AJAX-LIVERPOOL 1966: LA PARTITA DELLA NEBBIA


di ALEC CORDOLCINI, MondoFutbol.com

Un rantolo, poi il silenzio.
Zeist, con i suoi boschi umidi e brumosi, aveva colpito ancora. Un freddo che scavava dentro ossa e lamiere. La sera del 7 dicembre 1966 la vittima era la Citroën DS grigia di Sjaak Swart. Ferma nel parcheggio dello Sportpark di Zeist, punto di ritrovo degli ajacidi prima della partita. Niente bus della squadra all’epoca, ognuno con il proprio mezzo, magari condiviso. Con Swart c’erano Henk Groot, Klaas Nuninga e il 19enne Johan Cruijff. L’unica opzione era quella di scendere dall’auto e spingere, perché l’Olympisch Stadion di Amsterdam distava 38 chilometri in linea d’aria e una cinquantina scarsa su strada. Dopo mezz’ora di panico e sudore, la Citroën DS si rimise in moto. Swart era abituato a correre in campo, ma anche in auto se la cavava e, nonostante Amsterdam si trovasse avvolta in una nebbia che quattordici anni dopo si sarebbe potuta definire carpenteriana (in omaggio a uno dei migliori B-movie del grande John), arrivò a destinazione alle 19:30.
Quarantacinque minuti dopo, l’arbitro italiano Antonio Sbardella*, avrebbe fischiato l’inizio di Ajax-Liverpool, andata dell'ottavo di finale di Coppa dei Campioni. Match passato alla storia come De Mistwedstrijd, la Partita della nebbia, e nella quale per la prima volta l’Europa si accorse dell’Ajax.

Il 7 dicembre 2016 si è festeggiato il 50° anniversario di questo incontro, considerato l’inizio simbolico dell’epopea del Calcio Totale. E sarebbe stato un vero paradosso se il profeta di quella rivoluzione, Cruijff, non avesse potuto esserci per colpa di un motore che non si accendeva più. L’Ajax sconfisse il Liverpool 5-1, risultato impronosticabile alla vigilia. I reds di Bill Shankly erano reduci da un triennio di successi, con due titoli inglesi e una FA Cup messi in bacheca, oltre a una finale di Coppa delle Coppe persa nei minuti finali contro il Borussia Dortmund. L’Ajax per contro aveva una fama europea pressoché nulla, l’ultima esperienza in Coppa dei Campioni risaliva a sei anni prima, quando si fece eliminare al primo turno dai norvegesi del Fredrikstad. Senza considerare la fase embrionale in cui si trovava il professionismo in Olanda, introdotto da poco più di un decennio, basti pensare che degli ajacidi in campo quella sera diversi avevano un altro lavoro, chi in ufficio (Van Duivenbode), chi in un negozio di proprietà (Swart, Pronk).

Un contesto lontano anni-luce da quello inglese, neo-campione del mondo in carica, che spinse il solitamente meticoloso Bill Shankly a non prestare particolare attenzione agli avversari. Nel weekend in campionato era in programma lo scontro al vertice con il Manchester United, e i pensieri dell'allenatore scozzese erano tutti lì.

«Dato per scontato che voglio vincere la Coppa dei Campioni, questo non significa permettere che ci sfilino dalle mani il titolo di campioni d’Inghilterra», disse prima del match con l’Ajax.

L'arbitro Sbardella in realtà avrebbe preferito non far disputare la gara, visto che la visibilità arrivava a non più di venti-trenta metri. L’Ajax però insistette, non voleva rimandare a casa i 55.722 spettatori che erano accorsi all’Olympisch Stadion per immaginare, più che per vedere, la partita, visto che quanto avveniva in campo sarebbe stato raccontato di fila in fila attraverso il passaparola.
Tra la folla c’era un 15enne entrato senza biglietto, perché non era riuscito a trovarne uno. E siccome aveva la testa dura come il ferro e all’Ajax conosceva tutti – lui giocava nelle giovanili – si recò all’ingresso controllato dallo steward più anziano e sgattaiolò dentro senza essere visto. Louis van Gaal, questo il nome del ragazzo, non avrebbe potuto perdersi quella partita per niente al mondo. Sbardella si convinse. La sera prima, gli ufficiali ajacidi avevano fatto gli onori di casa accompagnandolo in un bel tour di Amsterdam che prevedeva anche un passaggio nel non ancora famigerato De Wallen, il quartiere a luci rosse. I rapporti si erano pertanto fatti più informali e, dal momento che pure al Liverpool andava bene giocare, la partita ebbe inizio.

