ERIC VANDERAERDEN, FUORICLASSE INCOMPIUTO
di Nicola Pucci
Può considerarsi un incompiuto un pedalatore abile al punto da vincere 138 corse in carriera? Con palmares che comprende Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Gand-Wevelgem, cinque giorni in maglia gialla e un successo nella classifica a punti al Tour de France? Ebbene sì, ed è il caso di Eric Vanderaerden.
Il biondino di Herk-de-Stad, classe 1962, si affaccia al ciclismo che conta con le prerogative del predestinato, in virtù di un talento cristallino. Velocissimo allo sprint, eccellente sul passo, sveglio sugli strapetti di brevissima durata, debutta nel 1983 affermandosi d’entrata nel prologo della Parigi-Nizza, cogliendo un promettente quarto posto alla Milano-Sanremo, trionfando in due tappe alla Vuelta che di quei tempi si corre ad aprile, battendo tutti nella breve cronometro d’apertura del Tour de France, che lo vede leader per due giorni. A soli ventuno anni, il futuro si tinge di rosa per il belga.
In effetti, il bello deve ancora venire. Vanderaerden ha spiccate doti di cacciatore di traguardi parziali, e da buon fiammingo che si rispetti predilige le classiche che dalle sue parti fanno la storia centenaria del ciclismo. In primisil Giro delle Fiandre, che per i suoi connazionali ha valore di campionato del mondo del pedale e che nel 1985 Eric stravince con una memorabile azione di forza, attaccando sul muro di Grammont e demolendo la resistenza di fior di campioni come Kelly, Lemond, Van der Poel, Anderson e Kuiper, in una giornata apocalittica, funestata da maltempo e ritiri di massa. Una volta tagliato il traguardo di Meerbeke, fasciato della maglia di campione nazionale conquistata nel 1984, l’elezione a fenomeno del corridore intruppato nella superpotenza Panasonic è inevitabile, anche perchè nel frattempo ha già colto il successo alla Parigi-Bruxelles, sempre nel 1984, e qualche giorno prima ha spianato le pietre della Gand-Wevelgem.
I giornalisti, è il loro mestiere, ci mettono del loro, incollando ad Eric l’etichetta di “nuovo Merckx“, che attendono invano dopo i fallimenti di Fons De Wolf e Daniel Willems, altrettanto talentuosi ma incapaci – e chi non lo sarebbe – di ricalcare le orme del “cannibale“. Fatto è che Vanderaerden miete successi con buona frequenza, ad esempio l’ultima, prestigiosa tappa del Tour de France del 1984, con arrivo allo sprint sui Campi Elisi.
Già, il fiammingo ama le vetrine di lusso, a quanto pare, se è vero che altezzoso, bizzosetto e presuntuosello com’è, proprio alla Grande Boucle si ritaglia spazi importanti, come quando si toglie lo sfizio di battere Hinault a cronometro, sempre nell’anno di grazia 1985. L’anno seguente si impone ad Harelbeke, classica che ha lignaggio e albo d’oro da leccarsi i baffi, conquista la maglia verde al Tour pur senza vittorie parziali, e nel 1987 infila uno dopo l’altro un secondo posto alla Sanremo, il terzo al Giro delle Fiandre e come ciliegina sulla torta il trionfo sulle pietre di Roubaix, in volata ristretta su Versluys e Dhaenens.
Ecco, adesso, venticinquenne e all’apice della carriera, Vanderaerden invece di spiccare il volo tra gli immortali del ciclismo, si eclissa e conosce precocemente la parabola discendente. Diventa, ad onor del vero, l’uomo della Tre Giorni di La Panne, gustoso prologo del Giro delle Fiandre, che Eric vince cinque volte, buon ultima nel 1993, ma l’eccesso di aspettative sul suo conto ne limitano il rendimento. E le gare di pregio, ahimè, non lo troveranno più tra i grandi protagonisti.
Finisce qui l’avventura agonistica di Eric Vanderarden, campione che vinse molto ma che avrebbe potuto segnare un’epoca… possiamo fargliene una colpa? Il beneficio del dubbio mi pare si possa concedere al nostro amico ciclista.
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