SAGAN, STRAORDINARIAMENTE ORDINARIO

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29 MARZO 2016
BY DAVIDE BERNARDINI


“Ho lo stesso cognome di uno scienziato famoso, che ha anche scritto libri di fantascienza. E voglio farle anch’io, nel ciclismo, cose da fantascienza”


Uno così non l’abbiamo mai visto.


Non solo sportivamente parlando: nossignore.


Intendo proprio un tipo come lui, un personaggio come lui con una personalità come la sua.


Peter Sagan è semplice e complesso, capace di sconcertanti vittorie e scioccanti debacle.


Iperattivo ed iper-reattivo ma allo stesso tempo leggero e profondo.


Tanto guascone e talvolta irritante quanto lodevole e irresistibile.


Peter è tutto questo e qualcosa in più, è un prodigio della natura.


Fa tutto ciò che vuole perchè è lui che decide così.


A soli venticinque anni ha toccato tutti i punti più estremi che una persona ed un atleta possono toccare: dalla gloria all’infamia, dall’amore all’odio, dall’essere una stella a dover ripartire da zero.


E per lui è tutto dannatamente normale.


Quello che ai nostri occhi risulta straordinario, dalle sue prestazioni ai suoi modi di fare, per lui è ordinario, normale.


Uno così straordinariamente ordinario il mondo non l’ha mai visto.


Spesso si tende a pensare che personalità di questo genere siano frutto di una vita agiata, un’infanzia e un’adolescenza passate nella bambagia e con la consapevolezza di poter fare ciò che si vuole.


Ma questa è tutta un’altra storia. Non ha praticamente niente di normale o in comune con altre leggende di questo genere.


Eh si perchè se Peter Sagan non esistesse per davvero, la sua storia potrebbe essere benissimo usata per fare un figurone in una di quelle infinite nottate estive trascorse davanti ad un falò.


Il 26 gennaio 1990, un fascio di luce fa la sua comparsa a Zilina, Slovacchia.


Una stella sarebbe allora nata qui, in questo freddo paese dell’Est che poco si presta nell’immaginario collettivo ad essere il luogo di nascita e di partenza di un racconto così.


E invece è il contesto perfetto: una terra fredda, ferita, che preferisce difendersi a denti stretti piuttosto che aprirsi un po’. Terra martoriata da guerre e conflitti, terra di confine tra il vecchio e il nuovo mondo.


Peter Sagan interiorizza quest’ultimo concetto, quasi un voler rappresentare una spaccatura tra un vecchio e un nuovo ordinamento. Un qualcosa di mai visto prima.


Il ragazzo è energia allo stato puro. Emana vitalità ed energia come se fosse una fonte, sprizza vita da tutti i pori.


Nonostante il rigido inverno slovacco, il ragazzo non riesce proprio a stare fermo: i suoi genitori, umili mestieranti, gli fanno fare tutti gli sport per i quali il ragazzo mostra interesse.


Dal calcio al karate, passando per il nuoto.


Eppure ognuno di questi sport ha su Peter lo stesso effetto di una normale cotta: sembra amore, passano un paio di mesi e alla fine amore non è.


Fino ad una domenica di aprile del 1999.


Assiste per la prima volta ad una corsa di bici: ci va perchè corre Juraj, suo fratello di diciotto mesi più grande. Peter può esultare, Juraj dà prova del talento che ha e di cui tutti parlano e vince la corsa.


Appena tornano a casa però il palcoscenico se lo prende Peter: “Ho deciso, voglio correre in bici anche io”.


E qui il destino fa il suo gioco. I suoi segnali, le sue manifestazioni, raramente sono di facile comprensione. Si muove spesso nell’ombra, sembra non esserci e dopo una frazione di secondo te lo ritrovi davanti.


Peter disputa la sua prima corsa di bici un mese dopo aver assistito alla vittoria del fratello.


Ironia della sorte, gareggia col numero uno. E vince per distacco.


