Jürgen Sparwasser. Quando la Germania Est scrisse la propria storia
Estate 1974. Un altro mondo, sicuramente un altro calcio. La Germania Ovest ospita la Coppa del Mondo e il 22 giugno, ad Amburgo, in campo si parla solo tedesco. La Germania Est non ha una grande storia calcistica, ma la sua storia la scrive proprio quel giorno. Protagonista assoluto Jürgen Sparwasser.
Filippo De Fazio
5 aprile 2024
Mentre i successi calcistici della Germania Ovest sono noti in tutto il mondo, quelli dell’ex Repubblica Democratica Tedesca sono meno celebri. Sono anche pochi: la Germania dell’Est ha potuto vantare, fino a quando è esistita, il solo oro calcistico alle Olimpiadi del 1976 che conquistò imponendosi in finale per 3-1 sulla Polonia. Ma il loro più grande trionfo è stato l’1-0 del 1974 contro la Germania Ovest in occasione dei mondiali che si svolsero in casa di quest’ultimi, nell’unico incontro ufficiale svolto tra le due nazionali. Protagonista assoluto: Jürgen Sparwasser.
“Spari” racconta il suo gol
“Fu un gol bellissimo, il mio. Non lo avessi segnato io ma uno come Pelé o Messi, oggi sarebbe immortalato su qualche francobollo o ci avrebbero dedicato un film. Vuoi sapere come feci? Lo ricordo fotogramma per fotogramma, come fossi lì proprio adesso: Jürgen Kroy, il nostro portiere, rinvia mandando la palla a Erich Hamann sulla fascia destra. Lui si accorge che sto scattando dal cerchio di centrocampo, dove c’è tanto spazio perché la Germania Ovest si è buttata tutta in avanti per farla finita con noi una volta per tutte. Non ho mai avuto problemi a far andare le gambe, e anche se siamo già al settantasettesimo minuto, non avverto la stanchezza. Vai a vedere da dove parto. Un paio di secondi prima ero in difesa, nel cuore della nostra area. Così Erich mi pesca con un lancio al bacio sulla tre quarti, facendo planare la palla giusto dove sono io, tra quei mastini di Berti Vogts, Dieter Höttges e Bernd Cullmann. Come ho capito che dovevo buttarmi in quello spazio? Come mi sono trovato a essere l’unico tra i miei compagni ad attaccare in quel preciso momento? E cosa ne so, io mica ragiono, in campo. Vado dove mi porta l’istinto. Chiamalo fiuto, se vuoi. Lasciami andare avanti: divoro decine di metri, lo spazio che prima era enorme si sta restringendo a vista d’occhio, le maglie bianche sono sempre più vicine, realizzo che tra un attimo mi saranno addosso. Quando la palla mi raggiunge vorrei addomesticarla col petto ma quella mi rimbalza male, così la controllo come posso, di collo destro. Mi va bene perché quello stop a seguire involontario disorienta i tre mastini che ho intorno e così in un attimo mi ritrovo solo davanti alla maglia verde di Sepp Maier, con la palla attaccata al piede. In quel momento ho pensato che se avessi tirato subito lo avrei centrato, grosso com’era. Così faccio finta di tirare, quello abbocca e si spalma sul prato. Lascio la palla rimbalzare un altro paio di volte e infine la calcio scaraventandola in rete di destro, con tutta la forza che ho, giusto per essere sicuro. Lo schiocco della palla che schiaffeggia la rete è la conferma sonora che tutte le scelte che ho fatto, erano giuste. E ora vai a raccoglierla in fondo al sacco, Sepp, mentre io faccio le capriole sul prato, felice come mai più nella mia vita.”
L’unico incontro ufficiale
Così Jürgen Sparwasser, “Spari” per i tifosi del Magdeburgo, centrocampista col numero 14 della Germania Est, racconta il suo gol della vittoria per uno a zero del 22 giugno del 1974 realizzato nell’incontro con la Germania Ovest al Volksparkstadion di Amburgo, terza gara del Gruppo 1 dei mondiali tedeschi composto, oltre che dalle due Germanie, dal Cile e dall’Australia. Era e rimarrà l’unico incontro ufficiale svolto tra le due nazionali. Sebbene entrambe le squadre si fossero già assicurate la qualificazione al turno successivo, nessuna delle due compagini avrebbe potuto sopportare di perdere quella partita. La Germania Ovest perse di misura, come detto, ma al termine della competizione sollevò comunque l’ambito trofeo. Ai loro vicini restò la soddisfazione di aver battuto i futuri campioni del Mondo.
