Baronchelli: «La vittoria più bella è la conversione»
di Riccardo Cascioli
«La vittoria più bella per me è stata la conversione». Se a dirlo è un ex campione di ciclismo che di vittorie se ne intende perché nella sua carriera da professionista ha colto ben novanta successi, allora gli si deve credere. Gianbattista Baronchelli, «Tista» per gli amici, Gibì per i tifosi, classe 1953, uno dei corridori italiani che ha dominato gli anni ’70 e ’80, oggi vive ad Arzago d’Adda, un paesino della provincia di Bergamo al confine con quelle di Cremona e Milano, dove gestisce un piccolo negozio di biciclette insieme al suo inseparabile fratello Gaetano. È qui che si è ritirato alla fine della carriera di professionista ed è qui che lo incontro, il sapore del vecchio negozio di bici dove trovi il “maestro” di ciclismo più che il venditore.
Sulla bici ha percorso centinaia di migliaia di chilometri, ha percorso strade di tutto il mondo, ma solo da pochi anni ha trovato la strada giusta: «E quando si trova la strada giusta bisogna non perderla più, si riesce a vedere tutto nella giusta dimensione, non si dà più importanza a cose che in realtà sono secondarie». Anche il successo nello sport, che pure ha indirizzato la sua vita.
Settimo di nove figli, una famiglia di contadini, papà e zii grande appassionati di ciclismo, Tista ha cominciato a correre in bici a 15 anni seguendo suo fratello Gaetano, di un anno più vecchio. «All’inizio era un gioco, poi è diventata una professione», dice Tista. Infatti, i due fratelli fanno subito vedere di avere un talento naturale e quando arrivano fra i dilettanti fanno parlare di loro. Nel 1973, al mondiale di Barcellona, quello che tra i professionisti vede trionfare Felice Gimondi, Gaetano arriva settimo tra i dilettanti, primo degli italiani. E nello stesso anno Gianbattista vince il Giro d’Italia e il Tour de L’Avenir (il Giro di Francia dei dilettanti), una vera impresa che, insieme alle tante altre vittorie ottenute, lo lancia tra i professionisti a 21 anni.
Erano gli anni in cui il belga Eddy Merckx, “il cannibale”, era il dominatore assoluto, da Baronchelli ci si aspettava una “risposta” italiana. «Quando ero ragazzo io tifavo per Merckx, poi dopo pochi anni mi sono trovato a combattere con lui». E nel 1974, primo anno da professionista nella squadra della Scic, per un pelo Tista non riesce a mangiarsi “il cannibale”. Al Giro d’Italia, disputato da grande protagonista sorprendendo tutti, nel penultimo tappone dolomitico sulle Tre Cime di Lavaredo stacca Merckx e sembra poter conquistare la maglia rosa, ma Merckx resiste mantenendo un vantaggio in classifica di appena 12 secondi. Un’inezia, e il giorno dopo pur attaccando, Baronchelli non riesce a replicare l’impresa, e Merckx finisce il giro con quel niente di vantaggio. Nella stessa stagione il belga vincerà anche Tour e Mondiale a ulteriore dimostrazione dell’impresa compiuta da Baronchelli al Giro.
Un inizio da professionista che fa presagire imprese ancora più grandi: «Ma quando tutti ti aspettano, le cose si fanno più difficili. L’impatto con il professionismo è stato duro, tra i dilettanti mi ero molto divertito ma lì da professionista ti ritrovi solo». Solo con suo fratello Gaetano, che da professionista si dedica tutto a far da gregario al fratello più giovane. A frenarlo anche una grave infezione al fegato nel 1975, poi anche il grande risultato che non arriva: «Quando per 4-5 anni non vinci subentra anche un blocco di testa. Fino al 1978 puntavo ai grandi giri, perché ero un fondista, andavo bene dappertutto e recuperavo più in fretta degli altri. Poi però la grande vittoria non arrivava, allora mi sono trasformato e ho puntato alle corse in linea».
Ed ecco le vittorie: due volte il Giro di Lombardia, l’Henninger-Turm, sei volte consecutive il Giro dell’Appennino, Il Giro di Toscana, del Lazio, dell’Emilia e tante altre. Saranno novanta, alla fine della carriera, ma da lui – inutile negarlo – viste le premesse ci si aspettava di più. Infortuni, il carattere schivo, tutto il contrario di un arrivista. Ha avuto anche la sfortuna di trovarsi davanti dei mostri sacri del ciclismo, tra i più grandi campioni di ogni epoca: non solo Merckx, anche il francese Bernard Hinault, che gli sbarrò la strada al mondiale del 1980. Circuito di Sallanches, in Francia: uno dei percorsi più duri di sempre, 270 km con salita che arrivava al 14% di pendenza, una gara tremenda. Dei 107 corridori alla partenza, alla fine ne arriveranno appena 15, un solo italiano: Baronchelli resta con Hinault fino all’ultimo giro, quando il francese molla anche l’italiano che, complice anche un salto di catena, arriva secondo al traguardo con un minuto di ritardo; il terzo, lo spagnolo Martìn, arriva con quasi 5 minuti.
