Stefano Benni: “Leggiamo per sapere che non siamo soli”


Stefano Benni torna in libreria “Stranalandia” col cane tanguero e l’elefante a mollo nel brodo di dado

Crocifisso Dentello
21 Jun 2025
Il Fatto Quotidiano

Stefano Benni spegnerà 78 candeline il prossimo 12 agosto. Da qualche anno l’autore bolognese vive lontano dalla ribalta, minato dalla malattia. Resta forse l’ultimo scrittore umoristico assurto a classico, erede di una lunga tradizione che va da Guareschi a Campanile. Protagonista della nostrana “poligrafia del riso” con milioni di copie vendute e traduzioni in più di trenta lingue, deve la sua fortuna a un lettorato di sinistra che tra gli anni 80 e 90 lo ha eletto ad autore feticcio insieme ad altri nomi del catalogo Feltrinelli, tra i quali Daniel Pennac (non a caso scoperto e promosso dallo stesso Benni con il quale condivide fede progressista e funambolismo linguistico).

Benni torna ora in libreria con una nuova edizione di Stranalandia. Un libro destinato ai più piccoli, con illustrazioni di Pirro Cuniberti, che Feltrinelli (casa editrice che ha in catalogo la sua cinquantina di titoli) ripubblica a quarantuno anni dalla prima edizione del 1984. “La fantasia ingorda” di Benni – che aveva già brillato l’anno precedente con il best-seller di fantascienza Terra! (un viaggio interstellare ambientato nel 2516 alla caccia di un nuovo pianeta abitabile) – partorisce una favola che prende le mosse dal naufragio nel 1906 di una nave con due scienziati superstiti che approdano su un’isola dell’oceano Atlantico “così bella che sembrava uscita dal dépliant di una pubblicità di Dio”. La battezzano “Stranalandia” perché popolata da creature fantastiche: un coniglio che indica con le orecchie l’ora esatta; un cane ballerino di tango; un cervo le cui corna sono richieste alle feste per attaccarci giacche e cappotti; un elefante che vive in una scodellona di brodo di dado. A suo modo un biglietto d’ingresso nell’opera di “Lupo” (soprannome che insegue Benni dall’infanzia quando lo sorpresero a ululare insieme a un branco di cani).

Il suo esordio, Bar Sport (Mondadori, 1976), resta una esilarante radiografia della provincia italiana tra flipper e telefono a gettoni con i suoi “figuranti” antropologici come il playboy, lo sparaballe, il ragioniere innamorato della cassiera... Memorabile la “Luisona” – pasta con crema rancida in bella vista nella vetrinetta sopra il bancone del bar dal 1959 – che viene incautamente mangiata da un rappresentante di Milano “trovato appena un’ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori”. Benni descrive ciò che aveva osservato nelle notti bolognesi degli anni 70: “Si stava in giro fino alle sei di mattina, gli operai accanto ai figli dei borghesi, i bar come serbatoio del comico autentico, spontaneo”. Una vena umoristica rodata con i corsivi satirici sul manifesto (Rossanda lo appellava “quel pazzo che ride sulle cose serie”) e in seguito perfezionata come autore tivù, battutista di Beppe Grillo. Il suo marchio di fabbrica è la proliferazione picaresca di personaggi e storie surreali con uno stile che mescola giochi di parole, neologismi, parodie, pastiche. Al riguardo la raccolta Il bar sotto il mare (1987) è una serie di “rifacimenti” letterari attraverso le voci di ventitré misteriosi avventori che raccontano la propria storia nell’arco di una notte.

I protagonisti dei suoi romanzi sono per lo più ragazzini le cui disavventure si dipanano in diretto antagonismo con gli adulti cinici e corrotti. In Comici spaventati guerrieri (1986) adolescenti di periferia indagano sulla morte sospetta di un loro compagno con l’aiuto di un vecchio professore, in La compagnia dei Celestini (1992) una banda di orfani cerca di sfuggire ai giornalisti d’assalto che vogliono riprendere il loro campionato segreto di “pallastrada”.

Il bersaglio principale della satira di Benni è il potere manipolatorio dei mass media. Nel mondo distopico di Baol (1990) si parla di “realtà composta” ovverosia la mescolanza tra fiction e “realtà primaria” che scandisce le trasmissioni del regime. In Elianto (1996) il potere pervasivo della tivù diventa una dittatura: ogni attività è governata da un computer centrale che garantisce il consenso attraverso programmi a quiz sulle idee del governo. Debitore di Edgar Allan Poe per la sua capacità di alternare registro comico e tragico, Benni ha forse riassunto in una battuta venata di malinconia la sua vocazione letteraria: “Mi piace pensare che leggiamo per sapere che non siamo soli”.

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