Il sigaro in bocca non fumato, ricordando papà (parte 3/4)


"Anche un orologio rotto segna due volte al giorno l'ora esatta"
(antico detto yiddish)

di FEDERICO BUFFA
Black Jesus - The Anthology

"No, Rocket, no: quella è la forchetta per gli antipasti... Ecco, sì: quella è la forchetta per il pollo. Piano piano ci arriveremo tutti".

"Grazie coach!".

Il coach ovviamente è Larry B. 
Rocket è Rod Foster, detto "Rocket" per via di una abbacinante velocità di base. 
La location? Westwood, L.A., dal momento che Larry si siede sul pino che fino a cinque anni prima era di John Wooden. Il coach, come avrete intuito, insegna ai ragazzi anche come si sta a tavola. 

Un giorno qualcuno nota che la sua deambulazione non è impeccabile e che un'anca tende a dolergli un po' troppo spesso. Colpa dei tuffi: tanti, troppi, su ogni palla vagante che potesse tornare utile ai Tar Heels o alle sue squadre ABA, dove fu capintesta per tre stagioni consecutive per gli assist ed è il recordman ogni epoca con 23 in singola partita. 

I Bruins partono male e Sports Illustrated manda un inviato al "Tempio", il Pauley Pavilion, che rientra in sede e infiamma l'America con uno storico titolo per il suo pezzo: "The Bruins are in Ruins".

THE BRUINS ARE IN RUINS

Il coach adora le situazioni in cui i suoi freshmen (quattro) non solo non sanno stare a tavola, ma hanno bisogno di comprendere come si sta in gruppo. Nessuno può battere Brown II in una situazione del genere, perché per creare un gruppo bisogna:

a) Respect the Game,
b) Play The Right Way,
c) Keep Teaching Every Day.

Come insegna The Line, la linea. Ora, se stasera andate su Google e digitate "Brown play the right way", il numero dei c.d. hit è 508.000. Lasciatene lì 507.999 e tenete a mente questo.

Dio aveva come sempre un piano, anche per il basket.Quando decise i quattro evangelisti scelse quelli di Kansas. 

Naismith inventa il gioco e Kansas gli offre la panchina della squadra e siccome, come dicono le popolazioni smitiche, "Dio si manifesta in modi tortuosi", il coach-inventore sarà l'unico ad avere un record perdente nella storia dei Jayhawks! 

Un giorno il suo allievo prediletto, Phog Allen, gli manifestò il desiderio di succedergli. Naismith cercò di dissuaderlo con un profeticissimo "...il basket non si allena, si gioca", dovuto certamente al fatto che con lui in panca non è che si facessero proprio sfracelli. Allen, a cui è intitolata l'arena in cui gioca KU e che era vent'anni avanti, lo mandò a vuoto con un "coach, magari adesso vediamo". E prese ad allenare come mai nessuno aveva fatto prima. Trasmise il Verbo al terzo evangelista, il prediletto Dean Smith, che a sua volta illuminò il prediletto Larry Brown. Discendenza diretta. The Line, la linea.

I Bruins, non così tanto in ruins, con i freshmen Kiki Vandeweghe e il quarto profeta arrivarono in finale al Torneo NCAA e qui, alla Market Square Arena di Indianapolis, incontrarono The Bros and The Doc, la Louisville del 1980. The Bros erano i tremendi fratelli Rodney e Scooter McCray, l'equivalente dei Pastor ne I ragazzi della via Paal, mentre il Doc era Darrell Griffith, "Doctor Dunkstein". Se avete più di 35 anni lo dovete aver incrociato.

Universiadi di Sofia, fine anni Settanta. USA-Belgio, tanti a davvero pochi. Americani in campo aperto, dai-e-vai e Griffith che resta con un belga (gente strana i belgi: era un belga anche Mister OK, quello che per anni a Roma s'è buttato nel Tevere da Ponte Milvio per Capodanno) che finta d'andargli incontro e poi si ritrae. Il Doc decide di saltarlo. Sì, avete letto bene: saltarlo. Vent'anni prima della "In Your Weis" di "Vinsanity" Carter a Sydney 2000. Giganti del basket mostrò la foto col Dunkstein che cammina in spalla al belga. Il Doc e The Bros - per la nuda cronaca - vinsero la splendida finale di Indy e i Bruins dovettero aspettare quindici anni per riportare l'ultima retìna a Westwood, dove sono sempre tutti convinti che comunque l'ultima retina debba finire lì. Ma temo che per almeno altri quindici anni non se ne faccia nulla.

