Bertoglio, il chitarrista che sapeva vincere
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Tuttobici Numero: 12 Anno: 2001
di Gino Sala
Fausto Bertoglio il chitarrista. È questo il ricordo cho ho di lui andando col pensiero al Giro d'Italia 1975. Era una sera di fine maggio in un albergo di Forte dei Marmi che ospitava i ragazzi della Jolly Ceramica. Uno di loro (Giovanni Battaglin) era al comando della classifica e nell'ambiente regnava un'aria di festa, rallegrata dallo strimpellio di Bertoglio, giovanotto che si faceva notare anche per il suo sorriso, al terzo anno di professionismo dopo aver fatto pratica, per così dire, nella Brooklyn di Roger De Vlaeminck e Patrick Sercu.
Un tipetto che aveva già collezionato qualche vittoria, ma dal quale non ci si aspettava che il giorno seguente si sarebbe imposto nella cronoscalata del Ciocco. Un risultato equivalente alla conquista della maglia rosa. Mancavano otto tappe al termine del Giro e il 7 giugno Fausto coronava il suo trionfo sulla cima di una montagna storica, quando seguendo come un'ombra Francisco Galdos si affermava definitivamente sullo Stelvio.
Ho ancora negli occhi quella scalata. Lo spagnolo all'attacco col proposito di annullare i 41" che lo separavano dal bresciano. Uno scatto, due scatti, tre scatti e Bertoglio sempre nella scia dell'avversario. Così, sino al culmine tra due ali di folla plaudente e al tirar delle somme Fausto s'impossessava del cinquantottesimo Giro d'Italia. In terza posizione Gimondi con un distacco di 6'18".
Non è stata lunga la carriera professionistica di Bertoglio. Otto stagioni e una quindicina di vittorie, ma al di là della sua principale impresa ciò che voglio mettere in risalto è il carattere dell'individuo, la tranquillità, la modestia del personaggio, dell'uomo che si accontenta di quanto può dare e di quanto riceve. Penso proprio che in compagnia di Fausto si debbano apprezzare i doni della vita, cosa che non è di tutti, visto l'irrequietezza che è in molti di noi. Viviamo in un mondo di perenni agitati, purtroppo, e beati coloro che contano fino a dieci prima di esprimersi. Chiedo scusa per queste divagazioni, ma è la figura di Bertoglio a indurmi in suggerimenti del genere.
Si capisce, poi, perché ancora oggi la chitarra gli è amica. Uno strumento popolare, di vecchio uso, che si ritrova in locali alla buona, dove in passato sono nate tante società ciclistiche dall'aspetto familiare, luoghi in sintonia con lo sport della bicicletta.
Adesso molto è cambiato. In peggio, mi fa capire Bertoglio quando lo raggiungo al telefono nel negozio dove vende bici in compagnia del figlio Andrea. Bella chiacchierata, un revival che per certi versi mi ha commosso. Sarò di cuore tenero, ma quando si va indietro nel tempo mi prende la nostalgia per i valori perduti, schiacciati da una ricchezza invadente e a ben vedere distruttrice. Insisto fino alla noia su questi argomenti. Parole al vento le mie, parole condivise da molti, ma l'andazzo è quello che è e giorno dopo giorno si perde la speranza di uscire dal buio del tunnel.
Bertoglio è preoccupato per Paolo, il figlio corridore, impegnato quest'anno nelle file della Panaria. Secondo anno nel gruppo dei marpioni, un fisico leggero, 1,72 di altezza, 55 chili di peso. «È più forte di me in salita, non mi pare che i dirigenti siano stati sufficientemente fiduciosi nei suoi riguardi...».
E più in là il padre del giovane professionista non va nel timore di dover offendere il ds Bruno Reverberi che gode credito nell'ambiente per aver lanciato più di un ragazzo. D'altra parte Fausto sa che bisogna avere pazienza e determinazione per crescere e che le porte della notorietà a volte si aprono quando meno te l'aspetti. E qui faccio punto con un abbraccio alla maglia rosa del '75 e un augurio al suo discepolo.
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