Ennio Vanotti: la mia vita da gregario
Ex ciclista professionista lavora al mercato ortofrutticolo
di Roberto Amaglio
Corriere della Sera - ed. Bergamo, 14 ottobre 2012 (modifica il 15 ottobre 2012)
Dieci anni fa il suo compito era dirigere dall'ammiraglia Paolo Savoldelli verso la sua prima vittoria al Giro d'Italia. Oggi si alza tutte le notti all'una per recarsi al lavoro al mercato ortofrutticolo di Milano. Da atleta ha portato borracce a Saronni, Bugno, Baronchelli, Rominger. Oggi arrotonda facendo l'imbianchino, trovando anche il tempo per seguire la sua squadra giovanile (la Vanotti ARDN Piazzalunga), dare una mano all'amico Giovanni Fidanza ad allenare le ragazze dell'Eurotarget.
Strana storia quella di Ennio Vanotti. L'ex professionista di Almenno San Salvatore, ritiratosi nel 1990 dopo 13 stagioni, non si sta godendo una «seconda vita» agiata e rilassante, ma è ancora a pancia a terra, a sudare e lavorare: la mattina per i datori di lavoro, il pomeriggio in favore di qualche ragazzo che sogna di diventare un professionista.
- Professione gregario, potremmo dire.
«Che ci volete fare?! Anche potendo, io a casa a far niente non riuscirei a stare», attacca Vanotti. «Credo di non essere mai stato fermo. Quando ho appeso la bici al chiodo nell'ottobre del 1990, un mese dopo avevo trovato lavoro al mercato ortofrutticolo di Bergamo. E ora lavoro ancora in quel settore, anche se la ditta si è trasferita a Milano».
- Dodici Giri, quattro Tour, una Vuelta. Capitani come Saronni, Bugno, Rominger e molti altri. Eppure c'è ancora da lavorare.
«Non si può vivere di rendita col ciclismo. Non in quegli anni, per lo meno. E non un gregario come me. Mi ricordo ancora i primi soldi che incassai. Ero tra i dilettanti, nel 1977: ci diedero un milione di lire per tre gare che disputammo in Venezuela. Appena tornato a casa, spesi quei soldi per comprarmi la camera da letto. L'anno dopo, infatti, mi sarei sposato con Valeria (e il 28 ottobre festeggia i 34 anni di matrimonio)».
- Chi è un gregario?
«È un corridore che si dedica completamente alla causa della squadra, dando tutto per il capitano. Questo non lo possano fare tutti. O meglio, tutti lo possono fare, bisogna vedere come».
- Un aneddoto?
«Mi ricordo la cronosquadre di Milano al Giro d'Italia del 1985. Si prendeva il tempo sul quinto. Io dovevo tirare a tutta nella seconda parte di gara, per poi sfilarmi e lasciare l'ultima parte del lavoro ai cinque compagni di squadra. Quando mi spostai, sfinito, dall'ammiraglia mi dissero che non potevo staccarmi perché, avendo perso un «vagone», ero io il quinto del treno. Non so come ma mi attaccai all'ultima ruota della squadra e non la mollai fino al traguardo. Poi però mi dovettero portare quasi in ospedale perché non mi reggevo in piedi. Anche quel Giro, comunque, l'ho portato a termine».
- Anche dopo il ritiro, Ennio Vanotti è sempre stato in sella.
«Dal 1991 al 1994 feci il direttore sportivo del team MTB della Bianchi, dove c'erano campioni come Dario Acquaroli e Paola Pezzo. Poi passai a guidare gli juniores dell'Almenno San Bartolomeo. Nel 2002 feci da direttore sportivo a Paolo Savoldelli alla Index Alexia, squadra con cui vinse il primo dei suoi due Giri d'Italia».
- Senza contare gli impegni da organizzatore.
«Sto organizzando la rimpatriata degli ex professionisti: oggi a Casazza saremo in 80 (più 250 amatori) per una cronosquadre benefica. Questa volta i miei capitani saranno i trapiantati dell'Aned».
Roberto Amaglio
Corriere di Bergamo
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