BOB McADOO - «That’s two for Doooooo!»


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica
https://www.libreriadellosport.it/libri/old_timers_-_quando_la_nba_era_il_basket.php

Il significato più vero e più intenso della parola “realizzatore”, in tempi relativamente moderni, può forse materializzarsi in Robert Allen McAdoo, detto Bob. L’epitome del pioniere “fisico”, il mutante che fa da collante tra i giocatori anni Settanta, più inquadrati per conformazione fisica e ruoli ben definiti, e i giocatori più moderni, più atipici per tipologie fisiche e attitudinali. 

Bob McAdoo è stato una delle prime power forward capaci di unire il duro lavoro d’area, gioco in post e fronte a canestro, alla straordinaria abilità realizzativa dai cinque metri, cosa non molto diffusa nelle ali grandi dell’epoca. Le mani morbide, il talento, la velocità e l’atletismo ne facevano un’arma totale nella dura, fisica e non troppo talentuosa NBA dei primi anni Settanta. 

Nato (il 25 settembre 1951) e cresciuto a Greensboro, North Carolina, diplomatosi alla locale Ben Smith High, Bob accetta la borsa di studio di un ateneo di Division II, il Vincennes Junior College, nell’Indiana. 

Nello Stato culla e patria del basket rimane per due stagioni, portando al titolo nazionale i Trail Blazers nel 1970 e venendo nominato All-American in entrambe le sue stagioni a Vincennes. Le sue prestazioni giungono alle orecchie e agli occhi di osservatori importanti, e più precisamente degli scout dei Tar Heels della University of North Carolina, che lo reclutano in canotta azzurra per la sua stagione da junior. 

Anche nella sua unica stagione alla corte di coach Dean Smith, Bob dimostra il suo enorme talento, portando UNC alle Final Four nel 1972 e guadagnandosi il prestigioso MVP Award dell’Atlantic Coast Conference Tournament. Convinto, a ragione, di poter essere scelto molto in alto, se non addirittura al numero uno, McAdoo si rende disponibile per il Draft NBA del 1972. Lottery che, assieme a qualche altra, sarà ricordata come quella con la peggior prima scelta assoluta di sempre: LaRue Martin, chiamato dai Portland Trail Blazers. 

Centrone afro-americano chicagoano da Loyola University, look alla Artis Gilmore ma senza la stessa classe, fisicità e forza mentale, contro UCLA aveva però dominato la stella Bill Walton, cosa che sembrava impossibile potesse accadere. Folgorati da quella performance e dalla apparente solidità di Martin, i Blazers spesero per lui la pick numero 1. LaRue invece rimarrà in Oregon e nella NBA solo quattro stagioni, totalizzando 5.3 punti e 4.3 rimbalzi di media in carriera. 

Con la seconda chiamata assoluta, i Buffalo Braves scelsero Bob McAdoo da North Carolina, giocatore che, con il senno del poi, si rivelò di fatto la vera prima scelta di quel Draft, anche se alla numero 12 i Milwaukee Bucks scelsero un certo Julius Erving, che però se la passava già alla grande nella ABA, la lega concorrente. 

A Buffalo, McAdoo andò subito forte nella front line con il giovane centro Elmore Smith da Kentucky State. Nella stagione 1972-73, nonostante il disastroso record di 21 vinte e 61 perse della squadra, la giovane coppia fisica ed esplosiva dominava sotto canestro: 36.3 punti e 21.5 rimbalzi di media in due. Un dynamic duo cui si aggiungeva Bob Kaufman, power forward da 17.5 punti, 11 rimbalzi e 5 assist di media a partita, e che sembrava rappresentare il futuro per i Braves di coach Jack Ramsey. 

Nominato NBA Rookie of the Year del 1972-73, nella stagione successiva McAdoo esplode come devastante realizzatore. Senza più al suo fianco Smith, sorprendentemente ceduto ai Los Angeles Lakers per Jim McMillian (futura stella virtussina a Bologna in maglia Sinudyne dal 1979 al 1981), McAdoo diventa l’unico vero terminale offensivo dei Braves. A 30.6 punti e 15.1 rimbalzi di media, e nonostante un record di 42-40 in regular season, li trascina ai playoff, dove però vengono battuti (4-2 ma non senza difficoltà) dai Boston Celtics di coach Tom Heinsohn, che poi vinceranno il titolo NBA battendo 4-3 i Milwaukee Bucks di Kareem Abdul-Jabbar e Oscar Robertson. 

McAdoo pare già all’apice della carriera, nel 1974-75 è l’MVP della lega con 34.5 punti e 14.1 rimbalzi di media a partita, una total weapon in canotta e pantaloncini che lasciava un perenne senso di impotenza a chiunque provasse a difendere su di lui. 

Nella stagione successiva, con 31.1 punti e 12.4 rimbalzi di media, è di nuovo il miglior realizzatore della NBA ma ancora una volta i Braves non vanno oltre le Eastern Conference Semifinals. Qualcosa non quadra, a Buffalo, e dopo 20 partite del campionato 1976-77 McAdoo viene ceduto ai “vicini” New York Knicks di coach da Red Holzman. 

McAdoo vede le proprie cifre scemare, ma rimane sempre un grandissimo realizzatore, anche se qualcosa, nella sua nomea di unstoppable scorer, si viene a perdere. Circola voce che non sia un vincente, che nei playoff non riesca a salire di livello e cose simili, cose che peraltro i media dicono dalla notte dei tempi e molto spesso smentiti dai fatti (Michael Jordan e LeBron James docet). 

