In viaggio con Patrick Lefevere, 21 anni di mestiere e passione


Bakala, azionista di maggioranza del team, Lefevere 
e il suo erede Jurgen Foré (foto Soudal-Quick Step)

https://bici.pro/focus/storie/viaggio-patrick-lefevere-21-anni-mestiere-passione/

Enzo Vicennati - 29.12.2024

«Ci hanno presentato ad agosto 2002. Ci vedemmo con lui e Alvaro Crespi a Lugano. Patrick è una persona che ti mette soggezione, se non lo conosci bene. All’epoca era un uomo di questo tipo, un sopravvissuto al cancro. Aveva un’aura quasi magica. Dopo quell’incontro lo rividi un paio di volte, quindi ci trovammo in ritiro e alla presentazione della squadra nel gennaio 2003. La condusse lui, corridore per corridore. E alla fine arrivò a me, pronunciò il mio nome e disse qualcosa in fiammingo, che però non capii…».

Alessandro Tegner racconta. I 21 anni con Patrick Lefevere, passando dal ruolo di addetto stampa a quello di responsabile marketing del team, meriterebbero piuttosto un libro. E ora che il grande capo ha deciso di passare la mano, cedendo a Jurgen Foré il ruolo di CEO della Soudal-Quick Step ma restando comunque nel board, rileggere la storia è un viaggio fra episodi vissuti per lunghi tratti fianco a fianco.

«All’epoca andare a lavorare in Belgio – spiega – non era come adesso che il mondo è piccolino. Era ancora un viaggio, lo sapete bene. C’era una barriera linguistica non indifferente, un mondo completamente diverso dal nostro. Io all’inizio non parlavo fiammingo, la battuta di Patrick durante la presentazione me la spiegò Stéphane Thirion, il giornalista di Le Soir. “Questo è Alessandro – aveva detto – il nostro nuovo ufficio stampa. Mi hanno detto che è bravo”. Mi sentii gelare il sangue. Pensai: cavolo, tre mesi e sono a casa».

La storia del ciclismo

Lefevere ha fatto la storia del ciclismo. Fra alti e bassi, le sue squadre hanno sempre lasciato segni importanti, sin da quando nel 1992 sbarcò anche in Italia con la Mg-Gb, la prima multinazionale del ciclismo. Ha vinto innumerevoli edizioni del Fiandre, della Roubaix e delle altre classiche fiamminghe con Museeuw, Boonen, Devolder, Terpstra, Gilbert, Ballerini e Tafi. La Sanremo, la Freccia Vallone, la Liegi e il Lombardia con Bettini, Pozzato, Alaphilippe ed Evenepoel. Centinaia di volate con Boonen, Kittel, Cavendish, Gaviria, Viviani, Jakobsen, Merlier e leadout come Morkov e Richeze. Con 981 successi in carriera, la conta delle vittorie è da record. Una strada lastricata di successi e anche di qualche caso spinoso da cui Lefevere è sempre uscito con assoluzioni nette.

Il suo ritiro chiude un’epoca e proietta la squadra verso un futuro da scrivere, con un leader come Evenepoel trattenuto caparbiamente nonostante la corte sfrenata della Ineos Grenadiers e della Red Bull-Bora. Ci piace immaginarlo come un appagato D’Artagnan che, stanco a capo dell’ultimo duello, ha scelto di passare il mantello e la spada a dirigenti più giovani di lui per il bene della squadra da lui creata.


Nei momenti belli e in quelli più difficili, 
Boonen è stato uno delle bandiere dei team di Lefevere

- Si può fare un paragone fra Patrick Lefevere e Giorgio Squinzi? C’erano cose in comune secondo te?

Ho avuto la fortuna di lavorare con Giorgio Squinzi per un paio di stagioni. Lui aveva una capacità decisionale incredibile. Un aspetto che secondo me lo lega a Patrick, era l’abilità nel risolvere le problematiche. Mi ricordo di una riunione infinita alla Mapei, al quarto piano del marketing. Stavamo discutendo di mille cose e non riuscivamo a trovare il bandolo. Finché arrivò lui, si affacciò alla porta e si fece spiegare il problema. «Scusate – disse – ma perché non fate così?». In un minuto risolse una cosa su cui noi discutevamo da una giornata intera.

- Patrick è così?

Non sapete quante volte l’ho chiamato per uscire da una situazione difficile. E quando lo facevo, con la capacità incredibile di leggere le cose, mi diceva che si sarebbe potuto fare in un certo modo. Io lo guardavo e pensavo: ma cavolo, avevo la soluzione davanti agli occhi e non la vedevo. Stiamo parlando di fuoriclasse, non per niente hanno raggiunto entrambi il vertice nel loro lavoro.

