LE MANOVRE SULLA BBC


Seimila dipendenti, un miliardo di spettatori/ascoltatori in tutto il mondo, niente pubblicità. 
Il “caso Panorama-Trump” manda in crisi la tv britannica, all’ombra di Farage

LEONARDO CLAUSI
Il Manifesto - Mercoledì 12 novembre 2025
Pagina 16

È l’equivalente giudiziario di un film peplum tipo Ercole sfida Sansone, o di un blockbuster come Alien contro Predator, ma c’è poco da ridere: “Donald Trump contro la BBC” è surrealisticamente vero. Breve riassunto. Lunedì, dopo una settimana di rivelazioni sul Daily Telegraph, le due massime cariche esecutive dell’emittente britannica, il direttore generale Tim Davie e l’ad di BBC News Deborah Turness si dimettono in seguito a dirompenti accuse di parzialità (il famigerato bias) mossegli dal suddetto quotidiano, che strilla da anni contro il mite liberalismo dell’azienda visto come comunismo rivoluzionario. Accuse, ahiloro, impeccabilmente sostanziate.

In un episodio dell’illustre programma di approfondimento Panorama dal titolo "Trump: A Second Chance?" andato in onda una settimana prima delle elezioni presidenziali statunitensi del 2024 in occasione delle quali avrebbe perso il punto interrogativo, le immagini del discorso di Donald Trump durante la rivolta del Campidoglio del 2021 erano state infatti montate in modo da far sembrare che il tycoon avesse incoraggiato la violenza tra i suoi sostenitori. «Arriveremo al Campidoglio, e io sarò lì con voi. E combatteremo, combatteremo a morte». Frasi che Trump aveva pronunciato con un intervallo di circa un’ora e che la redazione aveva assemblato in una mossa che se non fosse tabù deontologico colpirebbe per la pigrizia e la sciatteria.

IMMEDIATA LA REAZIONE della Casa Bianca dall’ala spezzata. Nel weekend, Karoline Leavitt, l’addetta stampa di Trump, ha descritto la veneranda istituzione del principale alleato degli USA «100% fake news» e una «macchina propagandistica». E poco prima delle doppie dimissioni, il litigioso presidente degli Stati Uniti, che ha già munto milioni da vacche mediatiche ree di averlo descritto per quello che è, ha minacciato di fare causa al servizio pubblico britannico e occidentale per eccellenza. Vuole un miliardo di dollari, a meno che la BBC non si scusi pubblicamente e raddrizzi il torto in sala di montaggio. Al momento la fattibilità legale di tutto ciò è al vaglio di manipoli di avvocati.

È più che evidente che si tratti di un tentativo, riuscitissimo, di rovesciamento dei vertici dell’azienda, alla vigilia, l’anno prossimo, della ridiscussione della proprio charter (statuto/licenza) e finanziamento (il canone è in discussione) con il governo britannico e che le destre britanniche detestano per via delle stentoree (magari) equidistanze e obbiettività viste come solo millantate, soprattutto quando si tratta di diritti LGBTQ+ (secondo loro troppo strombazzati) e il genocidio a Gaza (narrato, secondo loro in modalità “ProPal”, ma è vero anche il contrario). Il Telegraph era entrato in possesso di un memo redatto da Michael Prescott, un ex-consulente esterno dell’emittente, assai vicino a Robbie Gibb, uno dei membri del board della BBC in quota ai Tories nonché amico dell’ex premier Theresa May.

SU TUTTO ALEGGIA poi la temuta installazione di Nigel Farage a Downing Street (il primo, vero punto di non ritorno dell’Occidente europeo). Questi detesta la BBC nonostante l’ironia del fatto che proprio la dimissionaria Turness avesse insistito perché le news coprissero di più le gesta di Reform (il partito di Farage), in omaggio a una suicida quanto sciocca imparzialità. Non solo. Lo stesso Farage che tuona contro la faziosità del servizio pubblico ha un talk-show nella privatissima GBNews, network dell’hedge fund manager Paul Marshall, al quale l’addetta di Trump, Leavitt, si è peritata di lanciare un bell’endorsement via-X: «BBC News sta morendo perché sono Fake News anti-Trump. Dovrebbero tutti guardare GBNews!», ha chiosato. È anche così che la cartellizzazione trumpiana delle destre occidentali procede nel suo smantellamento mediatico e istituzionale delle democrazie liberali.

ANCHE PER QUESTO, il fin troppo solerte abbandono dei vertici del servizio pubblico, che è arrivato dopo giorni di bordate dei titoli del Telegraph senza che fosse rilasciata alcuna dichiarazione ufficiale da parte dell’azienda, ha lasciato sbigottiti parecchi tra colleghi e osservatori. E suona quanto mai sfiatata la chiamata alle armi dell’ex direttore Davie che ieri, dalla tranquillità del privato cittadino, ha esortato i colleghi a «difendere il nostro giornalismo».

Per tacere del mesto silenzio di Keir Starmer e del suo governo, limitatisi finora ad anodine dichiarazioni. Sanno di non poter importunare troppo il monarca Trump ebbro sul trono, soprattutto dopo l’umiliante rinegoziazione sull’ammorbidimento tariffario da poco conclusa. Anche per questo non sfugge a nessuno l’imbarazzo di un canale come BBC News 24, imbattibile in quanto a professionalità, dove un veterano come John Simpson non si stanca mai di ricordare che i suoi programmi «non hanno nemmeno una traccia di spin».

Va da sé che questi tempi funesti, quasi funerei per la BBC - seimila dipendenti, un miliardo di spettatori/ascoltatori in tutto il mondo, niente pubblicità, presa a modello da tutte le democrazie liberali occidentali che nemmeno potevano sognarsi la stabilità giurassica della monarchia imperial-costituzionale britannica - sono specchio dell’isterica frammentarietà e rivalità ideologiche che fomentano l’opinione pubblica. È la fine del giornalismo keynesiano che ha contraddistinto il (secondo) Dopoguerra e informato la BBC di Lord Reith, che secondo il commovente (oggi) suo mandato doveva «informare, educare, intrattenere».

DA ULTIMO, SE È VERO che la topica di Panorama è imperdonabile, secondo alti standard, è anche vero che Trump aveva evidentemente aizzato i suoi nell’anti-presa della Bastiglia di quel 6 gennaio. E che, come dice Jonathan Foster, docente di giornalismo presso l’università di Sheffield, se uno dice che piove e un altro che non piove, non è compito del giornalista citarli entrambi, bensì di guardare fuori da quel c***o di finestra e vedere se piova o no. L’idea che la BBC venga meno, oltre a far tremare i polsi dei liberali, dovrebbe preoccupare tutti: sarebbe una vera finis Europæ, l’avvento definitivo del far west americano nel continente che più di ogni altro dell’America del Nord, è corresponsabile. Certo, la BBC è sempre stata filogovernativa, e deve la sua superiorità, soprattutto nella copertura degli esteri, alla permanente sua infrastruttura imperiale.

Ma basta che uno guardi (ancora) i tg italiani, per desiderare improvvisamente di tenersela ancora stretta.

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