Come eravamo: Detroit Pistons 2003/04



Una squadra sottovalutata da tutti che ha dimostrato al mondo come la forza di volontà e il desiderio di riscatto possano condurre all’olimpo del basket

Lorenzo Lecce | 25/12/2020 | Storie

Se all’alba della stagione 2003/04 aveste puntato cento dollari sulla vittoria finale dei Detroit Pistons, ne avreste incassati ben 1500. Questa era la considerazione che i bookmakers avevano della squadra che poi ha sorpreso tutti nel mondo del basket NBA.

Gli ultimi cinque anni erano stati ad appannaggio esclusivo di due franchigie: i Los Angeles Lakers di Kobe e Shaq (three-peat 2000-2001-2002) e i San Antonio Spurs di David Robinson e Tim Duncan prima (1999) e del giovane trio Duncan-Parker-Ginobili poi (2003). Durante la offseason entrambe si rafforzano firmando grandi giocatori come Karl Malone e Gary Payton per i Lakers, Robert Horry e Hedo Turkoglu per gli Spurs.

Queste due squadre sono nettamente un gradino sopra le altre, ai blocchi di partenza della stagione 2003/04; inoltre ci sono altre contender in cerca della consacrazione definitiva, come i Sacramento Kings e i Minnesota Timberwolves di un inarrestabile Kevin Garnett.

A Detroit, nonostante una buona stagione 2002/03, con un record di 50-32, coach Rick Carlisle viene esonerato per un contrasto insanabile con front office e società. Viene quindi nominato come nuovo capoallenatore Larry Brown.

Con queste premesse nessuno si sarebbe mai immaginato che emergesse così prepotentemente la squadra di una città che, dopo il periodo d’oro dei "Bad Boys", era stata da molti dimenticata.

Il roster

La genesi di questa squadra, a differenza di molte altre contender, non parte da lontano, ma è tutta da imputare a una decisione, in un unico momento: l’off-season del 2002.

In quell’estate il GM Joe Dumars decise di ricostruire il backcourt della squadra, firmando per cinque anni Chauncey Billups come point guard titolare, scambiando con i Wizards un giocatore solido come Jerry Stackhouse per Richard “Rip” Hamilton e draftando, con la 23esima scelta assoluta, Tayshaun Prince.

Se il backcourt viene costituito in blocco nel 2002, altrettanto non può dirsi per il frontcourt.

Ben Wallace è il centro titolare da quando è arrivato a Detroit nel 2000, mentre come riserve ci sono Zeljko Rebraca e Mehmet Okur. Manca tuttavia uno scorer tra i lunghi e così Dumars coglie al volo l’occasione e la trasforma in un  capolavoro.

Alla trade deadline del febbraio 2004 cede agli Hawks Rebraca, Bob Sura e una scelta futura per Rasheed Wallace. Ed ecco che finalmente, a soli due mesi dai playoff, anche l’ultima tessera trova la sua collocazione.

Come giocavano

Il gioco di Larry Brown esalta ogni giocatore del quintetto, creando di fatto l’impossibilità per gli avversari di eseguire dei raddoppi difensivi. Non c'è una superstar, ma ci sono cinque giocatori ugualmente pericolosi che vengono sfruttati in modo diverso, secondo l’accoppiamento difensivo. Si tende ad utilizzare tutti e 24 i secondi, tenendo un ritmo molto basso (pace 87.9) ed evitando di forzare tiri in situazioni di non chiaro vantaggio. La palla viene ribaltata anche più volte per trovare la soluzione migliore, passando spesso dal post con Rasheed.

Billups e Hamilton offrono grande pericolosità sia dal palleggio sia in uscita dai blocchi. Le parole-chiave in attacco sono altruismo e talento. 'Sheed risulta letale in qualunque posizione del campo, grazie alla sua duttilità: post basso da centro, visione di gioco e tiro da guardia. Hamilton punisce qualunque distrazione sui blocchi, Billups dalla lunga distanza non perdona, mentre Prince e Big Ben sono sempre ben posizionati per sfruttare uno scarico.

Il vero punto di forza di questa squadra è però la difesa, che, statistiche alla mano, risulta essere una delle migliori della storia NBA.

Dall’arrivo di Rasheed Wallace al termine della regular season, il net rating è stato di +14.7, un dato spaventoso; mentre il defensive rating è stato di appena 86.5 punti per 100 possessi nelle ultime 26 partite, dato che ha contribuito ad abbassare fino a 95.4 il defensive rating della stagione, uno dei dati migliori di sempre.

