Gli esordi di Suárez: dal sogno di ritrovare Sofia allo sconosciuto Groningen


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I primi passi di Luis Suárez, che accettò il Groningen anche per ricongiungersi con la fidanzata: "Non l'avevo mai sentito nominare".

24 gen 2023 07:53+01:00

La frase colpisce al volto come uno schiaffo, preciso e potente: “Come puoi pensare di giocare nel Barcellona se non sei titolare nemmeno nella Séptima del Nacional?”. Wilson Pirez, l'uomo che la pronuncia, è una persona piuttosto pragmatica. È un procuratore, ma sa bene quando bisogna lasciar da parte i sogni pindarici per far spazio al realismo. E quello è proprio uno di quei momenti. Ma il ragazzino che gli sta davanti, e al quale è diretta la frase-schiaffo, non sembra dar troppo peso alle sue parole. Si chiama Luis Suárez, è un adolescente e di tenere i piedi per terra no, proprio non ne ha voglia.

Prima dell'Atletico Madrid, del Barcellona, del Liverpool. Molti anni prima. Suarez, ai quei tempi, è appena Luis. Gioca nelle giovanili del Nacional di Montevideo, ma non vede le luce davanti a sé. È solo uno dei tanti, con qualità non evidenti a occhio nudo e un carattere ribelle che non gli facilita le cose. Ma ha un sogno: giocare nel Barcellona. O in Europa, quantomeno. Anche perché il giovane Suárez, la cui famiglia economicamente se la passa male, vede il pallone come un'occasione di riscatto. Senza i soldi necessari per pagarsi l'autobus che lo porti al campo d'allenamento, si mette il borsone sulle spalle e ci va a piedi. La prima volta il suo allenatore, Ricardo Perdomo, si stupisce: “Sei tutto sudato”. E quando il ragazzo gli racconta di aver percorso chilometri e chilometri a piedi, scherza: “Beh, hai fatto un buon riscaldamento”.

Sono anni complicati. Suárez non ha nemmeno delle scarpe da calcio e deve farsene prestare un paio per poter giocare. Deve incassare il durissimo colpo della separazione dei genitori. E in campo fatica a emergere. La molla per non desistere arriva all'esterno: conosce Sofia ed è colpo di fulmine, anche se lui ha 16 anni e lei 14. Di cognome fa Balbi, oggi è sua moglie: i due si sono sposati nel 2009. Ma ai tempi il destino pare tramare contro di loro, perché la ragazza ben presto si trasferisce a Barcellona assieme ai genitori. È un distacco doloroso, profondo. Luis e Sofia rimangono in contatto grazie alla tecnologia e il giovane calciatore le fa una promessa: verrò a giocare in Europa e ti raggiungerò.

È lì che si vede gettare addosso una secchiata gelida di realismo. Da Perdomo, che stanco di certe sue bravate fuori dal campo lo avverte: “O metti la testa a posto, o te ne vai”. E di Wilson Pirez, il pragmatico di cui sopra, che altri non è che il suo primo procuratore.

“Non ero certo che avrebbe avuto un futuro - ha raccontato - Continuava a dire che un giorno avrebbe giocato nel Barcellona e io ogni volta gli rispondevo: 'Cos'è questa storia di giocare nel Barcellona se stai in panchina nella Séptima del Nacional? Non puoi farcela'. Suarez però non ha mai smesso di crederci”.

Il desiderio di ricongiungersi con Sofia è talmente forte che il rendimento ne risente. In positivo. In breve tempo, Suárez cambia completamente registro: inizia a prendere sul serio gli allenamenti, in partita diventa un leone. Scala le categorie giovanili del Nacional, passo dopo passo. Parallelamente, cerca di portare avanti il proprio percorso scolastico. Ama una materia in particolare: la matematica. E qualcuno pensa che sia proprio questo il suo futuro.

