Gianbattista Baronchelli, un campione di razza


Tuttobici Numero: 7 Anno: 2004

di Gino Sala

Dirò subito che devo a Gian Battista Baronchelli momenti di grande ciclismo, tali da restare scolpiti nella memoria del vecchio cronista. «Abbiamo un nuovo Coppi», mi confidò Ernesto Colnago nell'estate del 1973, quando il Tista ebbe modo di primeggiare nel Giro d'Italia Baby e nel Tour dell'Avvenire. Non è stato proprio il nuovo Coppi, ma in più occasioni mi è parso di rivedere il campionissimo per le emozioni vissute nella scia del pedalatore nato il 6 settembre 1953 a Ceresara (Mantova) e residente ad Arzago d'Adda (Bergamo) dove gestisce un negozio di biciclette insieme al fratello Gaetano.

Emozioni grandissime, fughe e vittorie esaltanti, tali da provocare in me una profonda ammirazione. Ho ancora scolpite nella mente le sue azioni travolgenti, i suoi assalti che fulminavano gli avversari. Sono novanta i successi riportati in sedici anni di attività professionistica dove spiccano due Giri di Lombardia, sei Giri dell'Appennino conquistati uno di seguito all'altro e un Gran Premio di Francoforte. Due volte è giunto secondo nel Giro d'Italia, una volta è tornato a casa con la medaglia d'argento nel campionato mondiale vinto da Bernard Hinault. Ricordi incancellabili.

Rivedo Baronchelli nel Giro 1974 sui tornanti delle Tre Cime di Lavaredo, il Baronchelli che nella stagione del debutto tra i marpioni del ciclismo è alle spalle di Fuente e davanti a Merckx nella terz'ultima tappa della competizione per la maglia rosa. È un Baronchelli scatenato, alla ricerca del massimo risultato, sono fasi elettrizzanti che si concludono col seguente ordine d'arrivo: primo Fuente, secondo Baronchelli a 1'18", terzo Conti a 1'41". Più indietro un Merckx in affanno, stordito da un inseguimento che a tratti sembrava dovesse costargli il primato e quando si tirano le somme in quel di Milano il rendiconto finale mostra un Baronchelli staccato di appena 12" dal Cannibale.

Ricordi incancellabili, dicevo. Come dimenticare il 31 agosto del 1980, quella domenica dedicata alla sfida iridata di Sallanches? Il tracciato comprende una salita cattiva, coi denti aguzzi, un ostacolo che via via elimina 9 azzurri su 12. Una resa in cui figurano Moser, Saronni e Visentini, un confronto che vede Baronchelli alla ruota dell'irresistibile Hinault fino al penultimo giro del circuito. S'impone il francese con 1'11" sull'italiano e 4'25" sullo spagnolo Fernandez. Sul podio in attesa del cerimoniale c'è un Baronchelli con la testa tra le mani e il pensiero rivolto ad un avversario in giornata strepitosa.

Già, si vince anche col concorso della dea bendata e sotto questo aspetto Baronchelli ha molto da recriminare. Non ha avuto dalla sua la buona stella. Infortuni, interventi chirurgici e malanni come l'epatite virale lo hanno danneggiato e tutto ciò si poteva leggere nel sorriso velato dalla malinconia. Novanta successi, comunque non sono pochi e oltre a quelli già citati meritano attenzione le conquiste riportate nel Trofeo Baracchi in coppia con Moser, nel Giro di Romagna, nel Giro del Piemonte, nella Coppa Placci, nel Giro dell'Emilia e nel Giro del Lazio e se aggiungiamo una cinquantina di gare concluse in seconda e terza posizione, abbiamo un atleta degno di tanti evviva. Un difetto? Quello di un'eccessiva sensibilità, di una mancanza di freddezza in un mondo che sovente non paga la semplicità dell'individuo, il suo credo e la sua disponibilità.

Vero è che ancora oggi Baronchelli dimostra il suo amore per il ciclismo gareggiando e vincendo nella specialità della mountain bike. E faccio punto con un caloroso abbraccio per l'uomo che mi ha fatto vivere episodi bellissimi, talvolta vincenti, talvolta perdenti, ma sempre figli di una classe immensa. 

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