DEREK HARPER - La tenacia e lʼorgoglio
di DANIELE VECCHI
Old Timers - Quando la NBA era lʼAmerica
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«In quel momento tutti avranno pensato cose del tipo “ecco, Derek Harper è finito, non farà mai più niente, sʼè rovinato la carriera, farà pazzie, si butterà dalla finestra”. Invece niente di tutto questo, commetto errori, come tutti e cerco sempre di guardare avanti, di imparare dai miei sbagli, di lavorare duro anche sotto lʼaspetto psicologico e di migliorarmi continuamente».
Le parole di Derek Harper, tre anni dopo il “fattaccio”, sono eloquenti e fotografano nitidamente la mentalità e lʼetica lavorativa dellʼex giocatore di Illinois. Un giocatore di grande carisma, uno di quelli che vengono fuori “alla distanza”, che resistono alle intemperie e che parlano con i fatti, sul campo, senza chiacchiere inutili.
Derek Ricardo Harper è un uomo del profondo sud degli Stati Uniti. È nato il 13 ottobre 1961 a Elberton, Georgia, piccola cittadina meglio conosciuta come “La capitale mondiale del granito”, a nord-est di Atlanta e a nord-ovest di Savannah. Per frequentare il liceo si trasferisce a West Palm Beach, nel sud della Florida, dove diventa la punta di diamante della North Shore High School e si guadagna le attenzioni dei grandi reclutatori universitari. Su di lui la spuntano i Fighting Illini di coach Lou Henson, che a Urbana-Champaign portano una giovane e promettente guardia di 193 centimetri, con visione di gioco, intelligenza cestistica e talento straripante.
Alla University of Illinois, Derek lascia subito tutti a bocca aperta. Una superstar era nata. Harper si rivela un leader già da freshman. Nei suoi tre anni in maglia orange and Navy blue fa incetta di premi e riconoscimenti e trascina i Fighting Illini a un record complessivo di 60 vinte e 30 perse. Da sophomore, stagione 1981-82, guida la classifica degli assist nella Big Ten Conference. E nella stagione successiva, a 15.4 punti di media si consacra superstar e viene nominato nel First Team della Big Ten e nel Second Team degli All-American. Ormai si sente pronto per passare alla NBA con un anno di anticipo sulla fine del quadriennio universitario.
Al Draft NBA del 1983 lo chiamano al numero 11 i Dallas Mavericks, che alla pick 9 avevano già scelto il fortissimo Dale Ellis da Tennessee. In Texas le due nuove guardie hanno subito un buon impatto. Ellis si conferma un eccezionale tiratore, Harper invece è un solido cambio di Brad Davis e comincia a fare intravedere le temibili qualità difensive che ne caratterizzeranno lʼintera carriera NBA.
In quella stagione Dallas, con un record di 43 vittorie e 39 sconfitte, raggiunge per la prima volta la postseason. Riesce anche a superare il primo turno, infliggendo un duro upset (4-1) ai favoriti Seattle SuperSonics. Nelle Western Conference Semifinals, ecco il “fattaccio”.
Sotto 1-2 nella serie contro i Los Angeles Lakers, sul 108-pari a 12 secondi dalla fine di Gara4 alla Reunion Arena, i Mavs hanno la palla in mano. A Harper arriva quando di secondi al termine ne mancano 6. Harper palleggia nei dintorni del cerchio di metà campo, 5”, 4”, 3”, 2”, 1”, suona la sirena. Inspiegabilmente Harper ha fatto scadere il tempo tenendo la palla nelle proprie mani, senza nemmeno tentare un tiro o un passaggio. Credeva, erroneamente, che i Mavericks fossero in vantaggio di un punto. Il gesto di disappunto di Rolando Blackman, il primo che va a chiedere spiegazioni a Harper, è nella storia del gioco.
Al supplementare i Lakers si assicurano la vittoria, cui seguirà quella in Gara5 al Forum di Inglewood, gettando così su Harper quasi tutte le colpe della sconfitta nella serie. I media texani si scagliano contro di lui per quellʼerrore, ma Derek mantiene i nervi saldi e pur essendo una matricola (5.7 punti in 21 minuti di media, non proprio una rookie season che ha lasciato il segno) dimostra, oltre alla proverbiale etica lavorativa, una grande maturità. Harper infatti non ha mai cercato scuse per quel suo imperdonabile errore. Si è sempre assunto le proprie responsabilità, ha cercato di imparare dai propri errori, affinando il proprio atteggiamento e continuando a guardare avanti.
