Roche e Giro, rosa per due


Ecco la sintesi della popolare avventura di strada. È stata dura e bellissima. L’ha vinta un grande e discusso campione (discusso il suo comportamento nei confronti di Visentini). Il crepuscolo dei vecchi campioni e la nascita dei nuovi: Giupponi li segnala piazzandosi primo tra gli italiani. Le spettacolari vittorie di Argentin. I giorni dei velocisti con Rosola tornato in gran forma. Lo spavento di Termoli e poi da Sappada in avanti il giallo

di Tony Lo Schiavo
Speciale di BiciSport – Il giallo del Giro ’87

È stato un bel Giro. È difficile ricordare tra le edizioni più recenti un Giro che ha offerto tante intense emozioni sin dall’inizio. Subito Visentini, poi Breukink che ha dimostrato nel prosieguo della corsa tutto il suo valore, quindi Roche, Argentin, la Carrera, il Terminillo, le volate del sud, la caduta di Termoli, la crono di San Marino, il “colpo di mano” di Sappada, le imprese di van der Velde travolte dai litigi di Roche e Visentini, la fuga antica di Giovannetti, i grandi sempre a fronteggiarsi sulle montagne, finalmente Pila con i suoi verdetti conclusivi. E vi pare poco?

Innanzi tutto quest’anno è stato il Giro d’Italia a vincere. Torriani ha riproposto un percorso degno della migliore tradizione e l’intensità della corsa e le emozioni che ha riservato sono la milgiore dimostrazione di quanto la corsa rosa avesse bisogno di riscoprire le montagne rivalutando dei contenuti tecnici che nelle ultime edizioni si erano via via svalutati.

Il Giro d’Italia è la più importante manifestazione ciclistica italiana e la sua immagine si riflette su tutto il movimento. Dopo una serie di edizioni povere, finalmente il Giro ha riscoperto se stesso, rivalutandosi. E quando la corsa è intensa, vera, ricca, spettacolare, l’ordine d’arrivo è apprezzato indipendentemente dalla lingua che parla il vincitore. Gli italiani hanno sempre saputo apprezzare e applaudire il campione. Ma il campione emerge solo alla fine di una corsa dura, combattuta ed è per questo che la credibilità della corsa è direttamente proporzionale all’impegno che richiede ai suoi protagonisti.

Ha vinto Roche. L’irlandese ha coronato il suo sogno in una grande corsa a tappe in virtù di un’azione discutibile. L’attacco a Sappada, mosso a tradimento a Visentini, detentore della maglia rosa e compagno di squadra, non ha precedenti in uno sport che nella fatica non può tradire certi valori fondamentali, quali, ad esempio, la lealtà. Nel tempo forse si stemperano certi clamori, ma rimane l’azione che proprio per la sua accesa determinazione non può essere stata né casuale, né occasionale. Roche aveva preparato e curato nei dettagli l’attacco al suo compagno. E su quell’azione lui ha costruito la sua vittoria.

Senza quell’azione e senza la perfida voglia di Roche di scalzare Visentini che si era guadagnato la maglia rosa con una cronometro individuale splendida, probabilmente Roberto non avrebbe avuto altri rivali.

Breukink si è dimostrato un giovane interessantissimo, ma certamente acerbo per un successo di una grande corsa a tappe. Si è difeso come ha potuto sino alla fine, trovando però nella squadra u aiuto molto scarso. E qui torniamo agli intrighi di questo Giro. La Panasonic è uscita allo scoperto solo nell’ultima tappa con Winnen e de Rooy, mentre Millar, terzo in classifica, si è sempre limitato a pedalare al fianco di Roche. Se Post credeva in Breukink aveva il dovere di aiutarlo di più, di favorire con tutta la squadra un deciso attacco alla maglia rosa. Se Post invece non credeva nel suo giovane protagonista, doveva muovere Millar sulle grandi montagne. Insomma, la sensazione è che la Panasonic abbia accettato di buon grado la vittoria di Roche.

Lejarreta si è confermato corridore con scarse qualità offensive. In un Giro che sembrava tagliato per lui, si è limitato anch’egli a resistere, senza mai uscire allo scoperto in prima persona.

Il primo degli italiani è stato Giupponi. Un giovane bergamasco cresciuto alla corte di Saronni. È stato un gran bel Giro il suo perché costruito giorno per giorno, senza cedimenti. Si è staccato sulla Marmolada, a Madesimo e a Pila, ma ha sempre ceduto pochissimo alla maglia rosa, dimostrando, anche negli inseguimenti, un carattere non comune. 

La classifica finale parla straniero. Mai, fatta eccezione per un’edizione degli anni Settanta, gli italiani avevano raccolto così poco nella generale. Ma non per questo vanno processati. A loro favore ci sono almeno due validi motivi. 

Il primo è il ricambio generazionale. In questo Giro tutta la vecchia guardia ha mostrato i limiti provocati dall’età e da una carriera già intensa. Il forfait di Moser, l’affanno di Saronni, i limiti di Corti e di Argentin, hanno lasciato tutta la responsabilità della classifica sui giovani ed era ingiusto pretendere subito da loro risultati che, se fossero arrivati, sarebbero stati clamorosi.

Il secondo è tecnico. Da troppi anni il Giro d’Italia era tecnicamente caduto. Le montagne inesistenti. Le tappe battagliate di pianura, per uno sprint troppe volte scontato. Finalmente Torriani, e di questo gli va dato atto, ha realizzato quest’anno un Giro che nulla ha da invidiare alla sua tradizione. Un Giro severo, impegnativo, vero. Ma come si può pensare che gli italiani, abituati a correre Giri interi con il 21, siano improvvisamente in grado di rivelarsi campioni in una corsa dove il 23 è stato lasciato sulle biciclette per settimane intere? Ci si è lamentati che gli scalatori non esistono più. Ma quanto scalatori sono stati costretti a rinnegare negli anni passati le loro migliori caratteristiche per sviluppare quelle che venivano maggiormente favorite e premiate su traguardi pianeggianti? Alla luce di queste considerazioni, il bilancio del Giro d’Italia 1987 non può che essere positivo. In assoluto la corsa rosa ha ritrovato se stessa sulle grandi montagne e un vincitore, Roche, che ha saputo nell’ultima tappa dare vigore al suo successo dimostrandosi di gran lunga, grazie anche alla caduta di Visentini, il corridore più forte. Per quanto riguarda gli italiani invece, il Giro ha segnato in maniera definitiva l’inizio di un nuovo ciclo che dovrà fornirci nomi nuovi per i Giri del futuro. E Giupponi, quinto, Giovannetti e Conti, maglia bianca, sono già delle realtà sulle quali puntare gli occhi.

Tony Lo Schiavo

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