BERNARD KING - Queens Finest
di DANIELE VECCHI
Old Timers - Quando la NBA era lʼAmerica
https://www.libreriadellosport.it/libri/old_timers_-_quando_la_nba_era_il_basket.php
«Il pensiero della voce di Marv Albert, durante l’ultimo minuto di Gara5 della sfida-playoff del 1984 tra Pistons e Knicks a Detroit, mi fa ancora venire i brividi. Dopo gli ennesimi due punti con un jumper spalle a canestro dal post basso, mentre le immagini lo ritraggono rientrare in difesa, il mesto mormorio della Joe Louis Arena è lacerato dalle quasi incredule due parole di Marv Albert: “BERNARD KING!”».
Le parole di coach Hubie Brown, dopo l’ennesima impresa di Bernard King, 44 punti con due dita della mano sinistra slogate, sono eloquenti: «Sapevo che Bernard non ci avrebbe fatto perdere, avevo completa fiducia in lui». Altrettanto eloquente fu quella immagine di Chuck Daly, immagine che in seguito fece il giro per il mondo. Mentre camminava nervosamente di fronte alla propria panchina, esasperato dallo strapotere offensivo di King, Dale raccolse quasi meccanicamente un asciugamano, ci si asciuga rapidamente la fronte e poi lo scaraventò a terra con rabbia e frustrazione.
«Before LeBron James, there was another King in the League». Parole sante, lette da qualche parte nel web, scritte da qualche nostalgico saggio. Bernard King, una delle più esplosive small forward e uno dei più devastanti realizzatori nella storia del basket professionistico americano. Poco più di due metri, braccia lunghissime, un arsenale di movimenti spalle a canestro che forse nessuno mai ha avuto e un rilascio della palla velocissimo, effettuato a un’altezza stratosferica, forse inferiore solo al giro-e-tiro di Rasheed Wallace (che però è alto 2.09, dieci centimetri più di King).
Nato a Brooklyn (e ti pareva...) il 4 dicembre 1956, Bernard trascorre l’infanzia e l’adolescenza come tanti altri afro-americani cestisticamente dotati in un sobborgo metropolitano, ovvero con l’effimero status di giovane promessa del ghetto, anche se la sua popolarità nei playground di Brooklyn veniva offuscata da quella del fratello minore Albert, autentico mago della giungla d’asfalto newyorchese.
Bernard era una superstar alla Fort Hamilton High School, nel sud-ovest di Brooklyn, in zona Bay Ridge. Poi scelse di trascorrere i suoi anni da (già proclamata) stella universitaria a Tennessee, dove condusse una turbolenta permanenza in campo e fuori, portando la sua classica esuberanza newyorkese anche nel campus di Knoxville.
In canotta orange and white dei Volunteers, Bernard espresse al massimo la sua fisicità e il suo strapotere in post basso, e assieme a Ernie Grunfeld (altro prodotto dell’asfalto newyorkese, al Queens), nel triennio 1974-1977 mise in piedi l’“Ernie and Bernie Show” (dall’omonimia con i pupazzi della trasmissione tv Muppet Show), con mirabolanti imprese in maglia bianco-arancione.
In tre anni a Tennessee fu tre volte All-American First Team e andò più volte oltre i 40 punti. Al Draft NBA del 1977, venne scelto con la settima chiamata dai New Jersey Nets, ma su Bernard King, molto atteso al piano superiore, c’erano però dubbi sul suo comportamento fuori del campo, soprattutto in fatto di abuso di alcolici.
La sua stagione da rookie fu invece grandiosa, 24.2 punti a partita, che però non gli valsero il titolo di Rookie of the Year, vinto da Walter Davis dei Phoenix Suns. Ma talvolta a Bernard piaceva alzare il gomito, e certo non gli faceva bene la troppa vicinanza con la sua Brooklyn, frequentata troppo spesso in orari proibiti per un giocatore NBA.
Dopo un’altra buona annata nel Jersey (21.6 punti a partita) venne ceduto agli Utah Jazz, dove il caso-King scoppia. Dopo 19 partite della stagione 1979-80 Bernard lasciò la squadra per seguire un percorso di riabilitazione dall’abuso di alcool. La terapia gli costò la stagione, ma alla fine restituì alla NBA il suo campione. Una grande prova di maturità da parte di King, che uscì dal tunnel e ritrovò se stesso. I Jazz comunque lo cedettero frettolosamente ai Golden State Warriors, e Bernard risorse nella stagione 1980-81, 21.9 punti a partita (e 59% al tiro), più il premio di Comeback Player of the Year, e si consacrò in quella successiva, 1981-82, con 23.2 punti di media e il suo primo All-Star Game.
