BILL LAIMBEER - The Grandmaster of Flop
di DANIELE VECCHI
Old Timers - Quando la NBA era lʼAmerica
Un piccolo fan, innocente, un bambino tifoso da sempre del gigante bianco numero 40, che lotta ogni notte contro i colossi di Chicago, di Boston, di Los Angeles e di tutte le altre città che disprezzano Detroit, la città delle macchine, tanto brutta, inospitale e bistrattata dagli americani di ogni Stato. Il bambino è lì, allʼuscita dellʼallenamento, che aspetta il gigante bianco. Vuole un autografo, il custode gli ha promesso che il numero 40, non appena uscirà, gli farà una firma sul taccuino, e il piccolo non sta più nella pelle dallʼemozione. Finalmente il ragazzino lo vede uscire, gli batte forte il cuore e gli si fa incontro, lasciando indietro il padre, che lo lascia andare verso il suo idolo. Il gigante bianco vede il microbo con in mano il taccuino, lo squadra neanche un secondo e gli dice, sprezzante: «Fuck you». E se ne va, lasciando di sasso bambino e padre. Questo e molto altro era il Bill Laimbeer giocatore. Un duro, in tutti i sensi, magari anche quando non ce nʼera bisogno. Come nel caso del bambino.
Il giorno in cui Bill Laimbeer, a 36 anni e martoriato da infortuni alle ginocchia e alla schiena, annunciava il suo ritiro dalla NBA dopo undici partite nella stagione 1993-94, Horace Grant, suo più che acerrimo rivale nella storica rivalità tra Pistons e Bulls, dichiarò: «Bill Lambeer si è ritirato? OK, allora stasera a casa mia darò una grande festa, siete tutti invitati». Questo, tanto per avere unʼidea di quanto il «40» dei Pistons (numero ora appeso al soffitto del Palace of Auburn Hills) fosse ben visto, amato e apprezzato dai colleghi.
Chiunque abbia avuto a che fare con lʼex giocatore della Pinti Inox Brescia (stagione 1979-80, appena uscito da Notre Dame), dichiara i propri astio, antipatia e disrespect per “The Grandmaster of Flop”, inteso come lʼatto di simulazione più falso e bieco che possa esistere, del quale Laimbeer sembra possedere il copyright fin dai primi anni Ottanta.
William Laimbeer Jr., detto Bill, è ricordato quindi ancora oggi nella NBA come il più arcigno, violento, scorretto, cattivo, simulatore e piagnucolone di tutti coloro che hanno vestito una casacca della National Basketball Association, qualsiasi insider mondiale degno di tale nome indicherà nel giocatore nato a Boston il re incontrastato della magica trasformazione del basket in bagarre con soluzioni extra- cestistiche.
Nato il 19 maggio 1957 a Boston, nel Massachusetts, ma cresciuto nei sobborghi di Chicago (a Clarendon Hills), Illinois, “Nasty Bill” frequenta la scuola superiore in California, alla Palos Verdes High School, dove si guadagna una borsa di studio per la prestigiosa (non solo sportivamente) Notre Dame. Con la casacca dei Fighting Irish non desta però grandissima impressione. Ha buone mani al tiro, è un discreto rimbalzista difensivo, ma troppo spesso viene tacciato come pigro, lento e indolente. Pur non riuscendo mai a ritagliarsi mai spazi importanti, nelle ultime due stagioni in verde Irish mette assieme discreti numeri (7.3 punti e 6 rimbalzi a partita), che gli valgono la 65ª chiamata al Draft NBA del 1979, scelto al terzo giro dai Cleveland Cavaliers con una pick molto alta che in fondo sembra non convincerli più di tanto.
Nellʼestate 1979 infatti la franchigia dellʼOhio è presa dallʼamletico dubbio se offrire o no un contratto a Laimbeer, che intanto si è già accordato con Brescia, allora firmata Pinti Inox. In Italia, nella stagione 1979-80, in una squadra a dir poco esaltante, allenata da coach Riccardo Sales con Marco Solfrini (il grande schiacciatore italiano degli anni Ottanta), Ario Costa, Giordano Marusic e Marc Iavaroni (yessss, QUEL Marc Iavaroni...), eliminata ai quarti di finale-scudetto dalla Emerson Varese, il centrone ex Notre Dame si distingue come grande giocatore (21.1 punti e 12.5 rimbalzi di media), un centrone già dominante in Italia e con le potenzialità per diventarlo anche nella NBA.
E così nella stagione successiva i Cavaliers non si fanno pregare per offrire un contratto a Laimbeer, che si conferma solidissimo rimbalzista e realizzatore continuo, ma non riesce a esprimersi al massimo. Forse non del tutto convinto delle qualità di Laimbeer, il coaching staff dei Cavs Laimbeer, dopo vari rumours, nel febbraio del 1982, lo cede ai Detroit Pistons con Kenny Carr e in cambio di Paul Mokeski e Phil Hubbard. Scelta che si rivelerà fondamentale per le stagioni successive dei bianco-rosso-blu del Michigan, e che segnerà la svolta nella carriera di Bill.
Bill a Detroit ritrova Kelly Tripucka, già suo compagno di squadra a Notre Dame, e si mette al servizio di un leader poco più che ventenne, un chicagoano dei bassifondi proveniente da Indiana University, un playmaker folletto, un certo Isaiah Thomas. Lì comincia la storia dei grandi Bad Boys. Una squadra in missione, anno dopo anno, per scalzare dalla vetta della Central Division nella Eastern Conference i Milwaukee Bucks di Sidney Moncrief, Junior Bridgeman e Bob Lanier.
