L’Europa Orientale nelle pagine di Pier Vittorio Tondelli
Attualità di Tondelli
L’interesse nei confronti di Pier Vittorio Tondelli, a più di vent’anni dalla sua prematura scomparsa, avvenuta nel 1991, a soli 36 anni, non ha mai conosciuto battute d’arresto. Vive nei cuori di lettori vecchi e nuovi, le pagine dello scrittore di Correggio sono state oggetto di molteplici interpretazioni da parte della critica letteraria non solo nazionale.
Interpretazioni che, seppur ampliando lo spettro d’analisi, non sempre hanno favorito una migliore comprensione della sua opera. Tra le tante riflessioni sugli scritti tondelliani meritevole di interesse, per le prospettive che schiude, è quella di Enrico Palandri, scrittore, saggista e coetaneo di Tondelli che esordì nel 1979 con quel Boccalone che in tanti accostarono per temi e luoghi ad Altri Libertini, forse il libro più importante della produzione tondelliana.
Filologia anni ‘80
Enrico Palandri in un breve saggio intitolato Tondelli e la generazione – uscito nel 2005 per Laterza – colloca l’opera di Tondelli all’interno di un particolare contesto generazionale, quello di un gruppo di intellettuali che, lasciandosi alle spalle il movimento degli anni ’70, si affacciavano con interesse e curiosità al nuovo decennio seguendo percorsi eterogenei e individuali.
“A differenza di molte generazioni del Novecento che, a partire dai futuristi, hanno cercato di trovarsi collettivamente nella storia e poi farsi largo come movimento artistico, il nostro è stato un atteggiamento individualistico, marcato non da un’adesione ma semmai da un rifiuto: segnato più dal montaliano ‘quel che non siamo quel che non vogliamo’ che da manifesti.”
Ribadita l’individualità dei percorsi e il rifiuto di una “poetica di generazione”, tratto questo che accomuna Tondelli e Palandri a scrittori a loro coevi come Del Giudice, De Carlo e Piersanti, Palandri – che nella sua disamina critica sceglie un taglio in cui la dimensione politico sociale affianca quella più squisitamente letteraria – evidenzia uno dei temi fondamentali dell’opera dello scrittore emiliano, ossia il suo profondo rapporto con gli anni ’80.
Nel capitolo intitolato “Anni ‘80” lo scrittore veneziano presentando i tratti distintivi di un decennio in cui si assiste per la prima volta nel Secondo dopoguerra alla rinuncia alla politica e alla nascita di “qualcosa di diverso” sottolinea come Tondelli finisca per diventare la figura di riferimento di quel decennio. “Pier vive gli anni Ottanta sull’onda dell’attenzione al gusto, alla musica, al significato seducente ma non segmentato da opposizioni ideologiche. A questa nuova epoca si dà con generosità: diviene la figura di riferimento per un passaggio che fa storcere il naso a molti, ma che raccoglie consenso in un nuovo territorio” .
Tondelli in una foto di metà anni ’80
Nulla di nuovo si potrebbe obiettare visto che da più parti è stato scritto come Tondelli sia stato un autentico filologo di quel decennio. In realtà Palandri sembra suggerire che una corretta comprensione dell’opera tondelliana passa proprio per una più approfondita analisi del rapporto che lega lo scrittore di Correggio agli anni ’80.
Un rapporto che va studiato senza alcuna censura o pregiudiziale. La censura cui si fa riferimento è quella di certa critica che usando paradigmi marxisti ha bollato quel decennio come frivolo e vacuo e Tondelli come uno scrittore disimpegnato. In primis il gruppo di “Linea d’Ombra” che considera Pier “un confusionario proprio perché viene via con tanta decisione dalla politica”.
Occuparsi del Tondelli filologo anni ’80 significa necessariamente prendere le mosse dal romanzo d’esordio Altri Libertini, pubblicato in quel 1980 che segna non solo l’inizio di una nuova decade, ma il sorgere di una narrativa nuova in Italia. Se come scrive Giuseppe Bonura con Il nome della Rosa di Umberto Eco – uscito sempre in quell’anno – “comincia la marcia trionfale della scrittura euforica e aideologica” è altrettanto vero che le ambientazioni anni ’70 presenti nel romanzo a episodi di Tondelli sono private di ogni riferimento ideologico (di qui le critiche degli intellettuali marxisti che continuano a teorizzare l’egemonia della politica sulla cultura) e vengono rilette alla luce di una nuova sensibilità.