Nel 1979 McAdoo lascia i Knicks per i Celtics, nel 1980 va ai Pistons, nel 1981 ai Nets. Mai niente di speciale per lui che, anche a causa di numerosi infortuni che ne hanno limitato la produzione offensiva, non trova più una collocazione e un ruolo nei quali poter esprimere appieno il suo immenso talento offensivo. 

All’alba dei trent’anni, nella stagione 1981-82, Bob trova la sua nuova strada. Approda ai Los Angeles Lakers di coach Paul Westhead prima e di Pat Riley poi, lì si ritaglia il ruolo che lo contraddistinguerà nelle sue quattro stagioni in gialloviola, quello di sesto uomo di lusso. 

Due titoli NBA in 4 Finals (4-2 ai Philadelphia 76ers nel 1982 e i Boston Celtics nel 1985, sconfitte per 0-4 con Phila nel 1983 e per 3-4 con Boston nel 1984), medie complessive variabili dai 9.6 punti ai 15 punti di media, e un impatto significativo ogni volta che si alzava dalla panchina, quando il pubblico del Forum cominciava a gridare «Dooooo!, Dooooo!» (come accadeva per Michael Cooper, ogni volta che «Coooooooop!» aveva il controllo del pallone). 

McAdoo entrava spesso per James Worthy o Kurt Rambis e A.C. Green, e per le difese avversarie era una sorta di «pick your poison», scegli tu il veleno: non c’era perdita di qualità con l’ingresso in campo di questo panchinaro di lusso, che avrebbe potuto tranquillamente ancora segnare 20 punti a partita in qualsiasi altra squadre NBA. 

Bob venne ceduto ai 76ers nel 1985-86, stagione di transizione nella quale a Philadelphia era arrivato Charles Barkley e dove i veterani Julius Erving, Moses Malone e Bobby Jones stavano perdendo smalto. McAdoo diede il suo onesto contributo da 10.1 punti di media, aiutando i Sixers a raggiungere le Eastern Conference Semifinals, perse in sette partite contro i Milwaukee Bucks. 

I tempi però erano ormai maturi per un altro tipo di avventura. Ancora relativamente giovane e con qualche altro anno a buon livello davanti, Bob optò per l’Europa, più precisamente l’Olimpia Milano, dove McAdoo, per sua stessa ammissione, trascorse il periodo più bello della sua vita, dal 1986 al 1990. In quella grande Tracer, con McAdoo c’erano Mike D’Antoni, Ken Barlow, Dino Meneghin, Roberto Premier, Vittorio Gallinari (papà del Danilo oggi ai Denver Nuggets), una squadra capace, nel 1987, di vincere tutto (scudetto, Coppa dei Campioni, Coppa Italia e Coppa Intercontinentale), di bissare nel 1988 la Coppa dei Campioni e di strappare con i denti un controverso scudetto nel 1989 a Livorno contro la Libertas. Un gruppo quasi sul viale del tramonto a cui si era aggiunto un altro ultra-trentenne come McAdoo, che però si era splendidamente integrato nei meccanismi di Dan Peterson e Franco Casalini, dando un contributo fondamentale a una delle più grandi squadre europee di sempre. 

Dal 1990 al 1992 alla Filanto Forlì, nel 1993 ha giocato la sua ultima stagione professionistica con la maglia della Teamsystem Fabriano, a 42 anni. 

Nel 2012 Bob ha rivinto il titolo NBA con i Miami Heat, dei quali è assistant coach da 17 stagioni. Resta il rammarico di averlo visto escluso (unico MVP della lega) tra i 50 migliori giocatori dei primi 50 anni della NBA, nominati nel 1996, ma per fortuna la storia ce lo consegna come un grande assistente allenatore, un grandissimo giocatore e un immenso conoscitore del gioco. «That’s two for Dooooo!». 


Robert (Bob) Allen McAdoo 

Ruolo: centro/ala forte 
Nato: 25 settembre 1951, Greensboro, North Carolina (USA) 
High school: Ben L. Smith (Greensboro, North Carolina) 
Statura e peso: 2,04 m x 95 kg 
College: North Carolina (1971-1972) 
Draft NBA: 1º giro, 2ª scelta assoluta 1972 (Buffalo Braves) 
Pro: 1972-1993 
Carriera: Buffalo Braves (1972-1976), New York Knicks (1976-1979), Boston Celtics (1979), Detroit Pistons (1979-1981), New Jersey Nets (1981), Los Angeles Lakers (1981-1985), Philadelphia 76ers (1986), Olimpia-Tracer Milano (Italia, 1986-1990), Filanto Forlì (Italia, 1990-1992), TeamSystem Fabriano (Italia, 1993) 
Palmarès da giocatore: 2 titoli NBA (1982, 1985) 
Riconoscimenti: NBA MVP (1975), 5 NBA All-Star (1974-1978), 3 capocannoniere NBA (1974, 1975, 1976), NBA Rookie of the Year (1973), All-NBA First Team (1975), All-NBA Second Team (1974), NBA All-Rookie First Team (1973), MVP Final Four Eurolega (1988), Consensus NCAA All-American First Team (1972), 50 Greatest Euroleague Contributors, Naismith Memorial Basketball Hall of Fame (dal 2000) 
Cifre NBA: 
punti: 18.787 (22,1 PPG) 
rimbalzi: 8.048 (9,4 RPG) 
stoppate: 1.147 (1,5 BPG) 
Numeri: 11, 21 
Da coach: assistente Miami Heat (1995-) 
Palmarès da assistente allenatore: 2 titoli NBA (2006, 2012) 

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