«La famiglia? Un caos»
Sguardo - Cate Blanchett: «La recitazione mi permette di vivere la vita di
altri e dimenticare le mie preoccupazioni. Non giudico i personaggi, li studio»
La diva nel cast di «Father Mother Sister Brother» di Jarmusch
Cate Blanchett: «Quattro figli, forse faccio troppe cose. Anche la mia vita è trascinata in direzioni diverse»
Relax - Faccio un bagno la mattina presto nell’acqua fredda:
rimpianti e pensieri svaniscono
19 Dec 2025 - Corriere della Sera
Di Stefania Ulivi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Non c’è bisogno di scomodare Lev Tolstoj, ne è convinta Cate Blanchett. Ogni famiglia è infelice a modo suo, certo. Ma quelle descritte da Jim Jarmusch nel trittico che gli è valso il Leone d’oro — Father Mother Sister Brother, ora in sala con Lucky Red — non le sembrano più disfunzionali di altre. Neppure quella composta da lei, sua sorella minore (Vicky Krieps), fedeli alla linea dettata dalla sofisticatissima madre (Charlotte Rampling): vedersi solo una volta all’anno, all’ora del tè, nella Dublino dove tutte abitano. «Il rituale mi sembra una specie di una zattera di salvataggio per tenere la famiglia a galla. Dentro quel confine sono protette, è un mondo sicuro per non litigare, per non avere troppi problemi. Il film esplora qualcosa di cui tutti abbiamo esperienza: come gestire le nostre dinamiche familiari. Credo che non ci sia soluzione al glorioso e doloroso caos che è la famiglia», dice l’attrice al Corriere.
Ogni nucleo, sottolinea, è unico e particolare, compreso il suo: sposata dal ‘97 con il drammaturgo Andrew Upton, hanno quattro figli. «Le famiglie più sane, divertenti, vive hanno questa innata curiosità per gli altri. La sfida è mantenere vivo l’organismo: coltivare l’interesse riguardo tuo fratello, sorella, madre, cugino, figlio, partner». E anche su sé stessi. «Prima di avere figli, non credo di essermi resa conto di quanto la tua posizione in famiglia, in relazione ai tuoi fratelli, influenzi la personalità. Per dire, io sono figlia di mezzo e noto che ci sia una specie di benevola negligenza nei confronti dei figli di mezzo. Che per me si è rivelata liberatoria».
L’idea del tè con pasticcini poteva venire solo a un regista come Jim Jarmusch, spiega l’attrice australiana che 20 anni fa con lui girò Coffee and cigarettes, («Ha un tocco poetico pieno di sentimento e fluidità, crea personaggi che non hanno paragoni»). Prendere o lasciare con lui, concorda Rampling: «È enigmatico, strano e contagioso. L’idea di avere due figlie come Cate e Vicky poi mi ha convinto. Ormai vorrei vederle sempre. Sarei felice di girare un altro film insieme».
Si sono «innamorate», dice Cate Blanchett. «Charlotte è una di quelle rare persone che ha avuto una vita personale tanto ricca quanto quella creativa. Abbiamo girato tre settimane, nella stessa casa. Ci avevano dato una camera da letto a testa, ma Vicky e io ci siamo semplicemente infilate in quella di Charlotte. Fantastico». Krieps, che ha fatto l’attrice spinta dalla visione del cinema di Jarmusch, è la piccola di casa. «Quella che scalpita. Forse sarà lei a spingere quella zattera lontano, sa che non possono continuare così all’infinito».
Tanto fuori dagli schemi, a partire dai capelli rosa, la minore. Tanto controllata, persino dimessa la Timothea di Blanchett: capelli corti, occhiali dalla montatura severa, gonna lunga e scarpe basse, maglia a collo alto, sotto la camicia con i polsini serrati. «Madre e sorella, decisamente esibizionista, la considerano insicura e repressa. Io credo che sia una persona riservata». Non giudica i personaggi, li studia. Il suo lavoro, dice, le sembra quello di «un’antropologa. Ti permette di vivere la vita di qualcun altro e dimenticare le tue preoccupazioni».
Difficile immaginare Blanchett, due Oscar, venerata dai registi di tutto il mondo, modello inarrivabile per colleghe e colleghi, in balia di ansie quotidiane. «Invece penso che la mia vita sia un caos appena controllabile. Vengo trascinata in molte direzioni diverse, direzioni che creo io, non do la colpa a nessuno. Faccio troppo e non particolarmente bene». Su questo si potrebbe eccepire. Ma ha un antidoto. Un rituale che neanche Jarmusch proporrebbe: un bagno la mattina presto nell’acqua fredda. «Rimpianti e pensieri svaniscono, ciò che è stato è stato, devi solo concentrarti su dove sei. Mi piace. Tre, cinque, dieci minuti al giorno. Un dono. Avendo fatto da anni questo lavoro, mi alzo molto presto e vado a letto molto tardi. Dormo poco. Ma adoro alzarmi in questo periodo dell’anno, quando è ancora buio. Entri in acqua e gli uccelli iniziano a svegliarsi, è meraviglioso».
Tra poche settimane, al festival di Rotterdam, l’IFFR, accompagnerà i primi risultati del progetto Displacement Film Fund che ha presentato di recente anche a Papa Leone XIV, a favore di registi esuli o perseguitati dai regimi. «Abbiamo supportato cinque cineasti provenienti da diverse regioni per raccontare le loro storie. Presenteremo questi cortometraggi a Rotterdam e, cercheremo i partner più adatti per farli circolare».
Commenti
Posta un commento