Giusto, l’aneddoto più importante: il destino, la sua scelta, l’aveva già fatta qualche hanno prima.


Peter è l’unico dei quattro figli che impara ad andare in bici senza l’ausilio delle rotelle.


Predestinato.


La situazione diventa insopportabile, quasi insostenibile.


Peter vince praticamente sempre e in qualsiasi disciplina: strada, mountain bike, ciclocross.


A farne le spese è la sua istruzione: tutte le mattine, invece di andare alle lezioni, indirizza la bici nel senso di marcia opposto e tanti saluti.


Il suo futuro, lui, sa già qual è. E lo sanno tutti i suoi cari.


Inizialmente sembra ormai avviato a fare la sua fortuna in mountain bike: a diciotto anni, da juniores, è campione nazionale, europeo e mondiale.


“Ricordo che quell’anno migliorai molto nelle discese. Il segreto è non guardare ai lati, anzi non guardare niente. Sono caduto tante volte, ma non mi sono fatto mai nulla”, il suo semplice ma lapidario commento.


Eppure manca qualcosa, la MTB è una realtà che a Peter va troppo stretta.


Così si cambia, si lavora in ottica “strada”.


E lo fa in Italia. Quell’Italia che si è accorta di lui attraverso gli occhi di Gian Enrico Zanardo, che aveva già lanciato corridori del calibro di Silvio Martinello e Frank Schleck.


Zanardo lo segnala alla Liquigas che non ci pensa due volte.


Il 2009 è un anno di transizione e adattamento per il giovane.


Il 2010 invece è l’anno dell’esordio tra i professionisti.


Un dritto in pieno volto, un’entrata a piedi uniti. Un gol in rovesciata, un sorpasso all’ultima curva.


Il debutto di Peter tra i prof è a dir poco scioccante. Come un terremoto che si abbatte sull’intero mondo del ciclismo.


Fa sue due tappe alla Parigi-Nizza: nella prima anticipa Purito, Voigt, Contador, Roche e Tony Martin. Due giorni dopo fa ancora meglio: arriva in solitaria.


Continua a vincere per tutta la stagione per poi migliorarsi ulteriormente nel 2011: tappe al Tour de Suisse, trionfa nel Tour de Pologne (il più giovane di tutti i tempi a fare sua una corsa a tappe del World Tour) e centra addirittura tre tappe alla Vuelta.


Il 2012 è l’anno della definitiva esplosione: oltre alle sue volate, perchè ormai son quasi totalmente roba sua, ottiene piazzamenti clamorosi anche nelle classiche.


Quarto alla Sanremo, secondo alla Gand-Wevelgem, quinto al Giro delle Fiandre e terzo alla Amstel Gold Race.


Poi va in California e su otto tappe ne vince cinque, CINQUE.


Torna in Europa facendo razzia di vittoria in Svizzera: quattro tappe, la prima è una di quelle vittorie che lascia tutti impietriti, quasi impauriti per quanto grande ed importante risulta essere.


Peter Sagan anticipa Fabian Cancellara di un secondo e fa suo il prologo del Giro di Svizzera: no, non è un caso.


E poi signori miei, il banco di prova per eccellenza, la prova del nove: il Tour de France.


Qui si capirà subito di che pasta è fatto veramente questo ragazzo.


Farà il fenomeno oppure imploderà sotto il peso dell’ambiente e verrà ricordato come una meteora, un eterno piazzato?


Peter manda un segnale forte e chiaro nella seconda tappa, la prima in linea: sullo strappo conclusivo risponde allo scatto di Cancellara, in maglia gialla, non gli dà nemmeno un cambio nonostante i gesti plateali dello svizzero per poi andare a trionfare nello sprint.


Oh mamma mia.


Trionfa in altre due occasioni e fa sua la prima di quattro (!) maglie verdi.