Reds in campo con tutti i migliori, da Ron Yeats a Ian St John fino a Tommy Lawrence, Peter Thompson e Roger Hunt. Ajacidi in un’inedita tenuta bianca e schierati in un 4-3-3 altamente fluido, con Cruijff teoricamente all’ala destra ma in realtà a tutto campo, punta (con Nuninga falso nove ante litteram che, arretrando, agiva in realtà da numero 10) e all’occorrenza anche terzino. L’unico titolare rimasto in panchina era Piet Keizer, infortunato, per la cui sostituzione nel ruolo di ala sinistra Rinus Michels scelse Cees de Wolf, un marcantonio biondo la cui unica presenza nell’Ajax risaliva al 19 settembre 1965, ovvero oltre un anno prima. Lo stesso De Wolf segnò il primo gol, di testa su cross di Swart. Erano passati appena tre minuti di gioco.

Una rete che nessuno vide, e questo per De Wolf, re per una notte di casa Ajax, fu un cruccio dal quale non si sarebbe più liberato.

Poco tempo dopo infatti fu ceduto all’Haarlem, chiudendo la sua esperienza con i biancorossi di Amsterdam con 4 presenze e 3 reti. Ne era bastata una per garantirgli un piccolo posto nella storia del club ma a lui poco importava, perché quel suo gol si era perso nella nebbia. Dopo di lui nel primo tempo segnarono Cruijff e due volte Nuninga, con il 4-0 ispirato ancora dall’imprendibile Swart, uscito dal campo in anticipo perché, a suo dire, aveva sentito un fischio e pensava ci fosse l’intervallo. Nel tunnel che conduceva agli spogliatoi aveva incrociato un dirigente ajacide.

«Sjaak, che accidenti fai? Stanno ancora giocando, torna in campo».

Swart rientrò e piazzò l’assist per Nuninga. Nessuno si era accorto della sua assenza.

Nella ripresa segnò Groot su punizione, la nebbia iniziò a diradarsi leggermente e la rete più “vista” della serata fu quella del Liverpool, segnata da Lawrence a un minuto dalla fine.

Nel mezzo un sacco di botte, specialmente inglesi, con la nebbia a favorire l’impunità. Groot uscì con il volto tumefatto per una gomitata, Suurbier in barella (salterà il ritorno), Nuninga con le gambe massacrate dal diretto avversario Tommy Smith, non a caso soprannominato in patria The Butcher, il macellaio.
A dispetto del pronostico tutto a favore del Liverpool anche per il ritorno, all'Anfield, l’Ajax strappò un pareggio (2-2, doppietta di Cruyff) e superò il turno. Se nella nebbia l’uomo-partita fu Swart, in Inghilterra la palma del migliore toccò proprio al giovane Johan, in coabitazione con il compagno Gert Bals, autore di una serie di parate strepitose. Chissà se aveva ascoltato le parole di Shankly, che nel post-partita dell’Olympisch Stadion lo aveva definito «un portiere che con me non giocherebbe nemmeno tra le riserve delle riserve».

Nessuna rivoluzione però si crea dalla sera alla mattina, e l’avventura dell’Ajax nella Coppa dei Campioni 1966/67 si concluse al turno successivo, contro il Dukla Praga. Quella cecoslovacca era una squadra tosta sul piano fisico ma su quello tecnico inferiore agli olandesi, e per questo l'eliminazione fece infuriare Michels, che una volta tornato ad Amsterdam cominciò una graduale epurazione degli elementi (Bals, Soutekouw, Nuninga, Pronk, Van Duivenbode, Bennie Muller) non ritenuti all’altezza, causa età avanzata o carenze tecniche, della squadra che intendeva costruire.
Con l’inserimento di Neeskens, Krol, Stuy, Hulshoff e Gerrie Mühren l’Ajax sarebbe decollato verso la propria età dell’oro. Un’epopea indimenticabile le cui basi erano state gettate in una nebbiosa serata dicembrina.

* Futuro onorevole DC e padre della giornalista sportiva Marina, volto storico di Telemontecarlo.


Alec Cordolcini
Autentico riferimento italiano per il calcio olandese (imperdibile in libreria il suo "La Rivoluzione dei Tulipani"), amante del Nord Europa (sogna il sole di mezzanotte di Tromsø), è firma autorevole su La Gazzetta dello Sport, il Guerin Sportivo, Rivista Undici.

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