“Sarebbe stato un crimine se fosse diventato qualcosa di diverso da un calciatore professionista, ma se non avesse intrapreso quella strada penso che sarebbe diventato un contabile di grande successo – ha rivelato Pirez al Daily Mirror – Ciò che ha cambiato davvero Luis è l'incontro con Sofia. Deve dare parecchio credito a lei per la sua carriera. Si vedeva che era innamorato. La gente crede che Luis sia partito per l'Europa per la carriera, ma in realtà è stato per Sofia. Si era trasferita con la sua famiglia e lui non sopportava l'idea di stare lontano da lei. Dal giorno in cui se n'è andata, ha lavorato duramente per andare pure lui in Europa. Non pensava alla fama o al denaro, solo al suo unico vero amore”.

Il sogno inizia a concretizzarsi il 3 maggio del 2005, il giorno in cui Suárez fa il proprio esordio nella prima squadra del Nacional sul campo del Junior di Barranquilla, in Copa Libertadores. L'allenatore è Martin Lasarte, che oggi è il commissario tecnico della Nazionale cilena. Maggiorenne da qualche mese, Luis entra in campo al 76' al posto di Sebastian Vazquez e viene schierato esterno destro d'attacco, giocando “con una voglia tremenda e con molta personalità”, come ricordato dall'ex compagno Alexander Medina, che oggi fa l'allenatore.

Suárez vince il campionato nel 2006, segna in finale, si fa notare. Non subito, però. In Uruguay arrivano i dirigenti del Groningen, ma non vogliono lui, bensì il compagno di nazionale (Under 20) Elias Figueroa. Attaccante la cui carriera si snoderà su una strada secondaria: ai tempi indossa la maglia del Liverpool, sì, ma quello di Montevideo. È qui che la trama del film propone la sliding door che cambia il corso delle cose. I dirigenti del Groningen si recano a vedere entrambi dal vivo. Ma a incantare è Luis, non Elias.

“A volte sembrava avesse anche un po' di fortuna dalla propria parte – ha raccontato il direttore tecnico del Groningen, Henk Veldmate, a Bleacher Report – Ma poi ci siamo detti: no, nessuna fortuna. Questa è solo qualità. Sapeva esattamente cosa fare in ogni situazione dentro l'area, creava sempre qualcosa di interessante per andare in porta. Eravamo entusiasti, certi che si trattasse di un calciatore speciale”.

Quando il Nacional spara una cifra altissima per Figueroa, il Groningen vira su Suárez. Ma neanche questa è una trattativa semplice. Tutt'altro. I momenti di tensione con Daniel Fonseca, l'agente di Suarez (ed ex attaccante di Cagliari, Napoli, Roma e Juventus), non mancano. Gli olandesi offrono un milione, gli uruguaiani ne chiedono 4,2. “Una follia”, ribatte il direttore generale Hans Nijland. Anni dopo svelerà: “Le trattative sono durate tre giorni. E le discussioni si sono surriscaldate a tal punto che sono volati in aria vasi e tazze”. Ma alla fine l'accordo si trova. Per un milione e mezzo di euro. Soldi ben spesi, si scoprirà ben presto.

Non subito, però. Perché il Suárez che sbarca in Olanda è un giovanotto ancora spaesato e con la tendenza a metter su peso. Si ricongiunge finalmente con Sofia, corona il proprio sogno d'amore andando a convivere con lei. È finalmente felice. Ma ha qualche chiletto in più rispetto a quanti dovrebbe averne. E Ron Jans, l'allenatore, definito dal Pistolero “uno dei migliori che abbia mai avuto” nella propria autobiografia Crossing the Line, lo inquadra ben presto. Lo torchia, gli sta addosso, lo fa scendere a 83 chili.

