Claudio Corti, manager senza tempo
Tuttobici, n. 9/2001
di Gino Sala
Era già un "manager" quando correva, quando nei panni del dilettante si laureò campione del mondo nella sfida di San Cristobal (Venezuela) 1977. Sul mio tavolo di redazione arrivarono i suoi auguri di buon Natale e di buon anno. Non ci conoscevamo, a San Cristobal ero tra gli assenti giustificati dovendo intervenire al matrimonio di Maria Elisa, la seconda delle mie figlie.
Manager quando è entrato nel gruppo dei professionisti. Pochi, come lui, sapevano colloquiare coi giornalisti. Accoglieva le domande con un sorriso, colorava le risposte con sapienza. Manager nel vero senso del termine è diventato scendendo dalla bici e oggi lo troviamo al comando della Saeco. Sto parlando di Claudio Corti, come il lettore avrà intuito, di un bergamasco vestito a puntino che nel suo ufficio di Gaggio Montano dirige una delle squadre più importanti del movimento ciclistico con lo stile della semplicità e della competenza.
Un vero comandante, bravo Claudio, mi viene da dire, bravo perché stai mettendo a profitto tutte le tue conoscenze di ex corridore, di uomo che gradino dopo gradino ha superato brillantemente gli esami per ottenere sul campo una laurea che molti si danno senza esserne degni. In questo senso tu hai studiato ad Oxford, oserei dire, tu hai la mia stima e i miei complimenti.
E adesso andiamo indietro nel tempo, andiamo al periodo di Corti pedalatore, professionista dal 1978 al 1989, debutto con la maglia della Zonca-Santini. Un debutto non propriamente felice, di quelli che un po' tutti aspettavano.
Nel '77 aveva trionfato anche nel Giro Baby e con la qualifica di passista scalatore (176 centimetri di altezza, 65 chili) sembrava possedere le doti per distinguersi immediatamente nel gruppo dei marpioni, o quantomeno per lasciare un'impronta promettente. Non è stato così, anzi venne in molti il dubbio che il ragazzo avrebbe deluso le attese. Come altri, come quegli elementi che giunti nel grande circo incontrano difficoltà insuperabili e via via si spengono. Problemi di salute, anche, e zero al quoto nei primi due anni di apprendistato. Ma un lottatore come Claudio non poteva arrendersi e la sua volontà, il suo impegno nel prendere nota di questo e di quello, la sua intelligente applicazione, danno il frutto della vittoria numero uno nel 1980, quando s'impone nel Giro del Friuli. Saranno diciannove i successi della carriera di Corti, due dei quali lo porteranno ad indossare la maglia tricolore, nel 1985 a conclusione del Giro del Veneto e nel 1986 sul traguardo del Giro della Toscana. Una decina i piazzamenti di valore tra i quali spicca il secondo posto del mondiale 1984, quello svoltosi in Spagna a cavallo del classico Montjuich.
Se andiamo a rileggere le cronache di quella domenica ciclistica, troveremo molti "big" che gettano la spugna a causa del gran caldo. Il primo è Laurent Fignon, seguito da Sean Kelly, Bernard Hinault, Francesco Moser, Chioccioli, Amadori e Beccia. Metà della formazione azzurra si è disintegrata. Con Moreno Argentin è ancora in campo Corti, il più lesto dei nostri ad intuire l'importanza dell'azione solitaria di Criquielion. Sì, Corti che insegue il belga dando vita ad un duello appassionante. I tifosi italiani si sbracciano, gridano a squarciagola il loro incitamento. Quando mancano una decina di chilometri, il fuggitivo ha solo mezzo minuto di vantaggio. Corti si fa sotto, Corti intravede la sagoma dell'avversario, Corti riduce il distacco, ma la sua splendida gara non ha fortuna perché Criquielion ha la meglio con un piccolo, ma decisivo margine (14").
Ecco, pur non essendo uno che si guarda indietro, uno che fruga nel passato, sicuramente Claudio sarà andato più di una volta col pensiero a quel mondiale perso per un soffio. Già, certe sconfitte vengono scolpite nella mente più di alcune vittorie, e comunque il bergamasco non è stato una meteora, bensì un tenace esponente di un ciclismo che contava fior di campioni, un esempio, direi, per i corridori di oggi, e non è poco, anzi è molto. Ciao Claudio e buon lavoro.
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