E’ nata una stella, anzi, citando le parole che ha usato Ivan Basso per descriverlo, “il mondo ha visto un fenomeno”.


Il 2013 è l’ennesima stagione nel segno di Peter Sagan.


La sua onnipresenza nel finale di ogni corsa che conta è semplicemente disarmante: tappe alla Tirreno-Adriatico, secondo nella Sanremo della bufera di neve, ancora secondo ad Harelbeke finchè non arrivano i primi risultati che fanno presagire veramente qualcosa di grande.


Trionfa in solitaria alla Gand-Wevelgem e fa secondo al Giro delle Fiandre dietro al suo rivale, quel Fabian Cancellara che nemmeno un anno prima aveva anticipato per aggiudicarsi la sua prima vittoria alla Grande Boucle.


Trionfa ancora in estate, in California prima e in Svizzera poi. Al Tour de France vince una sola tappa ma grazie ad una miriade di piazzamenti conquista per la seconda volta consecutiva la maglia verde della classifica a punti.


Non si ferma nemmeno nell’ultima parte di stagione: alla fine del 2013, i successi stagionali ammonteranno a ventidue.


Peter Sagan ha il mondo ai suoi piedi. Vince moltissimo e quando non vince arriva tra i primi cinque.


E’ un fenomeno in volata, il futuro sul pavè, ha la sparata perfetta per una breve cronometro o per un’azione da finisseur e tiene alla grande sugli strappi e non è del tutto fermo in salita.


E’ un vero e proprio personaggio, al di là del risultato.


Che sia pianura o salita, quando decide che deve impennare per regalare un momento di gioia ai tifosi, impenna.


Ogni volta che vince esulta in modo diverso: un urlo, una danza, addirittura mima la corsa di Forrest Gump.


E’ attivissimo sui social network, fuori dalla corsa è sempre pronto a scherzare anche con i suoi colleghi e rivali. Arriva a palpare il sedere di una miss sul podio del Giro delle Fiandre.


E’ incontenibile, un fiume in piena.


Sono in molti a pensare che tutte queste sceneggiate siano frutto di un egocentrismo fuori dal comune: diciamo anche che le parole di Peter, “le lezioni di recitazione erano le uniche che seguivo. Mi sarebbe piaciuto anche sfondare ad Hollywood”, non aiutano a placare queste voci.


E invece è tutto dannatamente vero: non c’è finzione, gli spettacoli di Sagan sono la rappresentazione concreta di tutto ciò che lui ha in mente.


Lui è quella toccata di culo alla miss, lui è quel dominio sulle strade di tutto il mondo, lui è quel “corri Forrest, corri!” che ha mimato sul traguardo di una tappa del Tour de France.


Perfino Eddy Merckx si sbilancia arrivando a dire che si rivede in Peter Sagan.


La risposta dello slovacco è semplicemente sublime, impensabile: “Io non voglio essere il secondo Eddy Merckx. Io voglio essere il primo Peter Sagan”


Fammi capire, il ciclista più vincente di tutti i tempi spende parole al miele per te, e tu non hai niente di meglio da fare che rispedirle al mittente?


Fantastico!


Il 2014 porta con sè poche vittorie per lo slovacco: trionfa ad Harelbeke e fa sua una tappa alla Tirreno-Adriatico, al Giro di Svizzera e in California, quelli che per lui sono ormai appuntamenti fissi in preparazione al Tour de France.


E’ ancora maglia verde ma non riesce a vincere nemmeno una tappa: il piazzamento più clamoroso arriva nelle settima tappa, quella con traguardo a Nancy, dove il nostro Matteo Trentin si impone sullo slovacco per una manciata di centimentri.


Tanti piazzamenti per Peter: non è più lui.


Si vocifera di un cambio di allenatore in casa Cannondale che forse ha penalizzato l’intero team.


Sagan sembra aver perso il suo brio, la sua luce negli occhi che lo aveva contraddistinto fino ad ora.