A Motown, Laimbeer costruisce definitivamente il proprio personaggio, dà libero sfogo alla sua vera indole, trova il vero se stesso. Ed è soprattutto grazie a lui se i Bad Boys sono stati e sempre saranno tali. Il Bad Boy per eccellenza è lui, Dennis Rodman, Rick Mahorn, John “Spider” Salley, Vinnie Johnson e gli altri seguono lʼepitome della durezza e della cattiveria, il gigante bianco numero 40. Le sue cifre comunque sono strepitose. Dal 1982 al 1990 nessuno nella lega prende più rimbalzi di lui. Nellʼ85-86 (a 13.1 di media) è il miglior rimbalzista della NBA, rubando lo scettro di re dei tabelloni a Moses Malone, che dominava da cinque anni. Anche in fase offensiva è eccellente, si mantiene sopra i 10 punti a partita e assicura una continua, asfissiante, polemica, provocatoria e intimidatoria presenza in entrambe le aree del campo.
Quasi tutti i grandi “duri” della lega di quel tempo hanno avuto almeno uno scambio di schiaffi, gomitate, spintoni o veri e propri “cartoni” con Laimbeer. Bob Lanier che in maglia Bucks cammina tranquillamente verso centrocampo accerchiato da giocatori dei Pistons, mentre Laimbeer giaceva disteso sotto il tabellone, faccia a terra dopo aver ricevuto un pugno in faccia da Lanier, rimane una delle immagini più emblematiche di ciò che era lʼex giocatore di Notre Dame: botte date e prese, sangue sul parquet e continue provocazioni, in campo e fuori.
Dopo infinite battaglie contro i Milwaukee Bucks e soprattutto i Boston Celtics, verso la fine degli anni Ottanta i Pistons sono uno squadrone. Nella stagione 1987-88 raggiungono la Finale NBA, vinta in sette partite dai Los Angeles Lakers di coach Pat Riley. Per tutta la stagione successiva Detroit cova sentimenti di vendetta, che arriva nel 1988-89, dopo unʼintera stagione vissuta dai Pistons con un unico obbiettivo, battere i Lakers in Finale.
E così fu, un bulldozer targato Motown asfalta i gialloviola californiani. Un cappotto che la dice lunga sullo stato mentale e motivazionale dei Pistons. Unʼautentica macchina da guerra, in tutti i sensi, i Bad Boys, con Laimbeer a capo della gang e Joe Dumars MVP delle Finali. I Pistons erano campioni NBA, ma non era abbastanza. I Bad Boys dovevano dimostrare di non essere solo una intemperante meteora nellʼuniverso delle stelle NBA, e così fecero la stagione successiva.
Tornati in Finale NBA, stavolta contro i Portland Trail Blazers, i Pistons dopo aver vinto Gara1 vengono sconfitti in Gara2, e Clyde Drexler incautamente pronuncia le fatidiche parole: «Non torneremo a Detroit», intendendo che i Blazers avrebbero chiuso la serie in Oregon con tre vittorie consecutive. I Bad Boys vinsero tutte e tre le gare a Portland, e confezionarono il Repeat. Laimbeer ne fu assoluto protagonista con tanto lavoro sporco, gomitate in faccia, proteste, plateali uscite per falli, insieme alla dominante presenza sotto i tabelloni, allʼincommensurabile apporto offensivo (in Gara2 segnò sei triple, record nelle Finali NBA eguagliato) e a una leadership latente ma di grandissimo peso.
Tre anni dopo, nel 1993, Laimbeer si ritirò, facendo tirare un sospiro di sollievo ai suoi (tanti) nemici in campo. Dal 2002 al 2009 lo si è visto in giacca e cravatta come coach delle Detroit Shock della WNBA, prima di essere sostituito da Rick Mahorn, suo ex compagno ai Pistons ai tempi dei Bad Boys. Ma il ricordo del numero 40 che sventola i gomiti in faccia agli avversari è ancora vivido nella memoria.
William “Bill” Laimbeer, Jr.
Ruolo: centro
Nato: 19 maggio 1957, Boston, Massachusetts (USA)
High school: Palos Verdes (Palos Verdes, California)
Statura e peso: 2,09 m x 112 kg
College: Notre Dame (1975-1979)
Draft NBA: 3º giro, 65ª scelta assoluta 1979 (Cleveland Cavaliers)
Pro: 1979-1993
Carriera: Pintinox-Brescia (Italia, 1979-80), Cleveland Cavaliers (1980-1982), Detroit Pistons (1982-1993)
Palmarès da giocatore: 2 titoli NBA (1989, 1990)
Riconoscimentida giocatore: 4 NBA All-Star (1983, 1984, 1985, 1987), numero 40 ritirato dai Detroit Pistons
Palmarès da allenatore: 3 titoli WNBA (2003, 2006, 2008)
Riconoscimenti da allenatore: WNBA Coach of the Year (2003)
Cifre NBA:
punti: 13.790 (12,9 PPG)
rimbalzi: 10.400 (9,7 RPG)
stoppate: 965 (0,9 BPG)
Numeri: 41, 40
Da coach: Detroit Shock (WNBA, 2002-2008)
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