Claudio Ghisalberti: «Visentini tradito, Roche strepitoso»


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per RAINBOW SPORTS BOOKS ©

Sala stampa del Palafiori
Sanremo (Imperia), sabato 17 marzo 2018

- Claudio Ghisalberti, se ti dico Sappada ’87: il tuo primo ricordo?

«Il tradimento, se così si può dire. È passato come tradimento, di Roche ai danni di Visentini. Io ne ho parlato spesso. Ho chiesto a Davide Cassani, che era compagno di Roberto, lui sorride e svicola. E quindi rimane questo grande dubbio su quello che può essere successo. Roche stava bene. Di Visentini ne abbiamo parlato anche qualche mese fa, perché c’è stato l’anniversario, organizzato alla Carrera, e Visentini non è voluto venire. Io l’avevo chiamato per chiedergli come mai. Lui è ancora adesso ferito. Questo gli fa onore perché è anche un segno di grande coerenza. Visenta è un personaggio abbastanza deciso, un carattere abbastanza forte. All’epoca qualcuno sosteneva che in corsa proprio il carattere non fortissimo fosse magari proprio un suo punto debole. Invece io sono dell’idea che lui sia una persona abbastanza forte, diretta, decisa e che quindi non ha mai accettato quello che è successo».

- Non s’era mai visto un compagno attaccare la maglia rosa. Ma basta Sappada, dopo trent’anni, a spiegare perché Roberto non ha più voluto saperne dell’ambiente?

«Io so che con qualcuno ha ancora un buon rapporto. Non possiamo dire se Visentini sarebbe uscito dal ciclismo. Però, per quello che lo conosco io, per il suo carattere, forse l’ambiente del ciclismo gli sarebbe stato ugualmente stretto. Al di là di Sappada lui parla spesso di ipocrisia, di incoerenza nel mondo del ciclismo che lui conosce e ha vissuto meglio di me. Non voglio giudicare ma lui spesso parla di questo. Per quanto riguarda se si può ancora vedere, io credo non si veda. Mi viene in mente la vittoria di Wiggins al Tour de France 2012. Froome era il più forte, gliel’ha anche dimostrato, però si è piegato agli interessi di squadra. Interessi che ormai sono altissimi anche a livello economico. Non che prima fossero bassi, però credo che ora siano esponenzialmente più alti».

- Quindi è improponibile un parallelo tra la Carrera anni ’80 e il Team Sky di oggi?

«Due mondi diversi. Anche se con la Carrera, per come era non solo padrona delle corse ma anche squadra leader che dettava la linea nel ciclismo, ci possono essere delle analogie. Ma infinitamente più in piccolo, anche come potere economico. Sky ha un budget annuale che ora supera i 35 milioni di euro. Se anche lo rapporti a trent’anni fa, non c’è paragone». 

- Tu nell’87 insegnavi educazione fisica. Come ti sei avvicinato al giornalismo e al ciclismo?

«Il ciclismo l’ho praticato da ragazzo, poi per un lungo periodo l’ho abbandonato. Abitavo a Milano, in un posto che conoscete molto bene: a Rogoredo, dove adesso avete gli studi. Io son cresciuto lì, a duecento metri, sono nato lì. E comunque era già complicato. Per dirti, per trovare il primo strappettino da fare bisognava andare a San Colombano: son più di quaranta chilometri per fare uno strappetto di un chilometro. Era un po’ scomodo».

- E al mestiere invece come ti sei avvicinato?

«Del tutto casualmente, anche in Gazzetta. Non c’è una mia richiesta, non c’è una domanda di assunzione, non c’è un mio curriculum. Son figlio di operai, mia madre è bidella, quindi nessuna raccomandazione. È stato un caso, una fortuna della vita».

- Hai conosciuto molto bene Roberto. E Roche?

«Stephen Roche era un campione. Un campione capace di vincere tutto, e l’ha dimostrato. Un corridore di una forza fisica e mentale devastanti. Il più forte al mondo, forse per un periodo più breve di quello che si potesse pensare o immaginare. Però, in quella stagione, strepitoso». 

- Quando è tornato in Carrera, nei primi anni Novanta, hai visto un Roche diverso in corsa?

«Nell’87 Roche era all’apice della carriera. Ha fatto una stagione per cui è difficile trovare paragoni in tutta la storia del ciclismo. Quindi paragonarlo ad altre stagioni diventa difficile».

- Della figura di Boifava invece che idea ti sei fatto?

«Io adesso abito vicino a casa sua, non dico che ci vediamo tutte le settimane ma… in pratica sì. È un amico, ridiamo e scherziamo. È una persona che vuole bene al ciclismo, ne è innamorato. Io ogni tanto lo prendo un po’ in giro, perché magari qualche bugia ogni tanto l’avrà detta…».

- Il soprannome “il Cardinale” dice tutto.

«Sì, il Cardinale. Poi ogni tanto gli aggiungiamo anche qualche aggettivo».

- Che atmosfera si respirava alla festa per il trentennale, il 30 settembre 2017 nella sede Carrera a Caldiero?

«Qualcuno mancava. Io non sono un grande amante dei revival».

- Perché in quelle occasioni c’è sempre anche un po’ di malinconia, di nostalgia?

«Di nostalgia no, però nanche tanto di serenità, di felicità. Forse è anche un mio punto di vista, legato al fatto che non sono un grande amante delle rimpatriate, dei vecchi compagni di classe, dei compagni di banco o di squadra. Perché poi il tempo passa e ti rimane, come minimo, un po’ di malinconia, se non magari un po’ di astio, qualche rancore. Qualcuno che si guarda un po’… Credo fosse nata come idea un po’ diversa, poi è stata trasformata, è diventata un po’ una vetrina, una presentazione di un prodotto, i jeans. Boh».

- I Tacchella: che ricordo hai di loro? E poi, visto che dici fu tradimento: tu da che parti stai?

«I Tacchella non li conosco bene, quindi non ti posso dare un giudizio. E poi per il carattere suo, che forse è simile al mio, io sto con Roberto Visentini».

- Il ciclismo di oggi ti diverte ancora? 

«Mi diverto ancora. Con Sagan, che è il Messi o il Ronaldo del ciclismo, qualche giorno fa ci siam seduti, abbiam parlato un’ora e mezza. Se pensi che è il numero uno al mondo…Va bene, il ciclismo non è il calcio, però lui è il numero uno al mondo. C’è questa grande disponibilità. Il ciclismo mi piace perché hai la possibilità di avere un contatto diretto. Ci sono tante persone che vale la pena conoscere, anche a livelli più bassi, o nelle giovanili. Mi vengono in mente i nomi di Formolo, Canola, Bennati: faccio gli esempi di tre ragazzi di età differenti; chi ha avuto e chi potrebbe avere dal ciclismo. E mi diverto a seguire l’evoluzione di un ragazzo albanese, Giuliano Kamberaj,. Abita in provincia di Brescia, sogna di fare il corridore e praticamente vive a casa mia. Corre con i dilettanti di Alberto Contador e nella sua passione e nella sua voglia rivedo un po’ nella mia voglia di quando ero giovane io».

Solo che ha la fortuna di non dover fare quaranta chilometri per arrivare al primo strappetto. [ride]

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