Il 2015 si rivela l’anno peggiore della sua ancor giovane carriera ma probabilmente il più importante nel percorso di formazione più psicologica e mentale che fisica e atletica.


Peter incassa una serie di sconfitte e piazzamenti che farebbero cadere in depressione chiunque.


In volata ha spesso qualcuno che lo anticipa, sul pavè e sugli strappi non è più brillante come gli anni scorsi.


Una stagione molto stressante considerando che adesso deve rendere conto al vulcanico Oleg Tinkov: eh sì perchè adesso Peter corre con la casacca della Saxo e il patron non è una persona che le manda a dire.


Ha ricoperto d’oro il fenomeno slovacco, si aspetta quindi ben altri risultati.


Come sempre, il compito di giudice viene affidato alla Grande Boucle.


Peter non vince nemmeno una tappa, eppure se chiedete a chiunque abbia visto il Tour de France chi può essere eletto come il protagonista di questi venticinque giorni, tutti vi darebbero la stessa risposta: Peter Sagan. Perchè, era concesso votare anche qualcun altro?


Si piazza tra i primi cinque in dieci tappe su ventuno: ogni giorno è uno spettacolo.


Sai che si inventerà qualcosa e sarà protagonista, vuoi solo vedere in che modo.


Lavora per la squadra, fa il gregario di Contador, sprinta, scatta, va in fuga, si lancia come un folle in discesa.


No, no e no: è assolutamente unico nel suo genere, è il più forte anche se non vince.


Vince per la quarta volta consecutiva la maglia verde.


Torna poi alla vittoria alla Vuelta, finalmente riesce ad imporsi in uno sprint!


Poi, all’improvviso, il Sagan che non hai mai visto e che non ti aspetti: nel finale di una tappa viene tamponato da una moto dell’organizzazione, cadendo rovinosamente al suolo.


E’ fuori controllo: calci, pugni alla sua bici e alla macchina della giuria. E imprecazioni. Rimonta in sella, finisce la tappa e si ritira.


Sembra il punto esclamativo su una stagione da dimenticare, un’uscita di scena che ti fa provare pena per questo ragazzo così giovane, così pieno di vita e talento eppure in balia degli eventi.


Un’uscita di scena che non gli appartiene.


Ce ne accorgiamo in una domenica di fine settembre, ventisette settembre per la precisione.


Prova in linea uomini elite: la corsa più importante dei campionati del mondo su strada.


Un circuito, quello di Richmond, perfetto per il Peter Sagan che tutti conoscevamo: ma il Sagan del 2015 non è quello che abbiamo imparato a conoscere qualche anno fa.


Negli ultimi dieci minuti della gara c’è tutto lo slovacco: scatta, morde, pedala come una locomotiva, fa il vuoto. E’ stupito anche lui: “Rieccomi!” sembra voler dire.


L’importanza di questa vittoria non è quantificabile: il ciclista più importante del gruppo che si laurea campione del mondo con un’azione da cineteca. E il tutto nella sua stagione più difficile.


Peter Sagan adesso è un campione: ha dimostrato di saper perdere e di poter riemergere dalle sue ceneri.


Sembra maturato di dieci o vent’anni, nel corso della stagione 2015.


Le prime parole nel dopo gara sono per la difficile situazione che il mondo sta attraversando.


Parole che apparentemente sembrano non incastrarci niente col personaggio e col contesto e magari è pure vero.


Ma è Peter Sagan signori, prendere o lasciare.


Il sorriso di Tom Boonen sul traguardo del mondiale con conseguente stretta di mano nei confronti dello slovacco sono la ciliegina sulla torta: è nell’Olimpi dei migliori.


Uno come questo passa una volta ogni cinquant’anni.


Come dicono gli americani, “once in a lifetime”.


“Una volta nella vita”.


E state pur certi che, di esseri umani così, alla fine della giostra, avrete visto solo Peter Sagan…

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