Eroe della DDR, suo malgrado
Da giocatore della nazionale e del Magdeburgo, squadra nella quale ha militato per tutta la sua carriera di calciatore, con un unico gol Jürgen sarebbe diventato un vero eroe nazionale. Suo malgrado, anche un eroe contestato. Diventato simbolo di una intera nazione, fu amato da chi in lui vedeva la personificazione della rivalsa verso la Germania Ovest; odiato da chi guardava con speranza a quel mondo così libero, così vicino eppure così irraggiungibile. Quel gol, per chi soffriva l’oppressivo regime socialista imposto dall’Unione Sovietica, veniva visto come un inutile dispetto alla Germania Ovest fatto apposta per lisciare il pelo a chi deteneva e imponeva il potere con la forza e che complicava e allontanava il sogno della riunificazione sotto un unico Stato e un’unica bandiera.
I fischi in ogni stadio
La contestazione nei confronti di Sparwasser, non tardò a palesarsi, e nella maniera più plateale. Come lui stesso ha raccontato, “Il mio gol e la vittoria contro la Germania Ovest noi giocatori la festeggiammo come se avessimo vinto i mondiali. Chi avrebbe potuto immaginare che quel gol sarebbe stato l’inizio della mia fine? Da allora, ovunque andassi con il mio Magdeburgo, fosse a Dresda, a Lipsia, a Jena, già durante l’ingresso in campo venivo vigliaccamente fischiato. Era pazzesco: cosa speravano quel giorno, che perdessimo per sei a zero con la Germania Ovest? Per anni le immagini del mio gol sono state usate come provocazione contro l’Occidente, esasperando gli animi di chi ha apprezzato quel gesto ed esacerbando chi a quel gol ha voluto dare un peso politico. Non volevo perseguire né un obbiettivo, né un altro. Mi sono limitato a fare il mio mestiere, provare a vincere. Un mio compagno di squadra mi ha confidato che subito dopo il mio gol suo padre scagliò una sedia contro il suo televisore. Assurdo”.
Nel tentativo di affrancarsi dal presunto legame con il regime che gli era stato forzatamente attribuito, all’avvicinarsi del termine della sua carriera di calciatore avvenuta poi nel 1979, rifiutò tutti i ruoli di rappresentanza che gli venivano offerti dal governo. L’obiettivo del SED (Partito Socialista Unificato di Germania) era chiaro: responsabilizzarlo con ruoli vicini al potere e farne l’uomo-simbolo del socialismo tedesco.
I giorni della Stasi
Quei sistematici rifiuti, visti dalla Stasi come autentiche azioni eversive, fecero sì che anche i rapporti con il regime, già complicati, si deteriorassero irrimediabilmente. La polizia segreta iniziò a scandagliarne il passato, insospettita anche dal fatto che non si fosse mai iscritto al Partito Socialista. Il suo stile di vita venne passato al microscopio. I suoi comportamenti, che prima di allora erano accettati come consueti per uomini della sua età, divennero, secondo i dossier della polizia segreta, troppo “disinvolti” e, più tardi, addirittura “censurabili".
“Ho scoperto solo dopo anni che la Stasi mi stava addosso. Sono stati reperiti tredici dossier sul mio operato di calciatore, sulla mia vita, sulle mie amicizie”. E ancora: “Il regime ha fatto terra bruciata intorno a me. L’unico sbocco professionale che erano disposti a concedermi era quello di allenatore del Magdeburgo. Ma io volevo diventare docente universitario, fare il dottorato, formare gli allenatori. Opportunità che mi hanno prima rifiutato, poi tassativamente proibito. Mi avessero lasciato un minimo di libertà di scegliere il mio futuro, non sarei scappato via dalla Germania Orientale.”
