Fignon, la lezione del Professore


#centogiro 1989 - I GRANDI SCRITTORI

di Filippo Cauz

Il soprannome "Professore" glielo avevano dato per quegli occhialetti dalla montatura leggera che indossava in corsa. Cascava a pennello quel soprannome, perché il Professore ha insegnato ciclismo fino all'ultimo. Fino a quando se n’è andato, cinquantenne, nel 2010. Quella è stata l'ultima volta che è morto.

// Sulle strade del Giro Fignon fu assassinato nel 1984, colpito dalla cancellazione dello Stelvio, liquidato nel finale di Verona, quando - dissero - ci si misero persino gli elicotteri a frenare la sua cronometro e a incoronare Moser. Risorto in fretta per dominare il Tour, Fignon precipitò poi in quattro stagioni di andirivieni dall'aldilà di una carriera che non riusciva a reggersi sulle sue ginocchia e nemmeno sul suo cuore, spezzato dalla morte per incidente dell'amico Pascal Jules, cui il Professore avrebbe dedicato tutti i suoi successi a venire.

// Quando nel 1989 arrivò al tappone di montagna in rosa, la strada della nuova rinascita di Fignon sembrava intrapresa. Aveva conquistato la maglia in una giornata da tregenda sulle Dolomiti: "Rispondevo alla violenza degli elementi con un altro tipo di violenza, come se fossi spinto da questo tempo infame verso una specie di esaltazione". Mancava solo un particolare al suo Giro: una vittoria in maglia rosa. Annullato (di nuovo per neve) il tappone, il Professore andò a prenderserla nel modo più inatteso. A La Spezia attaccò in pianura, a due chilometri dall'arrivo; fu ripreso giusto in tempo per battere tutti i migliori allo sprint, con una superiorità schiacciante. Con quella stessa superiorità avrebbe potuto vincere pure il Tour successivo, ma sui Campi Elisi il peso del suo tormentato destino sarebbe tornato a farsi sentire, e il risultato furono otto secondi, gli otto secondi più famosi del ciclismo, quelli che premiarono un altro risorto, Greg Lemond.

// Morto troppe volte e troppo presto, a Fignon sono state intitolate due strade e una piazza, un sentiero nei boschi, un centro sportivo e persino un asteroide. Al ciclismo lui ha lasciato tante storie, e un libro su cui studiare, Nous étions jeunes et insouciants, "Eravamo giovani e spensierati", una delle autobiografie più dense di tutto lo sport, fotografia di un'epoca disincantata del ciclismo, di una generazione di "distruttori di vite, ladri del fuoco, ingannatori del tempo, pirati di generosità". Un libro in cui il Giro viene ricordato citando Dino Buzzati, sicché "i grandi scrittori non si sbagliano spesso, perché il Giro si è sempre rifiutato di arrendersi, e ciò era ancora più vero ai miei tempi". Laurent Fignon, il Professore, in fondo è stato anche lui un grande scrittore.
Filippo Cauz

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