Sodinha, il peso della verità

Un nome che sembra arrivare direttamente da uno di quei telefilm di fine anni 80’, un fisico non proprio ‘scolpito’ e due piedi che sono pura poesia. Aprite le porte, mettetevi pure comodi: benvenuti nel mondo di Sodinha.
Chiamavano così mio padre e il soprannome è passato a me – racconta il trequartista brasiliano del Brescia ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – anche perché nella squadra di calcio a cinque in cui giocavo eravamo in 4-5 a chiamarci Felipe, perciò così mi distinguevo”.

- Sì, OK. Ma non solo per il nome, c’è da scommetterci. 
“Dicevano che ero bravo, mi sono sempre divertito a giocare a calcio: fino a 15 anni ero indeciso se fare calcio a 5 o a 11, poi ho scelto quest’ultimo e ho iniziato a giocare nel Paulista”.

- In Brasile, però, non rimani per molto. Entri nei radar dell’Udinese e per te si aprono le porte dell’Italia.
"Esatto. L’Udinese mi ha chiamato a 17 anni, ma essendo minorenne non potevo lasciare il Brasile. In Italia però arrivo l’anno seguente: sei mesi in prima squadra per ambientarmi, poi due anni nelle giovanili e successivamente varie esperienze in prestito che mi sono servite molto per il mio futuro". 

- Tra queste, il Bari allenato da un giovane Antonio Conte. 
"Era il 2008, sono stato lì i primi sei mesi poi sono tornato in ritardo dal Brasile e allora Conte mi ha mandato via: ma aveva ragione, ha fatto bene. Da quella volta non l’ho più sentito. Tutte le esperienze che ho fatto in prestito mi sono servite. Ed oggi, a 26 anni, mi sento finalmente pronto a dare il meglio di me stesso". 

- Una stagione che per te è iniziata un po’ in ritardo rispetto ai tuoi compagni. Cosa è successo a inizio estate?
"Sono arrivato dal Brasile in ritardo, inoltre ero anche sovrappeso. Ma questo è successo perché mi sono fatto male in una partita di beneficenza per i bambini delle favelas e non mi sono potuto allenare come dovevo. Inoltre mio fratello stava male, era in ospedale, non me la sentivo di abbandonare la mia famiglia".

- Periodo difficile, ma oggi tutto è alle spalle. E Brescia è tornata a gioire anche grazie alle tue giocate.
"All’inizio mi trattavano tutti male, ma non avevo ucciso nessuno: ho sbagliato e mi assumo le responsabilità. Ma è acqua passata. Sabato sono entrato in campo voglioso di far bene, poi con Caracciolo parliamo la stessa lingua: ho immaginato il suo movimento e senza guardare…E’ andata bene, ora però spero di giocare presto dall’inizio". 

- Magari con qualche chilo in meno…
"Quando mi dicevano che ero grasso all’inizio mi arrabbiavo, però adesso mi rendo conto che avevano ragione: scendere di peso non può che farmi bene. Sto facendo la dieta sì, ma mi alleno meglio: per due mesi ho fatto doppia seduta, accanto a me il fisioterapista Paolo Ringhini che mi ha aiutato tantissimo, in campo e fuori. Adesso peso 86 chili, ne devo perdere ancora 2-3. Ho sofferto tanto, ora spero di arrivare presto al 100%". 

- Dieta, allenamenti duri e fuori del campo?
"Ora sono una persona tranquilla, ma da giovane ne ho fatti di casini, lo ammetto. Sono arrivato all’Udinese dalle favelas e con i primi soldi mi sono divertito troppo, qualche uscita in più diciamo. Ora, invece, faccio vita da ‘vecchio’: allenamento, casa, play e la sera un film"

- E pensare che nella tua carriera sei anche stato fermo per una stagione.
"Purtroppo ho subìto 4 operazioni al ginocchio, non è stato semplice. Mi allenavo con una squadra in Brasile, ma non ero sotto contratto. Poi al mio agente è arrivata la chiamata del Brescia, se sono arrivato qui è merito di Calori. Spero di portare questa squadra in A". 

- Ma con un fisico diverso dove sarebbe oggi Sodinha?
"Al Barcellona, come il mio idolo Ronaldinho. Il mio sogno è quello o comunque arrivare in una squadra top: se ci riuscissi potrei finalmente aiutare la mia famiglia e i bambini delle favelas, è la cosa a cui tengo di più. Farei di tutto per regalargli un sorriso. Nazionale? Io ci spero, forse non è troppo tardi. Magari essere convocato per il prossimo Mondiale, chissà…". 

Staff – Nino Caracciolo

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