Ma per lui il bello e il brutto della carriera dovevano ancora arrivare. La naturale destinazione per Bernard King erano i New York Knicks, la sua squadra nella sua città. Ora più che mai, dopo la riabilitazione, l’ex Volunteer voleva e doveva dimostrare qualcosa a casa sua. Arrivato al Garden nella stagione 1982-83, divenne subito il simbolo della franchigia e della città. Segnò 21.9 punti in quella stagione, 26.3 l’anno dopo, con prove di eccezionale strapotere offensivo. Come il back-to-back da 50 punti, il 31 gennaio e il 1° febbraio, nella trasferta in Texas contro San Antonio Spurs e Dallas Mavericks (con un complessivo 40/51 al tiro nelle due gare, entrambe vinte dai Knicks). Quell’infuocata serie di playoff del 1984, accennata all’inizio, contro i Pistons (eliminata Detroit, in semifinale della Eastern Conference i Knicks si arresero solo alla settima partita ai Boston Celtics).
La stagione 1984-85 sembrava la naturale continuazione dell’idilliaco amore tra King, i Knicks e la sua città: 32.9 punti per gara per Bernard, 60 ai New Jersey Nets nella sfida di Natale, e una sensazione di onnipotenza che assegnava ai Knicks il ruolo di contender della Eastern Conference. A stagione quasi terminata, però, in attesa dei playoff, accadde l’orrendo imprevisto, a Kansas City contro i Kings. Ricadendo dopo un’azione difensiva (nella quale King forse cercò con troppa veemenza un fallaccio sul penetratore), Bernard si frantumò il ginocchio destro: crociato, legamenti, tutto distrutto, l’infortunio più grave che un cestista può avere.
Ma Bernard non si diede per vinto. Perse quasi per intero le due stagioni successive, rientrò nelle ultime sei partite del campionato 1986-87 tra la commossa e infinita standing ovation del Garden. King però non rientrava più nei piani dei Knicks (in ricostruzione attorno a Patrick Ewing, prima scelta del Draft NBA 1985), e pur avendo dimostrato di valere ancora qualcosa (22,7 punti di media in sei partite), credendolo finito New York lo cedette ai Washington Bullets.
Bernard King non era più lo stesso giocatore esplosivo in post-basso, ma dopo la prima discreta stagione nella capitale (17.2 punti per gara), nella incredulità generale e alla faccia dei Knicks che lo avevano scaricato, nella stagione 1990-91 Bernard riesplose ancora una volta. Con 28,3 punti di media (terzo nella lega dietro Michael Jordan e Karl Malone), tornò all’All-Star Game e dimostrò di essere un immenso campione, di tecnica e di tenacia. Si ritirò alla fine della stagione 1992-93, con un totale di 19.655 punti in carriera. E quelle parole, «BERNARD KING!», pronunciate da Marv Albert continuano a fare venire i brividi.
BERNARD KING
Ruolo: ala piccola
Nato: 4 dicembre 1956, Brooklyn, New York (USA)
High school: Fort Hamilton (Brooklyn, New York)
Statura e peso: 1,99 m x 93 kg
College: Tennessee (1974-1977)
Draft NBA: 1º giro, 7ª scelta assoluta (New Jersey Nets, 1977)
Pro: 1977-1993
NBA: New Jersey Nets (1977-1979), Utah Jazz (1979-80), Golden State Warriors (1980-1982), New York Knicks (1982-1987), Washington Bullets (1987-1991), New Jersey Nets (1993)
Riconoscimenti: 4 NBA All-Star (1982, 1984, 1985, 1991), capocannoniere NBA (1985), 2 All-NBA First Team (1984, 1985), All-NBA Second Team (1982), All-NBA Third Team (1991), NBA All-Rookie Team (1978), Sporting News NBA MVP (1984), 3 SEC Player of the Year (1975, 1976, 1977), Consensus NCAA All-American First Team (1977), Consensus NCAA All-American Second Team (1976)
Cifre NBA:
punti: 19.655 (22,5 PPG)
rimbalzi: 5.060 (5,8 RPG)
assist: 2.863 (3,3 APG)
Numeri: 22, 30, 55
Commenti
Posta un commento