A ben vedere è proprio questo l’elemento dirompente, rivoluzionario oserei dire eretico di Altri Libertini. L’eresia di Tondelli non è certo quella delle bestemmie – peraltro funzionali all’economia narrativa – presenti nel racconto "Postoristoro" che valsero allo scrittore un processo per oscenità da cui fu assolto con formula piena, bensì quella di essersi affrancato dagli anni ’70 restituendo centralità all’individualità dell’artista. Un’eresia ancora più forte perché questa operazione di emancipazione si realizza attraverso l’utilizzo di un linguaggio post-moderno che mescola l’alto e il basso, Céline e Kerouac, il teatro e i fumetti, l’opera e la musica rock.
Il postmoderno tondelliano, che troverà sistemazione compiuta ne Il weekend postmoderno – romanzo critico che raccoglie tutta la produzione giornalistica, letteraria e saggistica dell’autore e il cui sottotitolo non a caso recita "Cronache degli Anni '80" –, nasce dunque sull’asfalto della meravigliosa Autobahn che univa Carpi, periferia estrema di Berlino al Mare del Nord.
Il prisma berlinese
Con Altri Libertini Tondelli si pone dunque in discontinuità dialettica con la tradizione letteraria italiana degli anni '70, collocandosi sulla scia delle avanguardie culturali di un’Europa che guarda già, attraverso il prisma berlinese, oltrecortina.
Questo rapporto privilegiato con la metropoli tedesca che ha spinto Fulvio Panzeri a parlare di Berlino come del “luogo dell’anima tondelliana” merita di essere indagato in profondità.
Non solo perché Berlino fa da sfondo ad alcune tra le migliori pagine di Tondelli (su tutte lo splendido affresco nostalgico del racconto “Ragazzi a Natale”), ma perché è attraverso il contatto con questa città divisa che matura nell’autore emiliano la necessità sempre più pressante di confrontarsi con ciò che si schiude al di là del Muro. Approdato sulle rive della Sprea per la prima volta nel 1983 alla ricerca delle atmosfere decadenti anni ’30 descritte da Christopher Isherwood in Addio a Berlino, Tondelli viene a contatto con il “laboratorio culturale” e con la vivacità artistica di una città che agli inizi degli anni ’80 è un’autentica fucina di talenti.
L’underground berlinese di quegli anni esercita un’attrazione davvero singolare su scrittori, musicisti e cineasti. Non è un caso che alcune delle opere più significative in ambito musicale e cinematografico del decennio ’77-’87 nascano proprio dall’humus creativo delle case occupate di Kreuzberg e degli eleganti cafè mitteleuropei di Charlottenburg. Dal Bowie della trilogia berlinese ai Depeche Mode “kurtweilliani” di Black Celebration passando per il Wenders de Il cielo sopra Berlino, sono davvero molti gli artisti che vedono in Berlino un luogo in cui ambientare le proprie storie e in cui approdare alla ricerca di stimoli creativi. Parafrasando il Manzoni un vero risciacquare i panni nella Sprea! Al mito di Berlino non è immune neanche Pier Vittorio che a tal proposito nel 1990 rievocando quei giorni così scriverà:
“Nei primi anni Ottanta il mito di Berlino, del suo punk, delle case occupate di Kreuzberg, dei suoi teatri e della sua drammaturgia, di un modo di vivere disinibito e “facile” appariva come il più radicato presso le giovani generazioni. In tanti siamo andati a Berlino in quegli anni”.
CCCP
Tra i tanti anche due “vicini di casa” di Tondelli, Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, che proprio a Berlino si conoscono e danno vita ai CCCP Fedeli alla Linea.
Racconterà Zamboni nel 1985 in un’intervista alla fanzine Snowdonia: “La storia è nata quando ho incontrato Giovanni a Berlino per puro caso; anche se abitavamo nella stessa città – Reggio Emilia – non ci conoscevamo assolutamente. Ci siamo trovati in discoteca a Berlino e questo ci ha ispirato molte cose: il tutto accadde quattro anni fa circa. Ci aveva ispirati il fatto che c’erano un sacco di gruppi berlinesi che suonavano musica che era soltanto berlinese, vale a dire era cantata in tedesco e parlava di loro, non era né funky, né parlava di cose che succedono in America. L’altro stimolo è che un giorno siamo andati a Berlino Est e da lì sono cominciate a frullare un po’ di cose […] anche a Berlino Est ci sono i punks, c’erano delle storie del genere e noi siamo stati colpiti da questo fatto, perché di solito pensi che aldilà c’è la steppa, ben che vada”.
Punk Falce e Martello
Pier Vittorio, che all’attività di romanziere ha sempre affiancato quella di giornalista, caratteristica anche questa che contribuisce a farne una figura di scrittore sui generis, non può che raccontare con interesse ciò che succede nel vivace laboratorio culturale di Berlino.
