Giancarlo Ferretti L'ultimo dei grandi maestri


Tuttobici Numero: 2 Anno: 2001

di Gino Sala

Come stai? Due parole che accompagnano il rituale scambio di saluti, ma se incontrate Giancarlo Ferretti nella sua stretta di mano c'è qualcosa di più. C'è un "devi stare bene, non raccontare balle" che è l'espressione di un uomo dotato di un grande carattere, nemico delle debolezze, delle lamentele, delle incertezze, di ogni genere di perplessità e di dubbi.

Gregario di prima grandezza negli anni Sessanta, ferreo scudiero di Felice Gimondi che ha protetto e salvato in più di una circostanza. Mi limito al ricordo di una tappa del Tour che tra i suoi ostacoli aveva il Col de Mente. Quel giorno Gimondi era uno straccio e si sarebbe fermato se Ferretti non lo avesse portato al traguardo. Spingendolo, trainandolo, gridandogli in faccia che non poteva arrendersi a una diarrea, malvagia sì, ma non tale da debellare un campione. E infatti il giorno dopo Felice ebbe una ripresa che lo portò sul podio. Ma chi aveva vinto? Il bergamasco di Sedrina o il romagnolo di San Bernardino di Lugo? Non ho il minimo dubbio in proposito. Aveva vinto Ferretti.

È un episodio di cui sono stato testimone e che rimane impresso nella mia memoria. Gimondi pallido e ansante, fortemente in ritardo nel tratto dove mi ero fermato, lo scudiero che gli scandiva le pedalate, che lo sorreggeva in tutti i modi, i metri di strada che sembravano chilometri e infine il traguardo liberatorio.

Non ha ottenuto vittorie, sta scritto negli almanacchi sul conto del Ferretti corridore, però non mi sembra questa l'esatta espressione dalla quale ricavare i valori di un atleta, per meglio dire di un personaggio che è poi diventato un tecnico molto apprezzato perché capace di infondere giusti princìpi nei suoi amministrati. Capace di entrare nell'animo di questo e di quello, capace di trasmettere e di ottenere. Proibito menare il can per l'aia con Ferretti che non è quel sergente di cui a volte si parla. No, assolutamente no. Ferretti non chiederà mai più del dovuto. Chiede il lecito, il possibile e così operando riceve in cambio il massimo.
Qui giunto mi domando se le deviazioni, le incongruenze, le malefatte del ciclismo moderno non sono in parte colpa di alcuni direttori sportivi. Lo sono.

Ho scritto e riscritto che si è persa la scuola dei Luciano Pezzi, degli Alfredo Martini e dei Giorgio Albani, di quei costruttori dotati di competenza e di saggezza. Guadagnavano pochissimo e producevano molto. Adesso la maggioranza degli ammiragli veste i panni del manager, dell'amministratore unico e si pongono nella categoria dei trafficanti, di coloro che poco o niente insegnano essendo disturbati nel loro compito da un sistema rovinoso perché impregnato di affarismi che condizionano e distolgono l'individuo da quello che dovrebbe essere il suo principale lavoro. Peccati di un ciclismo che non rispecchia i miei desideri, bello in apparenza, ma non nella sostanza, lussuoso, ricco a dismisura, in antitesi con quello che possedeva il crisma della semplicità, umile, figlio della santa fatica e della sofferenza. Certo, oggi è difficile estraniarsi da un contesto troppo articolato, altezzoso, invadente coi suoi bilanci miliardari, assai diverso dal passato nell'organizzazione, perciò mi conforta nel vedere in Ferretti un uomo che si rifà ad una preziosa esperienza.

Un Ferretti fermo ed esemplare nei suoi indirizzi che messi in pratica producano ottimi risultati. Sicuro che ascoltando Giancarlo s'impara a crescere e a dare il meglio di se stessi.

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