DENNIS JOHNSON - The Deejay Is Playing In Basketball Heaven


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica
https://www.libreriadellosport.it/libri/old_timers_-_quando_la_nba_era_il_basket.php

La prima cosa che si notava di Dennis Johnson, oltre ai capelli rossicci e le lentiggini sulla pelle nera, erano le occhiaie. Sembrava avesse preso dei pugni in faccia, oppure che avesse dormito venti minuti per notte nelle ultime settimane. 

La NBA, nella televisione italiana, si è cominciata a vedere quando la carriera di DJ già aveva cominciato la parabola discendente, ovvero quando i Celtics, bisognosi di un grande difensore su guardie e ali piccole estremamente pericolose, se ne erano assicurati i servigi. 

Un mastino, un generoso, un duro, un grande giocatore, un grande difensore. Come spesso capita ai giocatori come lui, duri per davvero senza essere plateali né sporchi (o, più semplicemente, senza la faccia giusta per bucare lo schermo), la sua carriera non è mai stata riconosciuta come il capolavoro di dedizione e incisività cestistica quale in realtà è stata. 

Nato il 18 settembre 1954 a Compton, sobborgo malfamato di Los Angeles, Dennis Wayne Johnson era lʼottavo dei sedici figli di unʼoperatrice sociale e di un muratore. Negli anni del liceo, alla Dominguez HS, aveva sofferto per la bassa statura (1.75 fino ai 18 anni) e lʼemarginazione dalla squadra di basket della scuola, fino a scoprirsi 1,95 a 19 anni e a farsi un nome nei playground di Compton e South Central, campetti dove lo nota il coach di Los Angeles Harbor College, Jim White, che lo recluta e lo nomina capitano della squadra. 

Al suo secondo anno DJ porta lʼHarbor al titolo statale di junior college della California, guidando i Seahawks nelle medie per punti (18.2 a partita) e rimbalzi (12). Intanto comincia a farsi conoscere come acerrimo nemico degli attacchi altrui e miglior arma difensiva sull’uomo vista in quegli anni di college basketball. Arrivarono offerte da college maggiori, e Dennis, per rimanere a Los Angeles nellʼultimo anno agonistico, scelse Pepperdine (altrimenti sarebbe dovuto restare fermo un anno). 

Da senior, in maglia Waves viaggia a 15.7 punti di media e continua a impressionare per la difesa sull’uomo, annullando via via tutte le grandi stelle avversarie. Mani rapidissime, movimenti e scivolamenti laterali tra i più veloci che si siano mai visti, Dennis era un incubo per qualsiasi attaccante da lui francobollato. Nonostante la sua grande abilità difensiva, però, Dennis non è sotto i riflettori come possibile prima scelta NBA. 

Essendo un difensore duro, arcigno, in giro – senza alcun motivo apparente – si sparge la voce che DJ sia uno che crea problemi, un indisciplinato che può fare solo male alla squadra di cui indossa la canotta. Al Draft NBA del 1976 infatti viene chiamato al secondo giro, con il numero 29 dai Seattle SuperSonics. Il suo anno da rookie è buono ma tutto sommato abbastanza anonimo, 9.2 punti di media da guardia di riserva degli esperti Don “Slick” Watts e “Downtown” Freddie Brown, senza essersi particolarmente distinto come grande difensore. 

Con l’avvento di coach Lenny Wilkens (con cui però i rapporti non saranno mai idilliaci), dopo una partenza da 5-17 nella stagione 1977-78, Dennis ottiene un posto fisso nel quintetto-base gialloverde. E a fianco del funambolico playmaker Gus Williams, trascina Seattle alla Finale NBA del 1979 (che i Sonics perdono 3-4 contro i Washington Bullets dopo essere stati avanti 3-2 nella serie). Il titolo arriverà però la stagione successiva, nella sentita rivincita sui Bullets. 

Quella fu una stagione splendida per DJ: 16 punti per gara, prima convocazione per l’All-Star Game, e nomination per il First Defensive Team grazie alle eccezionali prestazioni difensive disseminate per tutto lʼanno e soprattutto a quella, indimenticabile, nella decisiva Gara5 della Finale contro Washington. Con la serie sul 3-1 per Seattle, Johnson segna 32 punti per la vittoria che vale ai Sonics il titolo NBA, e a lui anche il premio di MVP delle Finals. Per qualsiasi altro giocatore unʼannata così sarebbe stata la stagione della vita, ma la meravigliosa carriera di Dennis era appena cominciata. 

