La guerra di Jürgen



Sport & Storia - Simone Donati | Storia | 26 marzo 2013 | 

Nel giugno del 1974 il mondo è diviso in due blocchi e sembra che debba restarci ancora a lungo, al Cremlino è ormai da dieci anni Leonid Breznev, che con la sua dottrina di ingerenza nella politica interna dei paesi aderenti al Patto di Varsavia è de facto padrone di un territorio esteso dalle coste albanesi affacciate sull'Adriatico a quelle siberiane bagnate dal Mare del Nord, mentre a Washington si giocano le fasi conclusive dello scandalo Watergate che vedrà conclusione di li a poco con la richiesta di impeachment per il Presidente Nixon. Il campo dello scontro di queste due superpotenze durante tutta la durata di quella che fu la Guerra Fredda fu più di ogni altro la Germania, sventrata e separata da un muro come una stanza di un appartamento qualunque, la sottile linea, mutuando una felice definizione di Tondelli, messa a dividere un mondo che si fingeva libero da un mondo che si fingeva felice, un mondo che offriva la possibilità di ricchezza e un altro che offriva la mancanza di povertà.

Ed è proprio in Germania che nel giugno del 1974 viene data la prima, lievissima scossa a quel muro che verrà smantellato soltanto un decennio e mezzo dopo: in Germania Ovest si disputa la decima edizione dei Campionati Mondiali di calcio e uno scherzo del destino ha messo nello stesso girone di qualificazione i fortissimi padroni di casa, capitanati da quel Franz Beckenbauer presenza fissa in tutte le classifiche dei migliori calciatori del ventesimo secolo, e i cugini dell'Est, all'esordio in un mondiale e tutti rigorosamente senza contratti da professionista. 

La partita è in programma per il 22 giugno ad Amburgo ed entrambe le squadre arrivano all'appuntamento senza sconfitte, avendo la Germania Ovest liquidato prima il Cile per 1-0 poi l'Australia con un facile 3-0 e quella dell'Est battuto 2-0 gli oceanici e impattato per 1-1 contro i sudamericani, sarebbe quindi bastato un pareggio per far accedere entrambe agli ottavi di finale. 

Per le strade della DDR nei giorni precedenti la sfida la disputa è su quanto grande sarà la disfatta dei ragazzi in casacca blu, troppo forti i ricchi giocatori dell'Ovest, star internazionali, da anni in primo piano sulla scena europea col Bayern Monaco, squadra per la quale sono tesserati ben sette, per essere fermati da una banda di Signor Nessuno militanti, nel migliore dei casi, nel Carl Zeiss Jena.

Al momento dell'entrata in campo il pubblico di casa, certo di stare per assistere alla conferma in campo sportivo di una superiorità percepita come schiacciante sul versante sociale e industriale, ruggisce allo scandire della formazione da parte dello speaker: Maier; Vogts, Schwarzenbeck, Beckenbauer, Cullmann; Grabowski, Overath, Müller, Hoeness, Flohe; l'undici che secondo tutti i pronostici non solo avrà vita facile contro la DDR, ma che andrà anche ad alzare la coppa all'Olympiastadion di Monaco il 7 luglio.

Come da previsione il primo tempo è dominato dalla Germania Ovest, che si dimostra incapace però di capitalizzare le numerose occasioni da rete, specialmente con Gerd Müller, che in una di queste riesce a superare l'ottimo portiere della nazionale dell'Est, Croy, dovendo però fare i conti col palo. Quando la partita ormai sembra avviarsi verso il pareggio, dopo 77 minuti di noia e di catenaccio “all'italiana” da parte della Germania Est, accade l'impossibile; Gerd Kische, terzino dell'Hansa Rostock che passerà alla storia del calcio come lo “Stachanov” della DDR del calcio, con zero minuti di assenza dal rettangolo di gioco in tutte le partite internazionali giocate in carriera, esce palla al piede dalla propria metà campo, alza la testa e indisturbato fa partire un traversone verso l'area di rigore avversaria, sul quale impatta quasi maldestramente Jürgen Sparwasser, onesto pedatore del Magdeburgo (non certo una squadra plurititolata), che si libera così di tre difensori in maglia bianca e a tu per tu col portiere Meier non può che segnare. 

La sua esultanza incredula, il suo levare le braccia al cielo non appena il pallone tocca la rete e la reazione dei quasi novemila tedeschi dell'est, arrivati ad Amburgo con visti turistici per appena la durata della partita, una vita da tedeschi poveri, da tedeschi “di serie B”, da tedeschi nati dalla parte sbagliata del Muro, quella in cui l'economia è un piano programmatico e sulla strada ci vanno le Trabant, e non le BMW o le Mercedes, è una delle pagine più commoventi e importanti che lo sport abbia mai scritto. Perché a quel gol non ne succedettero altri, nonostante un Beckenbauer infervorato continuasse a urlare “non è successo niente” spingendo la squadra verso un pareggio non così impossibile, e la Germania Est poté dire, per poche ore, di essere riuscita a superare, anche se in una cosa apparentemente effimera come il gioco del calcio, quella dell'Ovest.

Jürgen Sparwasser, eroe per caso, in patria fu reso simbolo della superiorità dello sport socialista e dilettantistico, manifesto vivente e calciante della propaganda al di là del Muro, fino a che non decise nel 1988 di fuggire nel Paese in cui aveva segnato il gol politicamente più importante nella storia del calcio. Vietatogli dal regime di conseguire il  sogno di laurearsi in fisiologia, che avrebbe implicato il rinunciare alla carriera di allenatore per cui era stato designato dall'apparato amministrativo della DDR, scelse di scappare in maniera rocambolesca dopo una partita di beneficenza tra vecchie glorie tedesche, andando in contro all'accusa di tradimento della patria.

Come per Sparwasser, quel pomeriggio di giugno fu per la Nazionale della Germania Est il vertice massimo della propria storia: qualificatasi come prima alla prima fase a gironi ebbe la sfortuna di incrociare nel secondo girone eliminatorio l'Olanda di Cruijff, che stava in quegli anni rivoluzionando il calcio, il Brasile, orfano di Pelé ma con buona parte della formazione che aveva alzato la coppa nel 1970, e l'Argentina, che la alzerà quattro anni dopo, e con un pareggio e due sconfitte dovette uscire dalla competizione, per la quale non riuscì mai a qualificarsi negli anni a seguire prima della riunificazione.

Del come sia stato possibile, che una formazione farcita di carneadi abbia sconfitto la squadra più forte al mondo, è uno dei grandi e affascinanti misteri del gioco del calcio, sport in cui può anche succedere che l'orgoglio, la passione e la voglia di rivalsa sovrastino, anche solo per novanta minuti, la tecnica, la forza atletica, il tatticismo da accademia.

Le emozioni che si leggono sui volti dei tedeschi dell'Est presenti quel giorno ad Amburgo, che si sono visti dare dal calcio in un'ora e mezzo ciò che la politica, l'economia, l'industria, la società non sono riusciti a dare a un Paese intero per quasi mezzo secolo, sono qualcosa di talmente grande che ancora non si sono esaurite del tutto. Lunga vita al calcio.

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