Fausto Bertoglio, Passo dello Stelvio, 7 giugno 1975
di Luigi Giacobetti
E' stato oggi, il giorno delle sfide, possibili e impossibili.
Teatro è stato lo Stelvio, autentico Moloch, posto perfidamente, da patron Torrioni, al termine del Giro, che si è erto all'improvviso sotto le ruote dei corridori, come un giudice impietoso e imparziale.
Lungo i 48 interminabili tornanti del più alto passo d'Europa, Fausto Bertoglio, ossuto ed elegante pedalatore, da S. Vigilio di Concesio (BS), ha sfidato a singolar tenzone il campesino basco Francisco Galdos, divisi da un soffio, un'inezia, 41" di misero vantaggio che gli avranno fatto passare una notte non certo tranquilla.
Bertoglio, ha rischiato ieri [6 giugno 1975, nda], nella tappa dei Monti Pallidi con arrivo ad Alleghe, di veder azzerato il suo cospicuo vantaggio, sotto i ripetuti attacchi dello spagnolo e di un sorprendente Roger De Vlaeminck, al quale non deve esser sembrato vero di poter fare un dispetto, al suo ex gregario alla Brooklyn, che gli avrebbe mancato di rispetto cambiando casacca, quella blu-celeste della padovana Jolljceramica. Per fortuna che il bresciano ha trovato sulla sua strada Gimondi, il quale accantonati i sogni di gloria personali visto il distacco in classifica, gli ha dato una mano a contenere lo svantaggio.
La tappa si è svolta nella più assoluta tranquillità, le due asperità di giornata che precedevano lo Stelvio, Il Passo San Pellegrino ed il Costalunga, nulla hanno inciso nell'economia della corsa, sembra quasi che il resto del gruppo, ma così non è stato, si sia estraniato dalla lotta, facendo largo con riverenza ai due pretendenti alla vittoria finale.
Fuoco alle polveri dunque nei pressi di Gomagoi all'altezza del tornante n° 48.
Gli spagnoli della Kas la squadra di Galdos, iniziano gli scatti prima con Pozo poi con Lasa, ma subito i compagni della Jolljceramica di Bertoglio fanno buona guardia, riconducendoli presto alla ragione.
Tutti in gruppo, quindi, o ciò che resta del gruppo, almeno fin sopra al paese di Trafoi dove nel tratto più duro all'interno della pineta con pendenze che superano il 16%, è lo stesso Galdos che si incarica di prendere il comando delle operazioni. Passa il drappello dei reduci, dritto, come una spada. Con un portentoso allungo assottiglia la fila riducendo a quattro il numero dei battistrada: Galdos, Bertoglio, il ligure Giuseppe Perletto e il misirizzi Miro Panizza, quest'ultimo subito appiedato da un guasto meccanico.
Quando subito dopo l'albergo Sotto Stelvio, si para dinanzi ai corridori l'impressionante scalinata finale, deve mancar loro il fiato e le forze, all'idea di dover andare fin lassù, dove scricchiolano i ghiacciai e, dove danzano le nuvole alpine incuranti dell'ultimo sovrumano sforzo imposto ai Giganti della Strada. Ed è in questo scenario fra due pareti di neve, su una strada resa ancor più stretta dalla straboccante folla che assiepa i bordi, che anche il tenace Perletto si inchina all'ultima regale, inesorabile resa dei conti.
All'uscita di ogni tornante, sospinti dal boato della folla, che sale impressionante su dalla valle, Galdos accelera in micidiali progressioni, non scatti perché non possiede le rasoiate del suo capitano Fuente, ma pur sempre terribili, alle quali Bertoglio risponde colpo su colpo, anzi talvolta affiancandolo, dando l'impressione di poterlo piantare lì, sulla strada.
Ma è meglio non rischiare, sa quanto la montagna sia maligna e cattiva, basta un nulla per affondare, per passare da cacciatore a preda. E lui sa, in cuor suo, che quella è la sua grande occasione, quella che lo ripaga di anni di sacrifici e di passione e, per nulla e nessuno al mondo ha l'intenzione di mollare quella maledettissima ruota.
Scorrono i tornanti e con questi si affievoliscono le speranze di Galdos di essere il primo spagnolo capace di portare a casa la maglia rosa, non è che rinunci alla lotta, ma non servono nemmeno le provocazioni del suo direttore sportivo Eusebio Vélez che in preda al "furor" iberico, gli deve aver gridato ogni genere d'improperio; ormai va incontro al suo destino e, a Bertoglio deve sembrar giusto premiare gli sforzi dello spagnolo, lasciandogli la pur prestigiosa vittoria di tappa.
Così che alle sue spalle, a debita distanza dal rivale festeggia braccia al cielo la sua vittoria al Giro d'Italia.
Fausto come Coppi, si legge su un cartello nei pressi dell'arrivo.
Può sembrare un paragone irriverente, ma non oggi, oggi non solo Bertoglio ha sfidato Galdos e se stesso, ma anche il Campionissimo, siglando un'impresa che è entrata nella storia del ciclismo, sulla stessa strada dove più di vent'anni prima Coppi passò segnando la leggenda.
E' sbocciata oggi una rosa, come il colore della sua maglia.
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