Regular season

La stagione regolare inizia benissimo. Con un record di 14-6, Detroit sembra candidarsi fin da subito a contender. Arrivano però quattro sconfitte in fila, e poi quelle con Indiana e New Jersey, altre pretendenti al titolo della Eastern Conference, che ridimensionano le ambizioni di Detroit, portando il record a un deludente 16-13. Ma servono anche da spinta per la successiva striscia di 13 vittorie.

Pur con un record positivo, il roster è piuttosto corto e oltre a Billups, Hamilton, Prince e Wallace non ci sono alternative di livello. Okur non si trova a suo agio nel ruolo di ala grande e fatica parecchio, mentre Darko Milicic, seconda scelta assoluta al Draft, gioca solo pochi infruttuosi minuti di garbage time. Il serbo doveva essere quell’arma in più per innalzare il livello della franchigia, portandola a competere per il titolo, tuttavia non riuscirà mai a dare un contributo, passando alla storia come uno dei più grandi bust della NBA.

La carenza di rotazioni profonde si fa sentire e i Pistons perdono 8 delle 12 partite prima dell’All-Star Game. Ed è qui che, vista la mancanza di un’ala grande affidabile, Dumars riesce a scambiare per Rasheed Wallace.

Da quel momento nessuno riuscirà più a contenere Detroit, che finirà la stagione vincendo 21 delle 28 partite rimanenti, con un plus/minus di +11.3. Record finale di 54-28 e secondo posto nella Eastern Conference; a causa del regolamento che premia le vincitrici della Division, Detroit risulta terza per i playoff.

Playoff

Al primo turno arrivano i Milwaukee Bucks di Michael Redd e Desmond Mason.

Gara 1 è un incubo per l’attacco dei Bucks, con Redd tenuto ad appena 11 punti, dieci in meno rispetto alla sua media stagionale. Detroit manda sei uomini in doppia cifra, con le doppie doppie di Prince e dei due Wallace. Partita chiusa in meno di tre quarti e +26 finale.

Gara 2 è tutta un’altra storia: coach Terry Porter prende le contromisure e grazie a un Michael Redd da 26 punti con 4/7 dalla lunga distanza e al prezioso contributo di Mason e di Toni Kukoc, entrambi autori di 15 punti, i Bucks espugnano il Palace of Auburn Hills 92-88 e volano tra le mura amiche.

Gara 3 è cruciale. Billups guida i suoi con 21 punti e ancora una volta tutto il quintetto base va in doppia cifra. Ben Wallace cattura ogni rimbalzo, chiudendo a quota 21. La partita viene decisa sotto le plance: al termine della gara la differenza sarà di 16 rimbalzi a favore dei Pistons. Finale 95-85 e vantaggio nella serie.

Gara 4 e Gara 5 non sono mai in discussione e Detroit chiude la serie in cinque partite. Nelle ultime tre il miglior realizzatore per coach Larry Brown è sempre diverso, ed è questo l’emblema del gioco di quei Pistons.

Al secondo turno ci sono i New Jersey Nets di Jason Kidd e Richard Jefferson, che a inizio stagione erano favoriti rispetto alla squadra della "Motor City". La rivalità è accesissima, New Jersey aveva sweeppato Detroit alle finali di Conference del 2003.

Gara 1, in cui emerge tutta la voglia di rivincita di Detroit, è uno dei più grandi capolavori difensivi della storia NBA. I Pistons costringono i Nets ad un orrendo 19/70 dal campo, per la miseria di 56 punti totali, il secondo minor punteggio nei Playoffs dall’introduzione della linea da tre (il record negativo è 54 per gli Utah Jazz ad opera dei Bulls nelle Finals del 1998).

In Gara 2 Detroit parte male e si ritrova sotto di 12 all’intervallo. Billups e Hamilton guidano la rimonta e conducono la squadra alla vittoria per 95-80, segnando 28 punti ciascuno. La serie sembra indirizzata, ma i Nets cambiano passo e in Gara 3 restituiscono il favore di Gara 1, tenendo i Pistons a soli 64 punti.

Gara 4 è un’altra comoda vittoria per Kidd e compagni. Serie in parità.

Gara 5 è una delle partite più eccezionali della storia: miracolo di Billups da metà campo per pareggiare sulla sirena, a seguire tre overtime.

Sotto 3-2, la squadra di Larry Brown non può commettere errori, e grazie ad altre due prove difensive maiuscole, vince Gara 6 81-75 e Gara 7 90-69, piegando definitivamente i Nets e volando in Finale di Conference.

Ad attendere i Pistons ci sono i favoriti Indiana Pacers del grande ex, coach Rick Carlisle.

