BOONEN, IL RE DEI BELGI


di Davide Bernardini 


Mi metto nei panni di un “non appassionato” di ciclismo che, vuoi per sbaglio o vuoi per noia, si trova ad assistere agli ultimi kilometri dell’ultima Parigi-Roubaix.

“Ma dove cavolo corrono questi? Ma che roba è? Ma perchè nominano sempre ‘sto Cancellara? e Sagan, chi è?”

Domande e dubbi plausibili.

Manca poco e se la giocano in cinque: questo è abbastanza chiaro anche al più sbadato o al più ignorante in materia.

Chi sono questi cinque?

Vedi Boasson Hagen e il suo finale un po’ anonimo, è facile capire che è al gancio.

Questo gigante, Stannard, sembra davvero avere un bel motore ma non è abbastanza.

E poi c’è Sep Vanmarcke, che nome contorto: sembrava lui quello più forte e invece sono tutti insieme, di nuovo.

Matthew Hayman non te lo scorderai mai più, quando ti capita di vedere uno che non si rende conto di aver vinto una corsa? Sono quelle immagini che ci rimangono più impresse proprio perchè ci troviamo lì quasi per caso.

E per ora, l’appassionato di ciclismo “per caso”, avrebbe ragione.

Ah già, sono in cinque, è vero.

Tom Boonen, un altro nome contorto e astruso. Che strani, questi belgi.

Un estraneo al ciclismo che assiste agli ultimi kilometri della Roubaix di Tom Boonen rischierebbe di farsi un’opinione del genere: “Il classico piazzato, si fa il culo per ricucire su tutti e alla fine viene beffato da uno di quasi quarant’anni che manco ci crede, nell’aver vinto. Questo Boonen sarà l’eterno secondo, uno di quelli con la sfiga incorporata. E di solito, ‘sti qui, vincono poco o nulla…”

Ecco, qui l’appassionato di ciclismo “per caso”, topperebbe.

Tom Boonen.

Ora, a dirla tutta, il “tifoso medio” di sopra non è l’unico che nell’udire questo nome è rimasto frastornato, intontito, quasi infastidito.

Un nome profondo, potente, intimidatorio.

Forte, aspro, secco.

Puoi quasi sentirne l’eco.

Le stesse identiche sensazioni le abbiamo avute tutti in una domenica di una quindicina di anni fa.

Era il 14 aprile del 2002 e si correva la centesima edizione della Parigi-Roubaix.

Un giorno storico, carico di emozioni e di aspettative.

Non fu una Roubaix come tutte le altre: edizione del centenario, fu conclusa da soli 41 atleti.

Un massacro, una sfida ad eliminazione, una guerra: ecco cosa fu l’Inferno del Nord del 2002.

E per finire, un podio pieno di significato.

Al secondo posto, Steffen Wesemann, giusto per non farsi mancare un altro nome di quelli tosti.

Il trionfatore di giornata fu, per l’ennesima e ultima volta in carriera, Johan Museeuw.

Non ha certo bisogno di presentazioni: è senza ombra di dubbio uno degli specialisti del pavè più vincenti della storia di questo sport.

Piccola nota a margine: sembra proprio essere la giornata dei nomi quasi impronunciabili.

Sul gradino più basso del podio invece, si accomoda questo ragazzone belga.

Terzo classificato, Tom Boonen.

E’ la sorpresa di giornata: in molti storgono il naso, pochi lo conoscono.

Ciò che conta è che in un’edizione difficile come quella del 2002, il terzo posto va ad un ragazzo di appena ventuno anni.

Si potrebbe dire l’erede naturale di Museeuw.

Ancora nessuno se lo immaginava, nemmeno Tom stesso, eppure questo ragazzo era destinato a raccogliere ben oltre l’eredità di Johan Museeuw…

La strada era ormai stata tracciata: il futuro sulle pietre sarebbe stato Tom Boonen.

Che però non è solo uno specialistà sul pave, nossignore: nei primi anni di carriera è anche un signor velocista, a tratti il migliore del mondo, nonostante la sontuosa concorrenza composta da sprinter come Petacchi, Freire, Zabel e McEwen.