Una gara fantastica, quella di Baronchelli, ma ancora una volta un grandissimo gli nega la vittoria. E sarà un po’ questa anche la maledizione che accompagnerà Tista: «Ancora oggi, quando mi invitano alle feste mi presentano come il perdente – mi dice sorridendo un po’ amaro -: non dicono mai Baronchelli che ha vinto questo e quello, ma Baronchelli che ha perso il Giro, ha perso il Mondiale, non è proprio il massimo». E non è neanche giusto per tutto quello che ha fatto. Rimpianti? «Tornando indietro farei anche scelte diverse, ma le cose sono andate così, dovevano andare così: bisogna accettare il verdetto».
E quando ha smesso di correre è tornato al suo paese, non per delusione ma per scelta. «Della vita di corridore a me ha sempre pesato molto essere continuamente in giro per il mondo, non mi piace, la sera voglio tornare a casa, c’è la famiglia. Restare nel mondo delle corse avrebbe significato essere in giro più di prima, allora basta». Decisione già presa con largo anticipo: dal 1982, sempre con Gaetano, avevano già messo su questo negozio di bici, nel 1989 inizia a lavorarci anche Tista, che nel frattempo si era sposato nel 1987 e nel 1988 aveva avuto la prima figlia (alla fine saranno tre): «Io i miei figli li ho visti nascere tutti, queste sono le cose belle della vita. Vincere le corse, sì è bello, ma la vita è più grande, c’è di più».
C’è di più, ma allora Tista non aveva ancora dato un nome a quel “più”, solo recentemente ha capito. «È successo quando è scomparsa la mia mamma, tre anni e mezzo fa. Lei aveva una grande fede, tutte le mattine andava a messa a piedi. E sicuramente lei ha pregato tanto per la conversione dei suoi figli, e le sue preghiere sono state esaudite».
Prima non eri cattolico? «Ero un cattolico come tanti, marginale. Sai, l’educazione di andare a messa l’abbiamo avuta ed è già una bella cosa, ma la conversione è un’altra cosa». Prima è stato Gaetano, sembra che il suo compito sia aprire la strada a Tista: «Mio fratello già da anni si era convertito, attraverso la malattia di sua moglie, molto spesso si arriva sulla giusta strada per queste vie».
Poi il periodo buio è arrivato anche per Tista («Sbagliare strada è facilissimo, seguire le vie facili è comodo, ma ti porta alla morte») e quando la mamma se ne è andata a 90 anni, è scattato qualcosa: «Dal momento che è morta, mi sono sintonizzato su Radio Maria, e da lì è cresciuta giorno per giorno». Alla radio Tista sentiva parlare di Medjugorje, magari sapeva già di queste apparizioni ma ora la cosa diventava interessante, lo interpellava. «Mia madre era morta in aprile, quell’estate mentre ero in vacanza con la famiglia in Sardegna ho comprato un libriccino su Medjugorje, mi si è aperto il cuore. Poi a settembre ho cominciato a seguire mio fratello agli incontri del Rinnovamento nello Spirito: sono incontri molto belli, si vede davvero che c’è un sacco di gente che ha bisogno».
Sei anche stato a Medjugorje? «Ci sono stato con il pensiero e con lo spirito, prima o poi ci andrò di persona: con mia moglie, quando sarà pronta. Ma non è un problema, il Signore è dappertutto, io sono già arrivato a Cristo attraverso la Madonna». E del resto la Madonna gli è comunque vicina: «Siamo fortunati, abbiamo il santuario di Caravaggio vicinissimo, da casa in tre minuti ci arrivo».
Con la conversione cambia tutto: «Arriva quando deve arrivare, il sì lo devi dire tu e il bello è proprio questo: la tua libertà, sei tu che dici sì. E la vita diventa un’altra, la cosa più importante è ringraziare il Signore per quello che hai, è lui che te l’ha dato. E quando le cose non vanno è perché deve andare così, per forza. Bisogna capirlo, è un cammino». Che Tista augura a tutti, a cominciare da moglie e figli: «Sono cattolici sì, come lo ero io, ma è difficile capire se non ti arriva la grazia». Tista non vuole convincere: «Le parole lasciano il tempo che trovano, l’importante è l’esempio». E l’esempio è chiaro: «Mi piace leggere il Vangelo tutti i giorni, è più facile seguire la strada. Per me la cosa più importante accaduta nella vita è la fede, tutto il resto è in secondo piano. Quando devi prendere le decisioni, devi sempre pregare e basta. E il Signore ti dà quel che è giusto che tu abbia». Pregare, appunto. E attendere, come la mamma ha pregato e atteso per Gaetano e Tista.
(fonte: lanuovabq.it, 28-09-2014)
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