“Spari” il traditore
Quando Jürgen stava per prendere la più difficile decisione della sua vita, si era in pieno clima di distensione. Gli incontri tra Nixon e Breznev avevano dato nuova linfa alla forza centripeta che insisteva tra le due Germanie. Separate, cordialmente nemiche, non sorelle, ma figlie della stessa madre. Nonostante questo, e malgrado i sempre più fitti accordi tra le due parti, il governo di Erich Honecker rimase legato a un socialismo di stampo sovietico e continuò a mantenere una politica decisamente repressiva nei confronti dei dissidenti, sordo alle forti pressioni degli intellettuali che spingevano per una maggiore democratizzazione del Paese.
I tempi erano maturi per Jürgen Sparwasser il quale, nel gennaio 1988, improvvisamente passò dall’essere l’uomo del regime per definizione, all’essere un dissidente. Approfittando dell’allentamento dei controlli sugli spostamenti dei cittadini della Germania Orientale, ottenne un permesso per recarsi a Saarbrücken con il pretesto di disputare una partita tra vecchie glorie. Non partecipò a quell’incontro, non fece più ritorno in patria. L’agenzia di stampa della RDT, la Allgemeine Deutsche Nachrichtendienst (ADN), scrisse: “Le forze antisportive della Repubblica Federale hanno approfittato della presenza di una formazione di vecchie glorie del Magdeburgo a Saarbrücken per accogliere Jürgen Sparwasser, il quale da oggi è da intendersi quale traditore della sua squadra e della sua nazione".
La nuova vita
La sua vita da uomo libero in occidente non fu molto più semplice di quella che aveva lasciato nell’Est. Tra le tante convenzioni sottoscritte dai due governi non figurava quello del reciproco riconoscimento dei titoli accademici. Lo stesso per i patentini da allenatore. Accettò la proposta di lavoro offertagli dall’Eintracht Francoforte come allenatore della scuola calcio, ma entrò immediatamente in conflitto con la società a causa di certe sue dichiarazioni in cui accusava il suo stesso datore di lavoro di non dare la giusta importanza al settore giovanile.
Sull’argomento disse: “Sono incappato in una intervista-trabocchetto. Il giornalista mi chiese cosa ne pensassi di quello che stava succedendo nei grandi club tedeschi, i quali stavano quasi tutti rinunciando alle seconde squadre, le Under 23. Tra questi c’era anche l’Eintracht. Aggiunsi che non avrei mai iscritto mio figlio in un club che avesse abolito la propria Under 23. Cosa avevo mai detto di male? A un giovane devo presentare delle prospettive una volta che ha terminato la scuola calcio, non abbandonarlo a se stesso”.
La reazione del club arrivò, inevitabile: “Quattro mesi dopo quell’intervista mi chiamò Bruno Hubner, direttore sportivo dell’Eintracht per comunicarmi che non avrei più fatto parte del progetto “formazione talenti”. Non senza rimpianti: “Ho sempre pensato di avere le giuste capacità per occuparmi dei giovani, ma probabilmente all’epoca non ero pronto mentalmente per rapportarmi alle necessità di un grande club. Spero di avere un giorno un’altra possibilità”.
Dopo il Muro
Una volta caduto il Muro di Berlino, il 3 novembre del 1989, Jürgen poté dedicarsi senza limitazioni al calcio, allenando, pur con esiti quasi mai lusinghieri, squadre di terza e quarta serie che una volta militavano nei campionati della ex Germania Est e che erano confluite nell’ordinamento calcistico della nuova Germania unita. Poche le soddisfazioni, molte le delusioni. Alla fine degli anni Novanta divenne presidente della VDV, il sindacato dei calciatori tedesco, ricoprendo una di quelle cariche istituzionali che in passato aveva sempre rifiutato, pur di sentirsi un uomo libero.
“Spari” oggi
Jürgen oggi è un arzillo settantaseienne che segue il calcio in maniera disincantata, perché “diventato troppo diverso da quello dei miei tempi, quando la tecnologia non aveva ancora varcato le linee del fallo laterale dei campi di calcio”. Quando gli si chiede se ha ancora legami con i suoi ex compagni, sorride: “Tutti a turno, organizzano una festa all’inizio di maggio. Chi riesce ancora a camminare, va sul campo. Gli altri si occupano di mantenere la birra fredda. Io devo sempre occuparmi delle donne.”
