Renato Laghi: «Visentini? Pazienza poca, classe tanta»


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per Rainbow Sports Books ©

In undici anni di carriera mai una vittoria, mai neanche un’intervista in tv. Poi, finalmente, un colpo d’ala, un guizzo, un’intuizione, un moto d’orgoglio: è lui a chiederne una. Lo fa a un giornalista amico, nella fattispecie Giorgio Martino della RAI, che gli concede qualche secondo in appendice a quella al più combattivo di giornata. Così, giusto per fargli dire che sì, anche lui, Renatino Laghi da Errano, classe ’44, in tv – almeno una volta – c’era andato.

Com’è o come non è, nel giro di poche ore quell’agognata prima vittoria arriva. E che vittoria: la 19ª tappa al Giro del ’77, 205 km da Madonna di Campiglio a San Pellegrino Terme. Successo arrivato al termine di una fuga di 185 km e in un tappone con Tonale, Presolana e Zambla chiuso in solitaria con 1’32” su Gibì Baronchelli e 3’23” sul gruppetto della maglia rosa Michel Pollentier, che quel Giro lo vincerà.

L’intervista, stavolta, non deve chiederla. Gli spetta di diritto sul palco principale, come quella per il più combattivo di giornata e il premio “Un uomo solo al comando” in memoria a Mario Ferretti riservato al vincitore di tappa col maggior distacco. Hai capito, il buon Renatino…

La stagione dopo il diesse Italo Zilioli metterà lui, paziente veterano al secondo e ultimo anno alla Vibor, in camera con l’esuberante neo-pro’ Roberto Visentini. 

Il trio si ritroverà anche l’annata successiva alla CBM-Fast Gaggia, dove Laghi chiuderà la carriera. Zilioli e Laghi si prodigheranno di consigli, ma invano: il Visenta farà sempre di testa sua. 

Con il tempo e la distanza (Roberto sul Garda, Renato in Romagna), si son persi di vista ma ogni tanto si sentono. Naturalmente per merito di Laghi. Uno che che per nulla al mondo si perderebbe – subito dopo le feste natalizie – l’annuale “Serata con Davide Cassani”, con il Ct azzurro e altri amici di una vita come Marino Amadori, Orlando Maini, Roberto Conti. Curiosità: al Giro '79 era Maini il più giovane in gara e Laghi il più vecchio.

Proprio in una di queste serate me lo presentano, e a Renatino non posso non chiedere del Visenta. È una serata tra amici, informale, e tolgo presto il disturbo perché ogni tavolata, senza giornalisti, per quanto corretti, parla più in libertà. 

Ho fatto in tempo a intervistarlo ma non a chiedergli – e nemmeno era l’occasione – della sua prima vittoria (l'unica) e intervista.

Neanche a farlo apposta, il Giro sul Tonale c’era tornato pochi mesi prima, nel 2017: 17ª tappa, Tirano-Canazei. E per i quarant’anni del suo storico successo, in tv c’era tornato. Non in RAI ma come ospite di “A tutta bici” su TeleRomagna. Neanche aveva dovuto chiederglielo, ma vuoi mettere il fascino della prima - e unica - volta? È per quello che non te la scordi mai.

“Serata con Davide Cassani”, 
l’Ustareja d’e Sol
Solarolo (Ravenna), 15 gennaio 2018 

- Renato Laghi, il suo rapporto con Roberto Visentini: quando è nato e come si è sviluppato negli anni?
«Visentini è passato professionista nel 1978 alla Vibor. È stato mio compagno di squadra e di camera. Essendo lui del ’57 e io del ’44, dopo aver fatto parte di tante squadre, io ero a fine carriera, anche se l’anno prima avevo vinto una bella tappa al Giro d’Italia. Italo Zilioli, il direttore sportivo, ingaggiò Visentini proprio perché vedeva in lui una promessa. Aveva vinto il campionato mondiale juniores, era una grande promessa. Al primo anno, si distinse subito a cronometro: fece secondo dietro Moser a Venezia, con arrivo in piazza San Marco. E poi dimostrò già di andare forte in salita, ma essendo un ragazzo di appena ventun anni, doveva fare esperienza». 

- Come andarono le cose con quel contratto con Boifava?
«Boifava, terminata l’attività con la Vibor, nel ’79 fece l’Inoxpran, una squadra nuova. Visentini non sapeva della nuova squadra di Boifava e firmò ancora con la Vibor. Ci rimase male, ci teneva ad andare con Boifava ma una volta firmato con Zilioli, non poté recedere il contratto». 

- Roberto quindi rimase alla Malvor un po’ a malincuore. E la stagione come andò?
«Il ’79 fu per lui una stagione sottotono perché non aveva quella… Cioè, correva, ma di malavoglia. Quando uno non ha… Ci teneva ad andare in un’altra squadra, e fu un anno particolare».

