SEVENTIES - Troppo elementare, Watson


di Christian Giordano, Indiscreto.it

Attaccanti si nasce, difensori si diventa. La prova vivente dell’assunto si chiama David Vernon Watson. Nato il 5 ottobre 1946 a Stapleford, Nottinghamshire, “Big Dave” comincia in Football League da centravanti del Notts County, la squadra della sua città. Due anni dopo, nel 1968, lasciato il club del Meadow Lane per il Rotherham United, è il manager dei Millers, Tommy Docherty, ad arretrarlo centrale difensivo per sfruttarne il colpo di testa. Uno dei migliori di quella generazione. E al Sunderland, Bob Stokoe si adegua. 

Coi Black Cats ancora in Second Division, Watson alza a Wembley la FA Cup 1973 dopo aver battuto 1-0 (gol di Ian Porterfield al 31’) un Leeds United zeppo di nazionali. Ma è il cuore - più che il senso della posizione, l’arte di staccare fuori equilibrio e l’attitudine a far ripartire l’azione - a farne un idolo del "Roker Park". Per i media, invece, sarà sempre un giocatore "negativo". Per gli avversari, un artista del lavoro sporco. La verità “vera” è che era un combattente, dalla voglia di vincere smisurata.

Il debutto internazionale arriva a 27 anni e 180 giorni, il 3 aprile 1974 (0-0 a Lisbona in amichevole col Portogallo), quando è già uno dei più forti centrali fuori della First Division. Con lui debuttano altri cinque (tra cui Trevor Brooking) nell’ultima partita del Ct Alf Ramsey, il manager campione del mondo nel 1966. Colonna dell’Inghilterra di Ron Greenwood, conterà 4 gol e 65 presenze fino alla vigilia dei Mondiali 1982, a 35 anni. L'ultima, l’1-1 in amichevole con l’Islanda forse gli costa il posto nei 22 per la Spagna.

Ha già 14 caps invece, nel giugno 1975, quando, per 275.000 sterline (175.000 cash più il cartellino di Jeff Clarke) e sei anni di contratto, il Manchester City lo chiama in First Division. Alla prima stagione arriva ottavo in campionato e vince la League Cup: 2-1 sul Newcastle United, decisive le reti di Peter Barnes e Dennis Tueart, inutile quella di Alan Gowling.

Nell’autunno 1975, comincia un calvario di guai alla schiena risolti con una laminectomia il maggio successivo. In assenza di Watson, il nuovo Ct Don Revie chiama altri centrali come Phil Thompson del Liverpool e il precoce Brian Greenhoff del Manchester United. In convalescenza post-intervento, non può entrare tra i papabili per il Torneo del Bicentenario degli Stati Uniti, dove avrebbe avuto come compagno Bobby Moore e avversario Pelé, allora entrambi nella NASL, la lega professionistica nordamericana. Saltate anche tre gare di qualificazione per il Mondiale di Argentina 1978, rientra a tempo pieno nel 1976-77, col City secondo in First Division, a un punto dal Liverpool campione. E la magra consolazione di un record imbattuto al club: solo tre sconfitte, contro le prime in classifica. 

Titolare nelle sue quattro stagioni al club del Maine Road, nel 1979 transita per sei mesi al Werder Brema prima di rientrare in Football League, al Southampton, dove arriva in ottobre per 200.000 sterline. 

Dopo due stagioni e mezza al “the Dell”, la breve e non memorabile parentesi allo Stoke City. Lasciato libero per via di una tournée in Sud Africa non autorizzata, e poi comunque annullata, alla fine firma per i Vancouver Whitecaps della NASL. 

Una stagione al Derby County (che retrocede dalla Second alla Third Division), un’altra in America ai Fort Lauderdale Sun campioni nella seconda divisione della United Soccer League e l’ultima al Notts County (altra discesa dalla seconda alla terza divisione) prima di chiudere in non-League al Kettering Town.

Tornato nelle Midlands, vive appena fuori Nottingham, a West Bridgford, dove ha messo su una società di marketing, la Dave Watson International. Finale quasi obbligato per uno che, in campo e fuori, ha sempre saputo vendersi. E bene.

Christian Giordano, Indiscreto.it

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