Baronchelli: «In bici per divertirmi. E NIbali mi piace tanto»


Dentro la notizia, TuttoBici
Mercoledì 7 Ottobre | 07:38 


«Mi piace tanto Nibali, ha classe e temperamento, ma soprattutto è completo: va forte dappertutto. Anche Aru è un bel giovane che sta crescendo bene, ma non mi sembra così completo come Vincenzo, anche se ha una gran bella testa».

Gianbattista Baronchelli parla con un filo di voce, come se non volesse disturbare o esprimere giudizi troppo definitivi: non è nel suo stile. Professionista dal 1974 al 1989, nel suo palmares, oltre ad una novantina di corse, risplende una medaglia d’argento ai mondiali di Sallanches vinti da Bernard Hinault, forse tra i più duri della storia. «Quello è l’unico secondo posto di cui vado orgoglioso e per quanto mi riguarda lo considero una vittoria. Perché io quel giorno ho vinto l’argento, sono stato il più bravo tra gli umani, perché contro Bernard c’era ben poco da fare».

Gibì l’abbiamo incontrato qualche giorno fa a Bergamo, in occasione della cerimonia di consegna dei Premi Vincenzo Torriani, che Gianni, Marco e Milly, i figli del “patron del Giro”, da 18 anni organizzano. Oltre a Gualtiero Marchesi, il cuoco italiano più premiato e conosciuto al mondo, e a Pietro Rosino Santini, industriale della bicicletta che ha creato il maglificio Santini e l’ha portato quest’anno a festeggiare i primi 50 anni di una storia che ora vede impegnate in prima persona Monica e Paola, le figlie, uno dei tre riconoscimenti è andato proprio a questo modesto ma fortissimo corridore degli anni Ottanta.
«Non sono solito prendere premi, anche perché io sono un po’ schivo e riservato e molti si sono dimenticati di me – dice timidissimo come sempre il Tista -. Per questo sono grato alla famiglia Torriani, perché non solo non si sono dimenticati del sottoscritto ma hanno anche deciso di attribuirmi un prestigioso riconoscimento intitolato al più grande organizzatore di corse che il ciclismo ricordi. Io il signor Vincenzo lo ricordo bene: che temperamento, che “verve”, che creatività. Un uomo unico e tutto d’un pezzo».

È in forma il Tista, sessantadue anni portati con leggerezza, grazie soprattutto alla bicicletta. «Esco due/tre volte alla settimana – racconta a tuttobiciweb.it -, ma faccio solo delle belle passeggiate in assoluto relax. Basta corse, basta salite, evito anche i cavalcavia: a una certa età bisogna essere realisti ed evitare certi sforzi, perché non fanno assolutamente bene. Pensa che non ho mai usato il cardio e ora lo uso: osservo le pulsazioni, non voglio mai andare oltre i limiti. È da sciocchi».

Con il fratello Gaetano manda sempre avanti il suo negozio di biciclette, “Baronchelli Sport” ad Arzago d’Adda. «È un negozietto di 150 metri quadri, e abbiamo un buon giro. Vendiamo soprattutto Colnago e Specialized e devo dire che, nonostante la crisi, ci difendiamo piuttosto bene». 

Se gli chiedete per quale corridore fa il tifo, non esita un attimo. «Gli italiani mi piacciono, soprattutto Nibali e Aru, ma se devo dire quello che mi è piaciuto di più negli ultimi quindici anni, allora ti dico Alberto Contador. Froome? È forte, su questo non ci sono dubbi, forse in questo momento è il più forte di tutti, ma non mi piace: pedala troppo male».

Un Tour de l’Avenir nel 1973, tre podi al Giro d’Italia (due secondi e un terzo, ma anche dieci piazzamenti nei 10 in dodici partecipazioni). A soli 21 anni, alla prima stagione da professionista, Baronchelli stupì tutti disputando un Giro da protagonista, e nella decisiva tappa delle Tre Cime di Lavaredo, quando lo spagnolo Fuente era testa, staccò Merckx, che dovette spremersi al massimo per conservare la maglia rosa, che il Cannibale riuscì a salvare per soli 12”. «Ma non ho rimpianti, perché ho fatto quello che era nelle mie possibilità – dice -. Se non ho mai vinto un Giro è perché non ne ho avuto le capacità, non mi sono mai aggrappato alla sfortuna. Perché non ho mai fatto niente al Tour? Ai miei tempi non era quello che è adesso, il Giro valeva molto di più e si andava in Francia quasi controvoglia. Però mi bruciano due campionati italiani, che persi entrambi a Sorrento: uno da dilettante e l’altro da professionista. Tra i “puri” mi ripresero in viale degli Aranci quando mancavano 40 metri al traguardo e fui battuto da Bruno Vicino. Tra i professionisti, tre anni dopo, sempre sullo stesso traguardo fui ripreso a 10 km dalla conclusione. Mi consolò il fatto di veder vincere un mio compagno di squadra: Enrico Paolini».

Fra le novanta vittorie conquistate, nonostante diversi infortuni che ne condizionarono l'attività, spiccano due Giri di Lombardia vinti a distanza di nove anni (1977, 1986), sei Giri dell’Appennino consecutivi dal 1977 al 1982 (record) e diverse classiche del ciclismo italiano, come il Giro del Piemonte, il Giro dell’Emilia, Il Giro del Lazio, la Coppa Placci, il Giro di Romagna e il Trofeo Baracchi in coppia con Moser. Seppe imporsi anche in due altre importanti gare a tappe: il Giro di Romandia e il Giro dei Paesi Baschi.

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