Nel novembre del 1984 in un articolo sulle pagine del settimanale l’Espresso, divenuto ormai celebre – “Punk, Falce e Martello” – lo scrittore si interroga “sul diffuso bisogno di un confronto con l’impero sovietico, senza però gli atteggiamenti caricaturali e le deformazioni del passato”. L’operazione di Tondelli non è di tipo ideologico. Da acuto osservatore dell’universo giovanile l’autore percepisce che il desiderio di confrontarsi con l’immaginario sovietico, un mondo alieno ai codici estetici occidentali, è pressante, reale, inderogabile.
A sostegno di questa tesi, sicuramente audace in anni di “edonismo reaganiano”, Tondelli cita il recupero dell’iconografia sovietica nei videoclip dei Frankie Goes To Hollywood, le monografie dedicate alla Russia dalla rivista francese “Metal Hurlant”, i suoni industrial di Cabaret Voltaire e Depeche Mode ispirati ai Fehlfarben, band della DDR e in Italia il punk filosovietico dei CCCP Fedeli alla Linea. L’articolo – che ex-post finisce per assumere una valenza notevole in quanto precorre l’attuale tendenza alla riscoperta di un’identità europea, quella orientale, sottratta alla storia dalla divisione in blocchi della guerra fredda – lascia spazio anche gli interventi del filosofo Stefano Bonaga e del semiologo Lorenzo Miglioli. Entrambi leggono questo “mal di Russia” – in realtà sarebbe più corretto chiamarlo di Unione Sovietica – come la volontà di andare alla scoperta di un mondo quello dell’URSS sconosciuto, misterioso e affascinante anche da un punto di vista estetico in quanto “altro” rispetto a ciò che impera in Occidente.
Depeche Mode – Black Celebration
Bonaga sottolinea come sia “interessante rilevare come spesso una forma che non funziona più a livello etico-politico (in questo caso la figura “socialista” del rigore del consumo e della povertà comunicativa) viene recuperata e stilizzata in senso estetico, come se fosse nell’ordine di una bellezza archeologica”. Tondelli conclude evidenziando che “il filosovietismo anni ’80, così come si sta configurando nel panorama delle voglie e dei discorsi giovanili, appare soprattutto come un problema di identità culturale, un voler fare i conti con duemila anni di cultura europea che pochi decenni di divisione non basteranno certo a cancellare; è un bisogno di avventura e di scoperta di qualcosa che, pur essendo vicino, è meno abbordabile di un qualsiasi viaggio intercontinentale”.
Negli anni successivi lo scrittore di Correggio – mosso dall’idea affatto suggestiva che se era stato possibile immaginarsi “la pianura padana come una prateria, la Via Emilia come un Sunset Boulevard” allora quella prateria si sarebbe potuta trasformare in steppa – fa meta oltrecortina alla ricerca dell’"Europa perduta”.
Dresda
Degno di nota è “il viaggio sentimentale” a Dresda. Il resoconto di questa visita nella Firenze sull’Elba, pubblicato nel numero di aprile del 1985 della Rivista “Antiquariato”, presenta diversi motivi di interesse.
Innanzi tutto per la duplice valenza di diario di viaggio ricco di impressioni e osservazioni su questa città d’arte avvolta nella grigia atmosfera socialista – esemplari in tal senso le descrizioni della stazione ferroviaria, della Prager Strasse e dei palazzi costruttivisti con scritte che inneggiano al Socialismo – e di studio preliminare, questo lo scopriremo qualche anno più tardi, per l’ambientazione di alcune pagine di Camere Separate. Nello specifico quelle relative al viaggio in treno da Berlino Est a Dresda di Leo e Thomas, i due protagonisti del romanzo. Tondelli nel restituirci le glaciali atmosfere d’oltrecortina ritrae una Dresda autunnale che sembra uscita da un film di Godard.
“Erano solamente le cinque di sera di un giorno di novembre e loro stavano rinchiusi nella stanza novecentoquattro del Lilienstein Hotel e guardavano, oltre le tendine trasparenti, il flusso di pendolari sulla Prager Strasse. Dalla parte opposta della strada c’erano altri alberghi, praticamente tante variazioni millimetriche dell’unico modulo dell’architettura socialista.”
Se confrontiamo il reportage giornalistico, poi incluso nella sezione Viaggi de Il weekend Postmoderno, con le pagine sopraccitata di Camere Separate intuiamo facilmente come siano il frutto di quella stessa visita avvenuta nel dicembre 1984.