Vince al Nord e vince al Tour, poi si arriva a Madrid.

A Madrid, nel 2005, vanno in scena i campionati del mondo su strada.

Tommeke è nella forma mentale e fisica perfetta, la maglia iridata non può non essere sua.

Una stagione da incorniciare: eh si perchè solo sei mesi prima, lo stesso Boonen ha conquistato nel giro di una settimana il Fiandre e la sua prima Roubaix.

Sembra inarrestabile, imbattibile: sembra profilarsi all’orizzonte, almeno per quanto riguarda il periodo delle classiche, un dominio alla Merckx.

Poi però arriva l’altro.

L’antitesi di Boonen.

E’ uno svizzero, un carattere niente male e delle doti da passista fuori dal comune.

E dal 2006, Fabian Cancellara scopre di essere anche un fenomenale interprete del pavè.

Si apre così uno dei dualismi più spettacolari della storia del ciclismo.

Sette delle ultime dodici Parigi-Roubaix sono state firmate da Boonen e da Cancellara.

Stessa cosa per sei degli ultimi dodici Giri delle Fiandre.

Probabilmente mai amici, sicuramente grande rispetto l’uno per l’altro.

Non me ne voglia Fabian, ma sul pavè, come Tom, nessuno mai.

Forse De Vlaeminck, ma non ne sarei così sicuro.

Ma non è tutto rose e fiori: e quando mai?

Per due volte, Tom viene trovato positivo alla cocaina.

Uno choc, una debolezza che non ti aspetti soprattutto dalla persona che non ti aspetti.

Viene mandato subito al macello, finisce in un baleno in pasto alla critica e ai giudizi di chi crede di poter giudicare.

Anche il Tour non lo vuole.

Ma secondo voi, uno che a ventisette anni ha vinto due Roubaix e due Ronde, può aver davvero paura di qualcosa? Può davvero credere di non farcela?

Avrei giurato di no.

Il tempo mi avrebbe dato ragione.

Ragione al 100%.

Il palmares recita: quattro Parigi-Roubaix, tre Giri delle Fiandre, cinque E3-Harelbeke, tre Gand-Wevelgem.

E poi, com’era naturale che fosse, arriva una flessione.

Cadute, infortuni, l’età che avanza: sembra davvero impossibile ormai rivedere il vecchio Tornado Tom.

Ma poi si arriva all’ultima, famosa, dolorosa, edizione della Parigi-Roubaix.

Per Tom Boonen parte tutto da qui e finisce tutto qui.

Lui e la Roubaix legati da un filo indissolubile.

E’ una giornata che fin da subito prende una strana piega, quando a tante decine di kilometri dall’arrivo rimangono attardati Cancellara e Sagan

Tom capisce tutto subito: dopo anni difficili, oggi potrebbe essere la sua grande occasione.

Un immenso Tony Martin mette poco più di un minuto tra il gruppo Boonen e gli illustri inseguitori.

Un minuto che non verrà recuperato mai più.

Si arriva nel finale, ed è Tom contro tutti.

Va a chiudere su tutti, eppure ogni attacco sembra essere quello buono.

Lo vedi, non è più il Boonen lucido e potente degli anni d’oro.

Eppure c’è sempre, lotta e ricuce.

Ai punti se la stra-meriterebbe, purtroppo alla Roubaix dei punti non gliene frega assolutamente niente.

Tom verrà anticipato da Matthew Hayman, che soltanto otto anni fa concludeva l’Inferno del Nord in ultima posizione.

Storie incredibili, storie di ciclismo, storie di vita.

Nel giorno che poteva consegnarlo alla storia, riceve la più grande fregatura della carriera.

Ma nulla, nemmeno tutto questo fa cambiare il modo di vedere il campione belga.

Rimane statuario, solido, imponente.

Un signore, tant’è che appena tagliano il traguardo va ad abbracciare e a congratularsi con Hayman.

E’ sempre Tom Boonen, col suo nome duro, aspro, profondo.

Nè De Vlaemink, nè Maertens, nemmeno Eddy Merckx.

Il “Re dei Belgi” è stato, è e rimarrà, per sempre, Tom Boonen.

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