Zeffirelli lo voleva attore ma lui litigò con la Lollo


Era un gladiatore con il cuore tenero. Nel 2006 durante i rigori della finale andò in bagno a fumare per la tensione

di Emanuela Audisio
23 Jan 2024 - La Repubblica © - Nazionale
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Non te l’aspettavi da uno con la faccia così. Dura e sincera. Ma Riva aveva un cuore tenero, sempre pronto a emozionarsi, a preoccuparsi, e a scassarsi per qualcosa. Il viso invece era da gladiatore, da uno capace di attraversare tutto. Lo chiamavano Hud dal film Hud il Selvaggio con Paul Newman. Perché era forza e coraggio. Ma soffriva anche lui, perché era sensibile, capace di sentire, quasi senza pelle.

Nella notte mondiale di Berlino 2006, il momento dei rigori contro la Francia sembrò un tempo eterno, la corsa alla toilette era per non averne bisogno poi al momento del risultato finale. Riva era lì. Sigaretta in mano. Team manager azzurro. «Gigi, cosa fa qui, stanno tirando i rigori». E lui: «Lasciami fumare, sono teso, nervoso, ho paura di guardare, preferisco stare qui da solo, mi sento di stare da una parte, poi vado, sicuro che vado, fammi stare un po’ tranquillo, che ho il cuore a mille». Era ironico: «Siamo partiti dall’italia che non c’era nessuno ad applaudirci e a sostenerci, ora ce la giochiamo e tutti ad applaudirci». Per forza, è l’anno di Calciopoli. «Siamo forti, ma ci vuole fortuna ai rigori: Italia ’90, Usa ’94, Francia ’98. Mura è su con la cicca che fuma?». Gli era piaciuta quella notte a Berlino, diceva che si era ubriacato di felicità. «Così tanto che mi sono anche dimenticato di ritirare la medaglia di campione del mondo. L’ho avuta solo dopo, a fine serata».

Si era rotto per la prima volta una gamba (la sinistra) a Roma, il 27 marzo del ’67, stanza 126 del Policlinico Italia. E una seconda volta nel ’70 l’aveva azzoppato (frattura del perone e distacco dei legamenti della caviglia) l’austriaco Hof. Dalle finestre dell’ospedale romano aveva visto passare il ’68 degli studenti, gli scontri con la polizia, quel movimento ribelle gli piaceva. «Durante la degenza ho visto i cortei, le lotte, le feste. Ero incuriosito, avevo 23 anni e mezzo e quella che stava sconvolgendo l'Italia era la mia generazione».

E già perché nel ’68 nasce anche l’associazione Italiana Calciatori (AIC) che dà più diritti ai calciatori e più libertà a chi come lui non ne vuole sapere di lasciare la Sardegna e rifiuta il trasferimento alla Juventus, al Milan, all’Inter, pronte ad offrire al Cagliari cifre straordinarie.

Il rigore di Baggino era volato sulla luna, il Brasile aveva festeggiato alzando la coppa del Mondiale ’94, i cronisti si erano precipitati giù dalle immense scalinate del Rose Bowl perché si era fatto tardi, e qualche dichiarazione degli azzurri sconfitti era necessaria per mandare i pezzi ai giornali. Presto, presto. Ma davanti alla porta chiusa dello spogliatoio Gigi Riva aveva piazzato una sedia e vi si era sistemato a cavalcioni, gli occhiali scuri e lo sguardo serio, una sigaretta via l’altra per tenersi compagnia, e per noi che negli anni del grande Cagliari eravamo ragazzi Gigi in quel momento sembrò davvero Tex Willer, l’altro eroe della nostra infanzia. Lui ci accolse togliendosi gli occhiali e guardandoci non come adulti, ma come i ragazzi del tempo che era stato. La ebbe vinta facile. Conosceva le nostre esigenze, per le quali ha sempre avuto il massimo rispetto, ma la sua missione in quel momento era la protezione degli azzurri battuti, e per dieci minuti ci chiese — senza praticamente aprire bocca — di pazientare.

Gigi era stato in collegio dai preti e non gli era piaciuto per niente, visto il numero delle fughe. Franco Zeffirelli, che lo adorava, lo voleva attore in un suo film e per questo disse a Gina Lollobrigida di accompagnarlo con la sua Rolls-Royce allo stadio a Firenze dove Riva giocava e dove i due non arrivarono mai perché ebbero una lite in auto che causò un incidente. Se glielo ricordavi Gigi ridacchiava. Era schivo, avrebbe potuto intrattenere tutte le platee del mondo

Nel ’71 si rompe il perone contro l’Austria perché di cose da raccontare ne aveva, ma preferiva stare da un lato. Non faceva mai ombra a nessuno, ma la spalla su cui piangere a Pasadena quando il Brasile tolse il mondo all’Italia era la sua. Lui c’era, quando serviva, nei momenti più difficili, non dovevi nemmeno cercarlo, infatti Baggio si aggrappò a lui. Era lo scoglio in mezzo al mare, anche le nuove generazioni, quelli che non avevano patito la fame come lui, gli riconoscevano una forza superiore.

Nell’88 agli Europei di calcio in Germania, vide una giornalista che nell’albergo degli azzurri aspettava dalla mattina davanti all’ascensore. «Da quanto tempo stai qua?». «Due ore, ho appuntamento con Vialli che mi ha detto che sarebbe sceso». «Resta qui, vado a prenderlo, dovevi dirmelo prima». E Vialli, al suo primo Europeo, scese. Riva no, per non mettere in imbarazzo nessuno e perché non voleva sentirsi dirsi grazie.

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