Dopo il campionato 1979-80, conclusosi per i Sonics con la sconfitta nelle Western Conference Finals (1-4 contro i Los Angeles Lakers), lo strappo tra coach Wilkens e DJ diventa insanabile e Johnson viene ceduto ai Phoenix Suns. Tre anni ai Suns, tre All-Star Game e altrettanti All-Defense First Team, più il First NBA Team 1981-82 con George Gervin, Julius Erving, Larry Bird e Kareem Abdul-Jabbar. E una strapotenza difensiva talmente marcata e devastante da riuscire addirittura a fare chiudere anzitempo delle carriere. 

Anche a Phoenix però Dennis cozzare con lʼallenatore, John MacLeod, costringendo così Jerry Colangelo, nel 1983, a uno degli scambi più deleteri che la storia dei Suns (e della intera NBA) ricordi: Dennis Johnson ai Boston Celtics in cambio di Rick Robey, “promettente” centrone bianco da Kentucky (terza scelta assoluta, ai Pacers, al Draft NBA 1978) in perenne attesa di una esplosione poi mai arrivata. 

Erano gli anni del Boston Strangler “buono”, alias Andrew Toney, che nelle due precedenti edizioni dei playoff aveva massacrato i Celtics, che quindi avevano bisogno di un difensore puro per marcare le grandi guardie realizzatrici della Eastern Conference, e DJ era il prototipo di quel giocatore. In Massachusetts trascorse sette stagioni, vincendo da protagonista due anelli NBA, nel 1984 (dominando con la sua asfissiante difesa Magic Johnson nelle Finals) e nel 1986. 

Anima e corpo dei biancoverdi, al pari dei “Big Three” (Bird, Kevin McHale e Robert Parish), Johnson si ritira dopo la stagione 1989-90 con 1100 partite giocate, 15.535 punti, 4.249 rimbalzi e 5.499 assist. 

Smesso di giocare, resta ai Celtics come scout e poi, dal 1993 al 1997, come assistente allenatore. Allenare gli piaceva, riusciva a dare ai giocatori quel giusto mix di carica agonistica, determinazione e cattiveria che serve per essere ottimi difensori difensori. 

Dopo un periodo di stop dovuto anche a gravi problemi familiari (nel 1997, in Florida, passa una notte in prigione allʼOrange County Corrections Center per aver puntato un coltello alla gola alla moglie Donna e aver minacciato il figlio 17enne), farà lʼassistente anche ai Los Angeles Clippers, dal 2000 al 2003. Intrapresa tardi la carriera di head coach, ripartirà con il solito immenso entusiasmo dalla NBA Development League, prima ai Florida Flame e poi agli Austin Toros. 

E sarà proprio dopo un allenamento dei suoi Toros, squadra della D-League affiliata ai San Antonio Spurs della NBA, che il suo cuore cesserà improvvisamente di combattere. Dennis Johnson muore di attacco cardiaco il 22 febbraio 2007. Un fulmine a ciel sereno che colpisce l’intero basket mondiale. Un grande giocatore, DJ rimarrà per sempre nei cuori dei tifosi dei Celtics e degli appassionati di basket, perché di giocatori con quel cuore, quel carisma e quell’amore per il gioco, se ne vedono sempre meno. Rest in peace, Dennis. 


Dennis Wayne Johnson 

Ruolo: guardia 
Nato: 18 settembre 1954, San Pedro, California (USA); deceduto il 22 febbraio 2007, Austin, Texas (USA) 
High school: Dominguez (Compton, California) 
Statura e peso: 1,92 m x 82 kg 
College: Pepperdine (1975-1976) 
Draft NBA: 2º giro, 29ª scelta assoluta 1976 (Seattle SuperSonics) 
Pro: 1976-1990 
NBA: Seattle SuperSonics (1976-1980), Phoenix Suns (1980-1983), Boston Celtics (1983-1990) 
Palmarès: 3 titoli NBA (1979, 1984, 1986) 
Riconoscimenti: Finals MVP (1979), 5 NBA All-Star (1979–1982, 1985), All-NBA First Team (1981), All-NBA Second Team (1980), 6 NBA All-Defensive First Team (1979-1983, 1987), 3 NBA All-Defensive Second Team (1984–1986), numero 3 ritirato dai Boston Celtics 
Cifre NBA: 
punti: 15.535 (14,9 PPG) 
assist: 5.499 (5 APG) 
recuperi: 1.477 (1,3 SPG) 
Numeri: 24, 3 
Da coach: La Crosse Bobcats (CBA, 1999-2000), Los Angeles Clippers (NBA, 2003), Florida Flame (NBA D-League, 2004-05), Austin Toros (NBA D-League, 2005-2007) 

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