Guido Bontempi, un Ciclone esemplare per i giovani del 2000


Tuttobici  n. 6/2002

di Gino Sala

Ottimo professionista dal 1981 al 1995, una carriera corredata da un'ottantina di vittorie, il quarantaduenne Guido Bontempi è il ritratto dell'uomo che potrebbe apparire sui cartelloni pubblicitari per la sua bella presenza. Sicuro che l'attività ciclistica gli ha fatto bene, pur non essendo stato tra i corridori che si sono risparmiati. Un tipo, per così dire, incoraggiante nei momenti in cui esplica il suo compito di direttore sportivo della Saeco. Se poi vado indietro nel tempo mi sento autorizzato di additarlo come una figura esemplare per i giovani di oggi, come un pedalatore innamorato del suo mestiere, senza stravaganze, anzi silenzioso nelle sue espressioni benché fosse da additare come il ciclone del gruppo. «Ciclone» per i suoi finali imperiosi, un velocista che si lanciava nell'ultimo chilometro per mettere in riga gli avversari con una progressione esaltante. Alto, sul metro e ottanta, anzi qualcosa di più, robusto, pesante per affrontare le salite con profitto, ma il contrario di quelli che mollano subito quando la strada s'impenna. Capace di rientrare se davanti non c'era battaglia, un combattente più che un attendista, tanto per intenderci.

Silenzioso nel senso di non appartenere alla categoria dei chiacchieroni. Pacato e riflessivo, disponibile verso i cronisti con le maniere dei personaggi educati. Aveva l'obbligo di stare lontano dalle pasticcerie, l'obbligo di non ingrassare più del dovuto e ricordo quando ebbe e confidarmi che le sue sofferenze erano proprio quelle. La stagione più eclatante nel 1986 con le perle di cinque tappe del Giro d'Italia e di tre del Tour de France da mettere accanto ai successi riportati nella Gand-Wevelgem e nella Parigi-Bruxelles. Tra i suoi meriti quello di aver cambiato tattica verso la fine della carriera. Momenti in cui non aspettava più le conclusioni numerose, quelle a lui più gradite, momenti dove si mostrava sovente in fuga, al comando di pattuglie in cerca di fortuna.

Un Bontempi, tutto sommato, pienamente responsabile, un atleta che non ha mai riposato sulle glorie del passato, un ragazzo serio e generoso per tutti i mesi dell'attività agonistica. Ecco perché la mia ammirazione per il bresciano di Gussago è stata grande, perché vorrei che in Guido si rispecchiassero le ambizioni dei ventenni del Duemila. Non è trascorso molto tempo da quando Bontempi è sceso dalla bici e tuttavia molto è cambiato. In peggio, purtroppo. Sarà che invecchiando sono diventato permaloso, mi domando sovente se i miei pensieri, le mie critiche fotografino con esattezza la situazione, non vorrei passare per un esigente e un incontentabile, ma se mi guardo attorno, se mi rivolgo ai colleghi che potrebbero essere miei figli, trovo un pessimismo eguale al mio.

Eh, si: è un ciclismo da rifondare per riavere elementi con l'impegno e la rettitudine di Bontempi. Operazione difficilissima, se non addirittura impossibile. Davide Boifava che è stato il principale sostenitore di Guido, allarga le braccia quando si affrontano argomenti del genere. E tuttavia rimane la speranza di un ravvedimento generale, di un'opera di ricostruzione che deve cominciare dalle categorie minori. C'è gente impegnata nel cambiamento, leggo con sommo piacere che è in leggero aumento il tesseramento giovanile e tutto sommato bisogna scendere in campo con l'obiettivo di far piazza pulita, di mettere alla gogna i lestofanti di ogni specie. È mio profondo desiderio di rivedere nel plotone altri Bontempi. Un'altra predica, osserverà qualcuno. Più che una predica, una bella ramazza per una santa rivoluzione. Così non si può continuare.

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