Anche Indiana è una squadra dallo spiccato talento difensivo. Nessuna delle due squadre supererà mai gli 85 punti nella serie.

Gara 1 è caratterizzata da percentuali piuttosto basse, decisive per Indiana sono le 17 palle perse di Detroit e la pessima prestazione di Rasheed Wallace (4 punti, 1/7 dal campo). Risultato finale: 78-74 Pacers.

Gara 2 segue lo stesso leitmotiv, che rimarrà per tutta la serie. Il punteggio è bassissimo e a 20 secondi dalla fine, sul 69-67 per Detroit, Reggie Miller si invola in contropiede per appoggiarne due facili e pareggiare la serie. Se non che… Dal nulla, Tayshaun Prince si prende la partita. 72-67 e 1-1 nella serie.

In un caldissimo Palace of Auburn Hills, Detroit si porta in vantaggio nella serie grazie ad una Gara 3 terminata 85-78, che sarà anche quella con il maggior numero di punti complessivi segnati.

Gara 4 è senza storia: 83-68 e Indiana pareggia la serie sul 2-2. L’ultimo passaggio a vuoto di Detroit, che in Gara 5 restituisce il favore con gli interessi, vincendo 83-65.

Gara 6 è la seconda partita dell’èra moderna per minor punteggio complessivo, con 134 punti segnati, a pari merito con Gara 1 della serie contro i Nets (il record appartiene sempre a Detroit nella partita di Eastern Conference Finals contro Boston del 2002, finita 66-64).

Il punteggio finale, comunque, è 69-65. I Pistons volano alle Finals per la prima volta dall’èra dei Bad Boys.

In finale c’è la corazzata Lakers. Kobe Bryant, Shaquille O’Neal, Gary Payton, Karl Malone, Derek Fisher, Rick Fox e Horace Grant: sulla carta, individualmente, non c’è storia. “Lakers in 4”, si legge sui giornali e si sente in TV.

Ancora una volta i Pistons vengono sottovalutati. Ma la storia, si sa, non è mai già scritta in partenza.

Servono 48 "lunghissimi" minuti in Gara 1 ai Lakers, al pubblico presente allo Staples Center e a tutti coloro che seguono la partita da casa per rendersi conto che Los Angeles, dopo aver eliminato gli Spurs campioni in carica e i Minnesota Timberwolves dell’MVP Kevin Garnett, forse non è la favorita nella serie. I Pistons concedono solo 75 punti al terzo attacco della lega e vincono segnandone 87, trascinati da un Billups da 22 punti.

Anche Gara 2 sarebbe dei Pistons, che si ritrovano sopra di 3 punti a 10 secondi dalla fine, se non fosse per Kobe Bryant che pareggia con 2.1 secondi sul cronometro, segnando una tripla da otto metri pur ben contrastata da Hamilton. Overtime e vittoria Lakers. Ma è l’ultimo atto di resistenza nella serie.

Gara 3 è un massacro. Detroit vince 88-68, costringendo il duo Kobe-Shaq a 25 punti totali, mentre Hamilton ne segna 31.

In Gara 4 è Rasheed Wallace a prendersi i compagni sulle spalle, con una lectio magistralis di gioco in post: semiganci, svitamenti sul perno, turnaround jumper e piazzati dalla media. Un incubo per Karl Malone e Medvedenko, che non trovano una risposta a Sheed: 26 punti, 13 rimbalzi e 2 stoppate. Detroit vince 88-80.

I Lakers, sotto nella serie, sono sfiduciati. Ben Wallace si prende la scena finale, annichilendo Shaq con un prova di forza da 18 punti e 22 rimbalzi.

Gara 5 è la meritata passerella per una squadra sottovalutata da tutti. Davanti al pubblico di casa, chiudere la serie è una mera formalità. 100-87 il finale, iniziano i festeggiamenti, attesi da qualche giorno in tutta la città.

Chauncey Billups, che fino a qualche anno primo era considerato uno dei peggiori bust della lega, Ben Wallace, un centro sottodimensionato, Rasheed Wallace, spesso snobbato per il suo temperamento, Tayshaun Prince, poco considerato da Carlisle, e Rip Hamilton, uno dei giocatori più sottovalutati. Avevano tutti qualcosa da dimostrare, e lo hanno fatto sconfiggendo ogni pronostico.

Billups dopo Gara 5 dice: “Avranno anche avuto giocatori individualmente migliori, ma noi ci sentivamo la squadra migliore”. E niente di più vero è mai stato detto.

Non solo una grande squadra, ma forse la migliore difesa nella storia NBA.

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