- Con Boifava però sono rimasti amici?
«Visentini dopo andò da lui all’Inoxpran, poi alla Carrera… Quando ci fu il fattaccio con Roche era Boifava il direttore sportivo, perciò… è sempre stato legato a Boifava».

- Che corridore era, il Visenta?
«Forte in salita, forte a cronometro, zero in volata, però dimostrava di essere già sicuro di sé, che voleva emergere. Molto nervoso. Zilioli mi mise in camera con lui proprio per cercare di dargli un apporto di esperienza, visto che con me si trovava molto bene. In camera la sera gli piaceva anche sapere… C’era un bel dialogo su quel che era il ciclismo. Lui era un appassionato di sci, e aveva il suo libro per studiare da maestro di sci».

- Che ricordo ha della tappa di Sappada al Giro '87, quella del presunto “tradimento” di Roche a Visentini?
«Il ciclismo l’ho sempre seguito, quel Giro d’Italia l’ho seguito e, tra l’altro, ci fu un arrivo in Romagna, lui era in maglia rosa e andai a salutarlo. Lì, ebbi un dispiacere anch’io. Vedere un compagno di squadra tradire il suo capitano, anche se pure Roche aveva le sue ambizioni, visto che quell’anno vinse Giro, Tour e mondiale. Però per Visentini fu una botta tremenda, e poi col ciclismo chiuse».

- Perché secondo lei non ha voluto più saperne?
«Perché per lui è stato un tradimento talmente grande che non l’ha mai accettato. Dopo anni, ho visto che quest’anno c’è stato un incontro dei Carrera, e lui non ha voluto partecipare. D’altronde, lui era un tipo un po’… Per lui il ciclismo era una cosa… Non era la sua vita. Gli piaceva, non aveva problemi di soldi e faceva il ciclista proprio per l’onore e per dimostrare che era forte».

- Era così forte, un fuoriclasse?
«Non si può dire che fosse proprio un fuoriclasse, perché non era completo: corse in linea non ne ha mai vinte. Però da grandi giri era un bel corridore. Avrebbe potuto vincere anche qualche Giro in più, però ha avuto un’epoca in cui c'erano Saronni e Moser, e per lui è stato abbastanza difficile».

- Visentini in carriera l’ha un po’ pagato questo suo mettersi contro gli sceriffi del gruppo, o contro il patron Vincenzo Torriani, che magari annullava lo Stelvio per - si disse - favorire Moser?
«Ha avuto sfortuna. Hanno fatto dei Giri duri, durissimi, dal ’74, quando arrivò Baronchelli – l’epoca che ho vissuto io – perché Baronchelli andava forte in salita, anche se poi a vincerlo non c'è mai riuscito. Quando è passato professionista Visentini, ’78, ’79, han cominciato a disegnare dei Giri più adatti a Moser e Saronni, che erano i due big, diciamo, e Visentini è stato un po’ penalizzato, perché se avessero disegnato dei Giri come quelli per Baronchelli, che nel '77 arrivò terzo dietro Pollentier e Moser, che nell'87 neanche era presente. Visentini in quel periodo lì è stato penalizzato».

- Quarant'dopo vi sentite ancora? C’è ancora un rapporto?
«Con Visentini son stato tanti anni che non l’ho sentito per niente. Poi ho avuto occasione di andare a Gardone, ero in viaggio con mia moglie, con degli amici. Mi son fermato a Gardone, dove abita, lo chiamai. Non avevo il suo numero, niente, lo trovai nell’elenco telefonico. E difatti era in giro per il suo lavoro e di lì poi ci siam sentiti altre volte. Ci siam sentiti l’anno scorso per i (suoi) sessant’anni. Mi ha sempre promesso che mi viene a trovare, mah… però adesso ci sentiamo un po’ più spesso, ecco».

- Roche o Visentini: mi pare di capire che lei sta dalla parte di Visentini?
«Eh be’, per forza: e poi un ragazzo che ho tirato su io, perché due anni insieme in camera, a qualcosa ho contribuito...».

- Mi racconta qualcosa che solo un corridore che è stato compagno di stanza di Visentini può sapere, qualche aneddoto, qualche curiosità, qualche mania particolare di Roberto?
«Oltre a quello di sciare, lui era molto preciso, poca pazienza… Un aneddoto l’ho, perché una sera al ristorante, vigilia di un Giro dell’Emilia, non ci portavano mai da mangiare, si arrabbiò, tirò via la tovaglia dal tavolo e poi andò in camera arrabbiato, ecco. Pazienza, ne aveva poca…». [ridacchia, nda]

CHRISTIAN GIORDANO ©
15 gennaio 2018


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