ruote.
È stato qualcosa di «altro» che il semplice campione-poster da parete.
È stato un Uomo che correva in bicicletta per passione, e ne ha fatto un mestiere. Uno che ha sbagliato e ammesso, ha vinto tanto e perso di più, e in che maniera: un Tour per otto secondi; un Giro ormai vinto e invece sfilatogli con dolo. Fuoriclasse anche nella jella.
È caduto e si è rialzato, ha molto amato e più è stato malvisto e sopportato se non detestato. Da corridore prima, da commentatore poi.
Ha, sopra ogni altra cosa, corso come ha vissuto. «Quel panache!», come dicono oltralpe ammirando quel mix di coraggio e sfrontatezza, grinta e audacia, determinazione e incoscienza. Quanto gliel’abbiamo invidiato uno come Fignon ai francesi.
«Eravamo giovani e spensierati», così ha intitolato la sua autobiografia-manifesto. E così ha attraversato la sua troppo breve esistenza.
Ecco: questo è stato, prima di tutto, per me e per tanti della mia generazione, Le Professeur. Un inno alla vita. Il nostro essercene accostati fino a rimanerci scottati. Tornassi indietro, lo rifarei mille volte. Anche al costo, altissimo, della parte di me che se n’è andata via con lui. Per sempre.
Un’altra. L’ennesima.
CHRISTIAN GIORDANO
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