- Patrick è tifoso del corridore belga o del corridore forte?

Patrick è sempre stato tifoso del corridore forte. Aveva sempre un occhio per i belgi, perché per quel tipo di sponsor il mercato belga era importantissimo. Però ha creato la prima vera squadra internazionale dopo la Mapei. C’erano corridori di 10-11 nazionalità, fra noi parlavamo inglese e Patrick voleva che facessimo così. E’ sempre riuscito a far convivere qualità e mentalità incredibili. Li vedete Paolo Bettini e Tom Boonen nella stessa squadra? Come adesso far convivere Pogacar e van der Poel. E lui l’ha fatto. Ha rivitalizzato Virenque, Gilbert e Cavendish. Sicuramente era più innamorato dei corridori forti che dei corridori belgi. E ha sempre speso parole importanti per lo staff, per i meccanici e i massaggiatori.


Liegi 2023, Evenepoel fa doppietta. La difesa del suo contratto 
è stato il colpo di Lefevere per tenere la squadra ad alto livello

- In che modo?

Ha sempre detto che i corridori vanno e vengono, mentre lo staff è la spina dorsale delle squadre. Questi sono insegnamenti che poi, giorno dopo giorno, in qualche modo riesci ad assimilare. Da qui nasce la mentalità e quello che noi abbiamo chiamato Wolfpack, che esisteva dal primo giorno di fondazione della squadra ed è l’espressione dello spirito di Patrick. Il modo di fare, il modo di aiutarsi e di collaborare. Lui è l’uomo che ha creato tutto questo, non c’è dubbio. Se venite in Belgio, Patrick è un opinion leader su tante cose.

- Patrick è passato anche attraverso campagne di stampa contro la sua figura in tema di doping, ma non ha mai chinato il capo.

Patrick non ha mai chinato il capo e la dimostrazione che avesse ragione è venuta con le cause che ha vinto. Non ha mai mollato l’osso. Abbiamo lavorato giorno e notte per venirne a capo, però sono cose molto istruttive. Quando vedi che il tuo capo è dritto e dice che non è successo nulla, ti viene addosso una forza non comune. Se guardi Patrick, capisci che non ti sta dicendo una cavolata. Quindi ti butti nel fuoco e fai tutto quello che è necessario fare.

- Un vero condottiero?

Nelle situazioni difficili, Patrick diventa freddissimo. Diventa di una lucidità pazzesca, non solo su questo caso, parlo in generale delle mille cose che sono successe. Quando a te sembra che tutto attorno stia crollando, lui ha sempre la freddezza e la lucidità di trovare soluzioni su tutto. E in questo diventa una figura ancora più prominente. E’ una cosa che ho provato a fare mia, cercando di vedere le cose con più distacco quando ci sono avvenimenti importanti, in modo da avere un punto di vista più obiettivo.


Nel 2012 Boonen vince Harelbeke, Fiandre, 
Gand e Roubaix: un filotto mai visto

- C’è stato un momento dopo quella presentazione del 2003 in cui Patrick ti ha dato una pacca sulla spalla?

Patrick non è un uomo da complimenti. Ho saputo quello che lui pensava di me da altre persone oppure lo capivo da piccoli gesti o in certi momenti in cui la confidenza va oltre il lavoro. Passando tanto tempo insieme, parlandoci quotidianamente al telefono, sono riuscito a conoscerlo in modo diverso. Solo una volta l’ho visto davvero far festa per i risultati della squadra.

- Quando?

Nel 2012, quando Boonen mise in fila Harelbeke, Fiandre, Gand e Roubaix. La sera dell’ultima vittoria, riservammo il ristorante di Gand dove festeggiavamo le nostre vittorie. E quella sera Patrick mi disse: «Alessandro, questa sera non pensiamo a niente e divertiamoci, perché in 30 anni che faccio questo mestiere, una cosa così non era mai successa e dobbiamo celebrarla». Altrimenti è sempre stato uno che vinceva la corsa e mezz’ora dopo stava già pensando alla successiva.

- Mai soddisfatto?

E’ sempre stato così, quasi al punto di cercare il difetto nella vittoria. Ha sempre registrato tutte le corse. Il lunedì le riguardava e poi durante la giornata chiamava le persone cui voleva far notare qualcosa. Magari la squadra che in un certo momento si era mossa male. Quando perdi, l’errore lo vedi subito, ma quando vinci è più difficile. Ci sono stati dei momenti con dei fuoriclasse come Bettini e Boonen in cui vincevamo le corse anche se la tattica non era perfetta, però lui ha sempre cercato questo tipo di perfezione.