Icona nell’immaginario collettivo
Quello che Jürgen Sparwasser ha rappresentato per il calcio degli anni Settanta va molto oltre la semplice cronaca sportiva. Con lui, il messaggio per cui nel calcio tutto è possibile, che non esiste nessuno sconfitto in partenza è passato da frase fatta ad assunto condivisibile. È la conferma dell’abusata leggenda di Davide e Golia che, anche se coniugata alla collettività di due squadre, regge bene il pathos del duello all’arma bianca. È la “grandeur” avvilita dall’austerity, è la provinciale che umilia la metropolitana.
La foggia già obsoleta per l’epoca della sua maglia numero 14 (lo stesso numero che indossava Johan Cruijff ai mondiali del '74) è diventata nel tempo, l’emblema di quei tempi. Blu notte, con la sigla DDR a sormontare il simbolo della Repubblica Democratica Tedesca, bianco lo scollo profondo a “V”.
Quella maglia è diventata tale perché è il racconto muto, ma concreto, di un evento unico. Talmente unico da non aver mai visto replica. Neanche una rivincita, che fosse una gara ufficiale o anche solo amichevole. Ce ne è stato solo uno, il 22 giugno del 1974, Germania Ovest-Germania Est 0-1, gol al 77° minuto di Jürgen Sparwasser. A chi gli chiede come gli piacerebbe che un giorno, il più lontano possibile, siano ricordati lui e la sua magnifica impresa, egli risponde, senza esitazioni: “Non c’è bisogno di ricordare niente. Se un giorno mettessero sulla mia lapide solo la scritta 'Amburgo 1974', tutti saprebbero comunque chi c’è là sotto”.
Note:
Jürgen Sparwasser ha giocato solo nel Magdeburg, dal 1965 al 1979, disputando 298 incontri ufficiali e segnando 133 reti. Ha vinto 3 DDR-Oberliga (campionati nazionali di prima divisione) (1971-72, 1973-74, 1974-75); 4 FDGB Pokal (la Coppa nazionale) nel 1969, 1973, 1978, 1979; la Coppa delle Coppe nel 1973-74, battendo in finale il Milan per due a zero.
Nella Nazionale della Germania Est ha registrato 48 presenze e 14 gol. In maglia azzurra ha vinto un Campionato europeo Under-19 e si è fregiato della medaglia di bronzo nelle olimpiadi di Monaco di Baviera, nel 1972.
La Germania Est disputò la sua ultima partita il 12 settembre 1990, un’amichevole contro il Belgio, chiudendo la sua storia calcistica con una vittoria per 2-0, grazie alla doppietta di Matthias Sammer. Quella politica, invece, terminerà il 3 ottobre dello stesso anno, giorno in seguito designato ad essere celebrato ogni anno come “Giorno della riunificazione”.
Nel 1991, con l’unificazione dei format dei campionati della Repubblica Federale di Germania e della Repubblica Democratica Tedesca, la Bundesliga iscrisse venti squadre. Due furono le squadre dell’ex DDR ammesse alla nuova prima divisione nazionale, l’Hansa Rostock e la Dinamo Dresda.
Il Magdeburgo dalla unificazione delle federazioni non ha partecipato a nessuna edizione della Bundesliga. Oggi disputa il campionato “2 Bundesliga”, che equivale alla nostra serie B, dopo esservi stato promosso dalla 3 Bundesliga nella stagione 2021-22.
Filippo De Fazio nato a Bari nel 1966, vive in provincia di Pavia. Grande appassionato di sport segue e racconta le vicende del calcio italiano, attuali e passate. Coltiva interessi per la musica, la lettura, l’Aikido, l'arte e la buona cucina. Collabora con più testate giornalistiche e, nel luglio 2023, ha pubblicato il suo primo libro, “Un anno in Nerazzurro”, dedicato alla sua squadra del cuore.
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