“In Uruguay non hai nessuno a guidarti – ha scritto Suarez nell'autobiografia – Non ci sono persone che controllino ciò che mangi e bevi. Sono arrivato in Olanda cinque o sei chili in sovrappeso. Ero grasso. Ron Jans mi ha detto: 'Il tuo peso target è di 83 chili, sali e non sarai in squadra'. Non sapevo nulla di dieta, quindi ho chiesto a chi lavorava nel club come perdere peso. La prima cosa che ho fatto è stata smettere di bere Coca Cola. Non sapevo che bere Coca Cola potesse avere un tale impatto. Sofi mi ha suggerito di iniziare a bere solo acqua e mi ci sono abituato. Ora non bevo nient'altro. Quando mi hanno pesato la volta successiva la bilancia segnava 83,4 chili, e Ron ha chiuso un occhio. Ha detto che aveva visto che mi ero messo d'impegno, che stavo cercando di fare la cosa giusta”.

Le difficoltà d'ambientamento non mancano nemmeno in campo. Ricorda Suárez che “se in Uruguay mi toccavano e cadevo a terra lo accettavano tutti. All'inizio in Olanda chiedevo rigori che non c'erano, poi ho smesso di farlo”. Il compagno d'attacco Eric Nevland dice che Luis “era molto individualista. Certe volte era frustrante, poteva passare il pallone e invece faceva tutto da solo”. Inizialmente Suárez è nervoso e non ingrana.  Poi, gradualmente, tutto cambia. E quando dall'Under 23 del Groningen viene promosso stabilmente in prima squadra, l'uruguaiano inizia a convincere tutti. Tanto che, ricorda ancora Nevland, “mi sono reso conto di aver a che fare con un talento eccezionale. E sono stato io ad adattare il mio gioco al suo”.

Suárez va a segno una prima volta contro il Partizan, in Coppa UEFA. Poi firma la sua prima doppietta in Eredivisie, al Vitesse. Il conto totale parla di 15 reti nell'intera stagione, di cui una decina in campionato. Ad appena 20 anni, è un bottino che gli permette di essere notato e apprezzato da Oscar Washington Tabárez, che nel febbraio del 2007 lo convoca per la prima volta nella Nazionale maggiore uruguaiana.

“È stato incredibile. Quando sono andato al Groningen, pensavo che sarei stato dimenticato. Che non avrei avuto alcuna chance di essere convocato. Quando ho saputo del loro interesse nei miei confronti ho acceso immediatamente la PlayStation assieme a mio fratello, per vedere che giocatori avessero e se ci fosse qualcuno che conoscevamo. Se dici 'Olanda' a un uruguaiano, ti risponderà Ajax, Feyenoord e PSV. Il resto non è conosciuto, nemmeno l'AZ o il Twente. Il Groningen faceva parte di quelle squadre che non avevo mai sentito nominare, come il NAC Breda, il Roda e l'RKC Waalwijk. Non sapevo nemmeno pronunciare i loro nomi”.

Già, l'Ajax. È ad Amsterdam che notano per primi quel ragazzino dal potenziale così alto. Il Groningen respinge i primi assalti, ma Suárez si impunta e alla fine il matrimonio si fa. Nell'estate del 2007, il Pistolero si veste di bianco e rosso e inizia la propria scalata verso l'alto. Verso la Premier League e poi la Liga. Verso il Liverpool, il Barcellona, l'Atlético Madrid, la partnership con Leo Messi, la Champions League del 2015. Prima del grande ritorno a casa - al Nacional - destinato a precedere lo sbarco in Brasile, dove oggi Luis gioca e segna con la maglia del Grêmio.

Tutto, però, parte da lì. E nessuno a Groningen lo ha mai dimenticato. Ad aprile 2021 il club ha costruito uno speciale di una ventina di minuti sui 12 mesi in cui Suárez ha indossato la maglia biancoverde. Quest'ultimo, poi, ha sempre avuto un sentimento speciale nei confronti di chi gli ha aperto le porte del calcio europeo: quando ha segnato la rete numero 500 della propria carriera, ha devoluto altrettanti palloni alle giovanili delle sue ex squadre, e tra queste c'era anche il Groningen. “Ho voluto restituire qualcosa alle sette squadre che mi hanno formato come calciatore – ha detto – Rendere omaggio alle squadre, ai giocatori e ai tifosi che hanno fatto parte del mio viaggio”. Riconoscenza.

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