Il confronto tra i due testi finisce tra l’altro per chiarire l’affermazione di Tondelli secondo cui il Weekend poteva essere legittimamente considerato come una raccolta di testi giornalistici in alcuni casi preliminari all’elaborazione narrativa vera e propria che sarebbe poi confluita nei suoi romanzi. Una sorta di materia grezza con un suo valore intrinseco ma suscettibile di un’ulteriore manipolazione per fini narrativi. Venendo al tema oggetto di questa trattazione, ossia il rapporto tra Tondelli e l’Est Europa, l’essenza più profonda di questo resoconto nella DDR sta probabilmente nella contrapposizione tra l’illustre passato di Dresda, città d’arte, fulcro artistico dell’Europa Centro-Orientale sin da metà '500 e il volto assunto dalla stessa città negli anni del socialismo reale.
“Questo viaggio sentimentale a Dresda inizia, come per tanti visitatori, dalla cupa stazione ferroviaria per sfociare immediatamente, accompagnato da una folle taciturna e spedita, sulla grande Pragerstrasse, la via di rappresentanza, la strada dei grandi alberghi statali, l’isola pedonale che costituisce il volto della ricostruzione socialista: strade ampie, pavimentazioni moderniste, a grandi mosaici policromi che, però, provocano uno spiazzamento angoscioso: la mancanza di traffico, di passeggio, di insegne di locali e di negozi, di scritte pubblicitarie ( alla sommità di un palazzo un grande pannello luminoso recita: DIE SOZIALISMUS SIEGT, ovvero “Il Socialismo vince”) costituisce un segnale tangibile di un’altra realtà, di un altro modo di vivere, come mi dirà una ragazza al ristorante, lo stress della contemporaneità”.
Ma si badi bene in Tondelli non c’è un discorso politico di condanna verso il regime comunista piuttosto la volontà di ribadire il messaggio programmatico contenuto in “Punk, Falce e Martello”: la necessità per gli occidentali di riscoprire dei luoghi intimamente legati alla radici culturali e storiche dell’Europa.
Murales sul Muro di Berlino
Perestrojika, Glasnost, Crollo del Muro di Berlino
Quando l’11 marzo 1985 Michail Gorbaciov viene eletto Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito in Unione Sovietica, inizia sotto la sua guida una politica di riforme che avrà una grande eco in tutto il mondo. Parole come Glasnost (“trasparenza”) e Perestrojika (“ristrutturazione”) entrano nel linguaggio comune dei media occidentali e italiani.
Va da sé che il processo di apertura del blocco orientale che avrà come conseguenza ultima il dissolvimento dell’URSS, finisce per dare maggiore visibilità alle vicende che accadono oltrecortina. Improvvisamente l’Est Europa riemerge da un silenzio durato quasi 50 anni.
Sono in tanti quelli che dopo il crollo del Muro di Berlino del novembre 1989 si avventurano nei territori dell’ex cortina di ferro alla ricerca di simboli e icone di un mondo appena spazzato via dalla Storia.
Pier Vittorio che in quel periodo – siamo agli inizi del 1990 – sta lavorando a un nuovo progetto editoriale, la rivista Chorus assieme a Giordano Bruno Guerri capisce come sia necessario avventurarsi nelle capitali ex socialiste per toccare con mano, osservando e parlando con la gente, i cambiamenti e le novità che interessano queste città riconquistate a pieno diritto all’Europa.
In una lettera privata indirizzata a Guerri, che del mensile Chorus era il direttore così scrive:
“Caro Giordano [….], ti dico quello che io potrei al momento fare: a) Paesi dell’Est – Un viaggio nelle culture giovanili di Budapest, o di Varsavia, o di Leningrado. Nei prossimi anni gran parte delle novità è probabile verranno da queste parti. Tralasciare gli aspetti più giornalistici per raccontare i modi di vita, i locali, le discoteche, l’arte, il teatro, i rapporti interpersonali fra i giovani di queste città. Partirei con Budapest” .
La prima tappa di questi viaggi, che nelle intenzioni di Pier Vittorio avrebbero dovuto raccontare la vita quotidiana e l’immaginario giovanile di queste città, sarà proprio la capitale magiara.
Sarà purtroppo anche l’ultima, visto che di lì a poco Tondelli ci lascerà.
Se fosse ancora tra noi probabilmente ci racconterebbe con quel suo stile accattivante e colloquiale da confidente o da fratello maggiore erudito e cosmopolita del fascino asburgico di Leopoli o delle assolate spiagge sul Mar Nero di Batumi.
Massimiliano Di Pasquale
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