Cruyff, quando il calcio diventa una miniera d'oro


Bruno Perucca
La Stampa, giovedì 27 dicembre 1979

Tre milioni al mese nel '69, ai tempi del suo primo boom nell'Ajax. Centrotrenta milioni al mese oggi, dai Los Angeles Aztecs dove a 33 anni sta consumando con l'aureola dorata di «missionario del calcio» le ultime energie di una carriera fantastica. Johan Cruyff, olandese, ha caratterizzato il football degli Anni 70 con le sue imprese in campo, con le polemiche, con una escalation economica che non ha eguali nella storia del calcio mondiale. Cancellato Pelé, oscurati Chinaglia e Beckenbauer, che pure sono pagati a peso d'oro dai Cosmos, i guadagni di Johan Cruyff reggono il confronto con quelli di Borg e McEnroe, dei professionisti del golf. 

Dieci anni di applausi, tre volte primo nella classifica del «Pallone d'oro» di France Football (1971, '73, '74), sposato dal '68 con Danny Coster figlia di un commerciante di diamanti, tre figli (Chantal, Suzie e Jordi), trascinatore prima dell'Ajax e poi del Barcellona, Johan Cruyff è il protagonista di una favola alla quale manca ancora la conclusione, una storia che lui stesso ha trasformato in thrilling con i voltafaccia improvvisi, i cambi d'umore, gli annunci di ritiro seguiti da puntuali decisioni di continuare. 

Al calcio come spettacolo, Cruyff ha dato il massimo nel periodo dell'Ajax, concluso il 30 maggio del '73 a Belgrado con la finale di Coppa dei Campioni vinta sulla Juventus. In quegli anni ci entusiasmammo per un giocatore dalla corsa lieve, dalla tecnica finissima, dal piede felpato, uomo-squadra e goleador, trascinatore della squadra quando l'Ajax doveva vincere, splendido stratega quando la squadra in vantaggio doveva congelare la partita, economizzare energie. «Numero 14», un film che prese il titolo dalla maglia che è stata il suo talismano, fece impazzire i ragazzini d'Olanda e d'Europa. Maarten de Vos, il giornalista del «De Tijd» che lo realizzò, diventò anche lui famoso e milionario. 

Chi è stato, come è stato, com'è Johan Cruyff in campo non lo si dovrebbe neppure ricordare. Tecnicamente ha affinato le doti naturali nei duri allenamenti imposti all'Ajax prima da Rinus Michels (ritrovato poi al Barcellona) quindi da Stefan Kovacs. Eccezionale la morbidezza del dribbling, da manuale i cross calciati di esterno, con la palla che rotea mettendo in crisi i difensori e giunge puntuale per la testa del compagni d'attacco. Tatticamente è unico: sembra scomparire dal quadro della partita, poi rieccolo puntuale per la conclusione, per l'assist decisivo. Nell'agosto del '73, dopo la finale di Belgrado, il grande Johan passò al Barcellona. La trattativa si concluse all'Alpha Hotel di Amsterdam: un miliardo di lire all'Ajax, a lui 300 milioni per stagione più premi. L'inizio dell'escalation economica, l'avvio di un periodo alterno come giocatore. Dal rude ma leale calcio olandese al maligno football spagnolo: nel Barcellona l'asso Cruyff scopri che gli avversari badavano prima di tutto a picchiarlo, a non farlo muovere. E lui ogni tanto cadeva in una partita-sciopero che mandava in bestia i tifosi. «Non sono qui per farmi ammazzare — ripeteva — ma per giocare». 

E' stato magistrale, richiamato dalla Spagna, nel mondiale del '74 in Germania. Una Germania invasa dalle maglie arancione dei fans, una truppa che ha sognato sino alla finale, sino al rigore che portò in vantaggio gli olandesi. Poi la rimonta tedesca, rabbiosa e dura. Perso il titolo di campione del mondo, l'unico trofeo che manca alla sua collezione, Cruyff ha detto «basta» alla nazionale; Tornato a Barcellona, ha iniziato la seconda parte della carriera, quella del football per i soldi. 

Un tentativo di rapimento, una grave disavventura finanziaria (coinvolto Neeskens, entrambi caduti nella trappola di Michel Basilevich, un uomo d'affari francese che promise loro grossi interessi depositando in Svizzera capitali mai recuperati) sembravano aver fiaccato il calciatore d'oro. Il clamoroso 8 a 0 con il quale il Bayern (ancora 1 tedeschi...) batté l'Ajax ad Amsterdam nella gara di addio di Cruyff al calcio non era però un sigillo di carriera degno di Johan. E allora l'avventura statunitense. Una partita-esibizione con i Cosmos, la trattativa con i Los Angeles Aztecs, l'ingresso come azionista nella «intersoccer», un altro campionato, un altro mondo. Europa e America, una carriera mondiale. 

Bruno Perucca

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