Nella sua seconda stagione NBA le sue cifre dal campo migliorano, 9.6 punti e 4.4 assist in 27 minuti a partita, e diventa sempre più importante il suo impatto sulla squadra come point guard dalla spiccata attitudine difensiva. Al terzo anno in NBA (1985-86), Harper ha lʼoccasione di rifarsi alla grande dello sbaglio commesso nei playoff del 1984.
In postseason, eliminati gli Utah Jazz nel primo turno, i Mavericks si ritrovano di fronte ancora i Lakers nelle Western Semifinals, e Derek stavolta non commette errori. Due suoi canestri pesantissimi (la tripla del pari a 46 secondi dalla fine, e quello vincente vincente a tre secondi dalla sirena) danno la vittoria a Dallas in Gara3 e non solo lo “riabilitano”, ma lo consacrano come titolare fondamentale di quei Mavericks dopo una stagione da 12.2 punti, 5.3 assist e 2 due recuperi a partita. Una pedina che mancava alle tante superstar dei Los Angeles Lakers, comunque una solidissima squadra che, nonostante quella sconfitta, vinse poi la serie.
Harper giocherà altre sette stagioni nei Mavericks, di cui sarà colonna portante per tutta una generazione di tifosi cowboys, lasciati dopo 526 gare giocate alla media di 17.7 punti, 7 assist e 2 recuperi a partita. Nella stagione 1993-94 lʼex Illinois viene ceduto ai New York Knicks di coach Pat Riley, che cercava una guardia esperta, con attitudini difensive, disposta a partire dalla panchina ma capace di avere un duro e deciso impatto una volta in campo. Arrivato al Garden il 6 gennaio a moʼ di regalo della Befana, Harper entra subito nei meccanismi difensivi e offensivi di Riley. E rispetto alla prima fase della sua carriera diventa un giocatore da meno minuti ma totalmente di qualità. In poco tempo si rivela una delle colonne portanti di quei Knicks, che sfiorarono il titolo NBA. Lo speaker del Garden lo prende in simpatia, e nelle presentazioni conia per lui la “cantilena” utilizzata successivamente anche per introdurre Marcus Camby.
Ancora una volta Harper è fondamentale nei playoff. Uno dei giocatori più solidi nelle NBA Finals, mantiene una media di 16 punti, 6 assist e 2.43 recuperi a partita per tutte le sette gare della Finale contro i Rockets. Determinanti i suoi 18 punti nella vittoria di Gara2 (91-83 a Houston), e con i 23 in Gara7 è uno dei pochi a non mollare psicologicamente.
Trascorse nella Big Apple le due stagioni successive, ottime nonostante lʼavanzare dellʼetà, prima di ritirarsi torna a Dallas (1996-97), spende un anno a Orlando (1997-98) e chiude con una più che dignitosa stagione ai vecchi rivali, i Los Angeles Lakers (1998-99): a 38 anni, 7 punti e 4.2 assist a partita. Grande e solida carriera quella di Derek Harper, 16.006 punti, 1.957 recuperi, 6.577 assist e un grande cuore, in difesa e in attacco.
Derek Ricardo Harper
Ruolo: point guard
Nato: 13 ottobre 1961, Elberton, Georgia (USA)
High school: North Shore (West Palm Beach, Florida)
Statura e peso: 1,92 m x 83 kg
College: Illinois (1980-1983)
Draft NBA: 1º giro, 11ª scelta assoluta 1983 (Dallas Mavericks)
Pro: 1983-1999
NBA: Dallas Mavericks (1983-1994), New York Knicks (1994-1996), Dallas Mavericks (1996-97), Orlando Magic (1997-98), Los Angeles Lakers (1999)
Riconoscimenti: 2 NBA All-Defensive Second Team (1987, 1990)
Cifre NBA:
punti: 16.006 (13,3 PPG)
assist: 6.577 (5,5 APG)
recuperi: 1.957 (1,6 SPG)
Numeri: 12, 11
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