L' ultimo caffè al bar la porta chiusa e poi quello sparo



di CINZIA SASSO
la Repubblica - 19 luglio 2011

MILANO - L'ultimo caffè del buon soldato Mario, è stato ieri mattina, al bar dell'ospedale. Quattro chiacchiere, un sorriso, poi, come al solito, i due euro sul bancone. 

Perché a casa sua Mario Cal, 72 anni compiuti il 30 giugno, il padrone in seconda del San Raffaele, il fratello gemello di don Luigi Verzé, l' inseparabile compagno di avventure e di briscole, aveva il vezzo del comando. Ma il San Raffaele non era più cosa sua. 

Nell'ufficio che per tanti anni era stato il suo regno incontrastato, quello dove è effigiato il motto «tutto è possibile a chi crede», dove aveva incontrato gli uomini più potenti di una certa Italia, dove aveva realizzato quello che don Luigi aveva solo immaginato, doveva vuotare i cassetti, come succede all' ultimo degli impiegati che viene licenziato. E questo era un licenziamento molto doloroso. «Nella mia vita - aveva confessato venerdì all'amico avvocato Rosario Minniti - non sono mai stato tanto triste come in questi giorni». 

Veneto di Lorenzaga di Motta di Livenza, di quel Veneto che sconfina nel Friuli, era arrivato a Milano quando aveva solo ventidue anni e si era inventato imprenditore. Di pompe funebri, per cominciare. Ma ben presto aveva ripescato una passione che aveva dovuto abbandonare, quella per le corse di ciclismo, che praticava da dilettante, ed era diventato manager sportivo prima alla Malvor Bottecchia e poi alla Bianchi Colnago, sponsor anche di Saronni. 

A Milano era arrivato con in tasca un diploma da ragioniere, dopo aver fatto il servizio militare a Napoli insieme al suo migliore amico e dopo aver deciso di raggiungere un fratello e una sorella che, come tanti in quegli anni Sessanta, erano emigrati in Lombardia per trovare lavoro e fortuna. 

Era il piccolo di una grande famiglia, l'ultimo di dieci fratelli, e capitava ancora adesso che il sabato si facesse portare a casa di Adelaide, la sorella più vecchia, perché non aveva dimenticato le radici. Ci andava in elicottero, però. 

Perché, da quando, nel 1977, aveva incrociato il prete visionario «che ha fatto santo il denaro», la sua vita era cambiata ed era come se la megalomania di don Luigi lo avesse contagiato. Appartamento in via Spiga, in una palazzina riservata dove sono di casa Dolce e Gabbana; villa ad Arona, sulla sponda più elegante del lago Maggiore; sempre l'ultimo modello di Mercedes, e però spesso anche Maserati e Ferrari, perché le macchine erano una sua grande passione. Insieme a «la mia Tina», Tina Besana, la moglie di una vita. L' incontro con don Verzè - a casa di amici - probabilmente aveva cambiato la vita di entrambi. Erano come due pezzi di un puzzle che si incastrano: uno altezzoso, immaginifico; l'altro empatico, concreto. Uno dotato di un intuito fortissimo; l'altro appoggiato con i piedi ben per terra. 

Don Verzé sognava sempre più in grande e Mario Cal trattava con i politici, gli amici importanti - da Ennio Doris a Roberto Cusin delle Gemeaz, ma anche Renato Pozzetto e Albano Carrisi - le banche, per tradurre in realtà i sogni dell' amico. In trentacinque anni non gli aveva mai detto di no. Nemmeno quando don Verzé aveva voluto costruire il suo Eden con cinquemila pappagallini a svolazzare; nemmeno quando il prete aveva voluto marmi preziosi sui laboratori del Dibit2, destinati a restare vuoti. Raccontano di un unico serio scontro, meno di un mese fa, a proposito dell'ingresso di Rotelli. 

Il veneto Mario Cal non aveva però dimenticato i semplici piaceri semplici della vita: la partita a briscola con gli amici in trattoria, da Silvano, vicino alla Rai di corso Sempione. Diventato potente, aveva sistemato il suo cv con una laurea in economia - lui, che non parlava bene inglese - presa in un' università a New York: andata e ritorno in giornata sul Concorde, per quello che a molti è sembrato un miracolo. E poi, non aveva mai spiegato la ragione di quel suo piccolo, ma conosciuto segreto: quella pistola sempre addosso. La Smith & Wesson calibro 38 che l' ha ucciso ieri mattina, dopo aver pagato l' ultimo caffè. E intanto qualcuno ricorda una frase shock pronunciata in un' intervista da don Luigi, racconto di una sua visita in Vaticano: «Deve solo temere che la sua opera fallisca. Se fallisce, meglio che si compri una pistola e si spari».

CINZIA SASSO

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