Il rapporto tra Patrick Lefevere e Alaphilippe è 
stato strettissimo, ma si è sgretolato nel finale

- Ha avuto lo stesso rapporto con tutti i suoi campioni oppure qualcuno è stato più… figlio di altri?

Secondo me ha avuto più o meno con tutti lo stesso modo di rapportarsi. Forse con Alaphilippe qualcosa di più. Julian ha fatto tutto qui, è nato ed è cresciuto con noi. Correva alla Armée des Terres in Francia e praticamente nessuno se lo filava. Patrick ha sempre avuto un certo amore per i corridori francesi. Alaphilippe, Chavanel, Cavagna, ora Paul Magnier. Un po’ perché avere corridori francesi è importante per il Tour e un po’ perché forse ci vede l’estro, la fantasia, qualcosa di diverso dai belgi.

- Avrà amato Alaphilippe, ma negli ultimi anni lo ha anche trattato con una durezza non comune…

A Patrick non saltano mai i nervi e non dice mai una cosa a caso. Magari l’ha fatto alla Lefevere, però ha espresso i suoi concetti. Forse le cose che pensavano in tanti, ma che solo lui ha veramente espresso fino in fondo. Questo a volte sprona i corridori e li porta a performare, a volte no, dipende dai casi. Quando uno firmava un contratto con Patrick, sapeva che da lui avrebbe avuto tutto, perché Patrick ai suoi atleti dà tutto. Compresa la durezza nelle situazioni di tensione.

- C’è stato un momento, con l’arrivo dei mega-budget, in cui Patrick ha capito che far quadrare i conti stava diventando sempre più difficile?

Abbiamo sempre fatto delle scelte oculate. Non siamo mai stati in una situazione di primi budget al mondo, però la squadra va sempre così bene che probabilmente nessuno si è mai posto il problema. Abbiamo fatto il massimo con quello che avevamo, senza strafare. L’entrata  del mondo arabo nel ciclismo ha dato una svolta, può essere stata la pietra miliare che ha cambiato il panorama internazionale e ha creato degli sbilanciamenti. Ci ha costretto a lavorare più a fondo. Noi abbiamo degli sponsor fantastici, però è chiaro che non è semplice lottare contro squadre che hanno un budget di quel livello.


Patrick è sempre stato attento ai dettagli e ha sempre riletto 
le corse cercando la perfezione. Qui con Bettini nel 2007

- Ti aspettavi che annunciasse il ritiro in questi tempi?

Mi ha un po’ spiazzato. C’era un progetto per il cambiamento, per cui mi aspettavo che avvenisse con più gradualità. Però magari negli ultimi tempi era stanco. E poi, anche se non sarà più l’amministratore, rimarrà accanto alla squadra, che ha curato e fatto crescere per 24 anni. Immagino che non l’abbandonerà così.

- Chi è per te Patrick Lefevere?

Un maestro su come lavorare con passione mantenendo la professionalità. Mi ha insegnato uno stile di vita. Dico sempre che lui appartiene a una cerchia di fuoriclasse che illuminano il gioco. Come Baggio o Maradona, un grande artista. Uno di quei personaggi dotati di una capacità di intuizione superiore alla media, da cui è bene cercare di imparare il più possibile. Detto questo, non sempre sono stato d’accordo con lui. Però le decisioni in cui mi ha coinvolto sono state così condivise che le ho sentite anche mie. Patrick ha una grande capacità di delega. Avvia un processo, lo lascia andare avanti con gli altri e poi torna per metterci l’ultimo tocco e la firma.

- La squadra senza di lui cambierà pelle?

Jurgen Foré l’ha segnalato, scelto e portato lui in squadra. Non viene dal ciclismo per la voglia di dare un’impronta più aziendale alla squadra. Ha una personalità diversa da Patrick e sa bene che non potrà sostituirlo. Farà come tutti il suo lavoro cercando di essere la versione migliore di se stesso. Sono convinto che sia la persona giusta per continuare a pensare a questa squadra e avere davanti a noi magari altri 10 anni.


Alessandro e Patrick, la foto mandata dallo stesso Tegner: come due amici in relax

- Ti abbiamo chiesto una foto di voi due insieme, perché tra quelle che hai ci hai mandato proprio quella qui sopra?

Mi è sempre piaciuta. Di solito nelle foto nostre indossiamo la maglia della squadra, siamo sempre in discussione con qualcuno, con un badge attaccato al collo. Questa è l’unica foto che ho di lui nella quale abbiamo una giacca addosso. Siamo noi due, Patrick e Alessandro. Non so chi l’abbia fatta, ma è un’immagine a cui tengo.

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