Il pugilato al massimo - Quegli anni Settanta con le leggende del ring
23 Mar 2025 - La Gazzetta dello Sport -
di Riccardo Crivelli
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L'ultimo gong sta inesorabilmente suonando per tutti e la nera signora con la falce, l’unico avversario che non si possa sconfiggere, se li sta prendendo a uno a uno: ma è bello immaginare che da qualche parte ci siano un ring e sedici corde dove i loro pugni continuano a scrivere un romanzo da leggenda. Nel 2011 era caduto Joe Frazier, nel 2013 scomparve Ken Norton, nel 2016 ci aveva lasciato il Più Grande, Muhammad Ali, accompagnato cinque anni più tardi da Leon Spinks, il meno atteso di sempre tra gli avversari capaci di batterlo. E adesso Foreman, ultimo epigono di un decennio, gli anni 70, che ha conosciuto la più grande generazione di pesi massimi mai scesa sul pianeta Terra a dispensare talento, potenza, furia agonistica: la nobile arte che si erge a capolavoro prolungato con la sua feroce bellezza.
Un solo re
Certo, qualcuno potrebbe ricordare gli anni straordinari di Rocky Marciano, Ezzard Charles e Jersey Joe Walcott, ma non c’è dubbio che per qualità complessiva, quello dei Seventies rimanga il periodo della fioritura più abbacinante. Intanto, in un’epoca in cui gli interessi economici intorno al pugilato erano definitivamente esplosi anche sotto la spinta delle tv, con il conseguente consolidamento della divisione dei titoli tra sigle diverse (WBC e WBA, cui si aggiungevano i match sanzionati dalla rivista The Ring), dal 16 febbraio 1970, conquista di tutte le corone da parte di Frazier, al 18 marzo 1978, giorno in cui Spinks venne privato della cintura WBC, i massimi ebbero sempre un unico campione indiscusso: appunto Smokin’ Joe, poi Foreman, in seguito Ali e infine il Leone Sdentato. Arrivare al Mondiale, insomma era impresa per pochi eletti e, soprattutto, per uomini veri (anche perché si disputavano ancora le 15 riprese), passando oltre avversari che oggi, senza tema di smentita, sarebbero campioni del mondo in carrozza. Perché se è vero che per 8 anni il titolo della categoria è stato solamente una questione tra un quartetto, i pretendenti che si sono succeduti meritano un posto davvero speciale nella favolosa avventura plurisecolare della boxe. Basti pensare a Norton, il Mandingo del cinema, che nel primo match della loro trilogia batté Ali spaccandogli una mandibola e poi finendo per essere a suo modo incoronato dal GOAT («Ken è stato il rivale più forte che abbia mai incontrato»); lui peraltro al titolo iridato approdò nel 1978, prendendosi proprio quella corona WBC che era stata sottratta a Spinks per i soliti giochetti politici. Ma l’esposizione potrebbe continuare, omaggiando nomi che in altri periodi probabilmente si sarebbero mossi con il piglio dei dominatori, a cominciare da Ernie Shavers (pure lui scomparso, nel 2022), uno dei più terribili picchiatori di sempre, e proseguendo con Ron Lyle, Joe Bugner, Jimmy Young, José Luis Garcia, Gregorio Manuel Peralta, Jerry Quarry, Oscar Bonavena, Jimmy Ellis, Buster Mathis e George Chuvalo, fino a Larry Holmes, che idealmente chiuderà quell’epoca d’oro. Perciò, se le tre sfide tra Ali e Frazier o la Rumble in The Jungle tra Ali e Foreman rappresentano alcuni dei momenti più iconici dello sport di ogni tempo, lo devono anche alla magia di una fase storica che ha regalato alla boxe e ai pesi massimi la luce dell’immortalità.
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Muhammad Ali, nato nel 1942 e morto nel 2016, tre volte campione del mondo: conquistò il titolo per la terza volta nel 1974
Joe Frazier, nato nel 1944 e morto nel 2011: gli anni 70 si aprirono con la sua riunificazione dei titoli. Lui e Ali si sfidarono tre volte
Ken Norton, nato nel 1943 e morto nel 2013, campione del mondo WBC nel 1978; nel 1975 fu l’attore protagonista del film di successo «Mandingo»
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IDENTIKIT
Nasce a Marshall, in Texas, il 10 gennaio 1949, ma viene avviato alla boxe in Oregon in un programma di riabilitazione per ragazzi problematici. Nel 1968 a Città del Messico vince l’oro olimpico nei massimi. Passa pro’ nel 1969 e nel 1973, al 38° match e da imbattuto, conquista il Mondiale detronizzando Frazier, perdendolo con Ali l’anno dopo. Si ritira una prima volta nel 1977 dopo una sconfitta con Young, diventa ministro di culto e poi rientra nel 1987: nel 1994, a 45 anni e 9 mesi, diventa il più vecchio iridato dei massimi, ritirandosi definitivamente nel 1997 con un record di 76 vittorie e 5 sconfitte. Poi diventa imprenditore nel settore delle griglie per la carne. Sposato 5 volte, lascia 12 figli, di cui due (un maschio e una femmina) ex pugili.
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76 VITTORIE - George Foreman ha chiuso la carriera, divisa in due parti, con un record di 76 vittorie e 5 sconfitte: impressionante il numero di KO inflitti agli avversari, ben 68, cioè l’89,4% dei suoi successi
650 MILIONI GUADAGNATI - Secondo una ricerca del portale Sportico, specializzato nei conti economici dello sport, Foreman è il 26esimo atleta della storia per guadagni complessivi tra premi ricevuti e attività collaterali
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Guido Trane, avversario di Foreman
«Un gentiluomo. Non ebbi paura. E che rimpianto quella ferita...»
- Guido, lei è stato l’unico avversario italiano di Foreman da pro’. Tre sfide epiche
«Un grande onore. Era il 5 febbraio del 1988, Las Vegas: George era rientrato da un anno e cercava un avversario di buon livello. Io ero campione italiano, allora era un titolo che contava: quando me lo dissero, preparai la valigia in un minuto».
- Ricordi di quelle 2 giornate?
«Splendidi. Mi trovai di fronte un gigante che però era un gentiluomo: mai una parola fuori posto, in conferenza stampa mi fece i complimenti e durante il match fu correttissimo. Sul ring, aveva ancora una forza sovrumana, portava continuamente il sinistro e poi ti ammazzava con il destro. Al 5° round mi colpì di striscio e mi si aprì il sopracciglio: l’arbitro interruppe il match. Era avanti ai punti, ma io avevo 9 anni di meno e forse alla fine sarei stato più fresco. Mi resta il rimpianto di non sapere cosa sarebbe accaduto se fossi arrivato in fondo».
- Quel giorno, immaginò che Foreman potesse tornare campione del mondo?
«Sì, perché la potenza era sempre la stessa e Moorer era un buon pugile ma non un campione. Io però sono orgoglioso: non ho avuto paura davanti alla leggenda».
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