Poco tempo dopo, il Profeta se ne andò. Come sempre. Prima di Phila cambeirà otto panchine, lasciando sempre un'eredità tecnica, ma anche un fastidioso senso d'abbandono. Il coach non ha mai voluto essere di peso. Da piccolo andava a comprare le paste a due isolati di distanza pur potendole ovviamente avere gratis al forno di famiglia. 

I Nets non hanno mai potuto accettare che LB avesse parlato con Kansas prima d'andarsene. E a UCLA ci si domanda ancora se il contratto coi Nets non sia stato firmato durante la stagione collegiale. Per la verità, nell'88 i Bruins lo richiamarono, e lui accettò con entusiasmo. Tornò in Kansas per risolvere alcune pratiche, ma cambiò idea e firmò lì. Venne, vide, vinse e dopo qualche settimana era sul pino di San Antonio. 

La signora Ann cercava d'andare a confortarlo ovunque nelle sue peregrinazioni e spesso lo trovava genialmente confuso nei suoi contrastati pensieri da uomo di cinquant'anni che stava solo ora accettando l'idea di non aver avuto un padre, il commesso viaggiatore che non riuscì mai a godersi.

Ancora oggi, ogni tanto, lo vedete con un sigaro in bocca, lui che non fuma. Infatti, non li accende, è solo un omaggio a papà Milton che li muoveva in bocca, fumandoli, parlando e aggrottando le sopracciglia, ossequio al genio comico dell'epoca, l'immortale Groucho Marx, l'uomo che mai avrebbe accettato di aderire a un club che lo avrebbe accettato come socio.

Ovunque il figlio di Milton andasse e ci fosse stata gente pronta ad ascoltarne il Verbo e a non disconoscere le parole arroganti fino alle offese che servivano a spingerlo, si sarebbe vinto.

Hanno vinto i Cardinal Cougars e i Denver Rockets nella ABA. UCLA arrivò a pochi secondi dall'ltimo colpo di forbice. I Nets, una barzelletta su ventotto metri quando li prese, chiusero 47-29 quando portò a Kansas i sigari da non fumare, prima dei Clippers. Sì, persino loro. Tra vincere un titolo NBA e portare ai playoff una squadra di Donald Sterling, permettete, è più complicata la seconda ipotesi. Che ne dite di portarcela due volte? 

A Kansas si vinse proprio in senso assoluto. Era l'anno di "Danny Manning and the Miracles", un fuoriclasse (Manning), quattro giocatori di ruolo tra cui Scooter, il più scarso dei fratelli Barry, tre comparse e quattro caratteristi, partiti 12-8 e paludati in una maglia pesante come quella di Kansas che non vinceva dal '52. 

In panchina, di fianco a lui, sedevano uomini che ora decidono le sorti di franchigie NBA, come R.C. Buford, giemme degli Spurs, che a San antonio fu traghettato proprio dal coach nel corso dell'inquietudine successiva. Nei momenti decisivi delle partite, il coach pretendeva che tutti gli allenatori si stringessero il testicolo sinistro. 

Non avrebbe più perso.
 
Un'emozione fortissima, mai più provata, fino al giorno in cui "The Little Man", fresco MVP dell'All-Star Game, non avesse pronunciato le parole "...my coach, wher's my coach?". Sì, perché nella storia stava per entrare Allen Iverson, il più irripetibile, unico e controverso amore tecnico sbagliato di coach Brown. L'orologio che anche quando era inservibile - e lo era spesso - avrebbe comunque segnato due volte l'ora esatta.

FEDERICO BUFFA 
(3 - continua)

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