White Chocolate: Jason Williams e la traccia della cultura Hip-Hop
Di: Nicolò Ciuppani
PROLOGO
È iniziato tutto in modo piacevolmente innocuo, con un addetto stampa che chiede ad un rookie se ha già un soprannome.
"Che ne dici di White Chocolate?"
Stephanie Shepard doveva completare una brochure di inizio stagione per i Sacramento Kings e a un tratto saltò fuori questa cosa. Jason Williams rise.
Lui è bianco, il suo gioco è stato definito "sweet". Perché no?
"Il soprannome mi è venuto in mente" spiega Stephanie, che è nera "per il suo stile: ha visioni e stile pazzeschi. Il modo in cui tratta la palla è per me incredibile. Mi ricorda gli street-ballers che giocano nei campetti di Chicago. A parte qualche filmato che ho visto di Pete Maravich non ho mai visto nessun bianco giocare come Williams. Sì, John Stockton è fenomenale a modo suo. Ma Jason ha quella cosa che hanno tutti i ragazzini che giocano in cortile".
La cosa non piaceva molto ai dirigenti dei Kings che la vedevano troppo incline ad una nota aspramente razzista. Lanciarono un sondaggio per un soprannome alternativo e venne fuori "Thrilla in Vanilla".
Fu palese per tutti che White Chocolate era il soprannome perfetto.
Da quel punto in poi il fenomeno del playmaker spettacolare con il taglio di capelli imbarazzante e il soprannome-non-molto-sottile prese il volo. E quel fenomeno iniziò il proprio contropiede personale contro gli stereotipi.
L'INFANZIA
“Sono entrato nella scena hip-hop per cambiare la mia vita. Io vengo dalla strada e quindi sono stato in grado di effettuare un cambiamento. Penso che sia sbagliato quando hai dei figli che vogliono entrare nell’hip-hop per fare i cattivi. La maggior parte delle persone che vivono nelle strade vogliono solo una vita migliore. Una cosa che mette in cattiva luce l’hip-hop sono i ragazzini che idolatrano il suo lato oscuro perché non hanno mai vissuto in quel modo. Quei ragazzini là fuori nel mondo vero non capiscono questa cosa e decidono così di glorificarla.”
- Master P
Belle, West Virginia
Belle è l'ultima città d'America in diverse classifiche. Più che altro la si può definire come un villaggio di minatori di carbone, una pratica sistemazione notturna tra un turno e l'altro. Ma nonostante il parere discordante del Poeta, quel cumulo di carbonio ha dato vita ad un'amicizia che, se vista oggi, farebbe la felicità di complotti virtuali sul merchandising.
Jason Williams e Randy Moss crescono insieme, due campagnoli in una città di minatori. Un bianco e un nero, che resteranno per sempre fedeli alle loro origini nel bene e nel male, che faranno fortuna nello sport professionistico, la NBA per Jason e la NFL per Randy, e che si ritireranno a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro. Una delle storie più ghiotte per la realizzazione di uno dei migliori spot di sempre.
All'epoca la loro amicizia viene condivisa nell'ormai defunto liceo di DuPont. Sono i giocatori più talentuosi che portano la loro squadra di basket nella finale statale, perdendola. J-Will è eletto miglior giocatore della Virginia occidentale e attira su di se le attenzioni di alcuni College.
La carriera universitaria del nostro è un continuo alternarsi di problemi e spettacolo. Si promette a Providence ma rimangia la parola data quando il coach Rick Barnes lascia l'università per allenare Clemson. Decide così di giocare per la Marshall University dove conosce il coach Billy Donovan, il suo mentore. Costretto a saltare l'intera prima stagione per infortunio, mette su ottime cifre al suo esordio. Nel '96 Billy Donovan ottiene il posto di allenatore di Florida e J-Will lo segue per diventare uno dei suoi Gators. Il trasferimento lo costringe a saltare un intero anno ma una volta potuta indossare la canotta blu ci vuole un attimo a far esplodere il fenomeno. 17 punti, 7 assist e 3 rubate a partita, guarniti con un record di Florida per assist in singola gara (17) e il clamoroso upset sulla favorita Kentucky. Poi di nuovo giù con i problemi. L'università lo sospende nel febbraio del '98 per uso di marijuana dopo averlo già sanzionato due volte durante l'anno. Nonostante il polverone alzato Williams molla l'università, non è più tempo di fare lo studente. Torna a Belle dove cercherà proposte per il futuro. E la proposta arriva.
Settima chiamata assoluta, draft 1998, i Sacramento Kings non lo lasciano andare più giù di così.
LA GIOVINEZZA
“Beh, il rap e direi tutta la cultura hip-hop offrono ai giovani ragazzi bianchi un senso di ribellione, libertà, maschilismo, coraggio. Questo è quello che provi quando vedi 50 Cent o Snoop Dogg o qualcuno in televisione sbattersene della legge e fare quello che fa”
“Nessuno vede feccia o criminali. Vedono il coraggio. Vedono la loro opportunità di uscire fuori ed essere ribelli attraverso la musica. Come una specie di videogame. È come sfogarsi con un gioco violento alla PlayStation”
- KRS-One
It’s the edge of the world And all of western civilization
The sun may rise in the East
At least it settles in the final location
It’s understood that Hollywood sells Californication
- Red Hot Chilli Peppers, Californication
Sacramento, California
La California è il centro del mondo. Nel 1999 i Red Hot Chilli Peppers riabbracciano il loro chitarrista John Frusciante e rilasciano il loro album di maggior successo: Californication. Oltre ai soliti innuendo di natura sessuale, il disco apre ad una fetta di pubblico alcune tematiche che nel mondo della musica esistevano solo per alcune etnie: lussuria, morte, istinti suicidi, globalizzazione e fuga. I Lakers di Phil Jackson si apprestano al loro periodo di dominio guidati da Shaquille O'Neal. Dr.Dre ritorna nelle scene con i suoi album più redditizi che globalizzano definitivamente la scena gangsta-rap. E i Sacramento Kings stanno per apparire per la prima volta sulla copertina di Sports Illustrated:
Rick Adelman che aveva richiesto per la sua squadra degli specialisti offensivi è stato ricompensato immediatamente dalla dirigenza. Il roster dei Kings accoglie numerose facce nuove. Vlade Divac, l'amico di Petrovic, quel lungo europeo che aveva allungato la vita dello Showtime di Los Angeles assieme a Magic Johnson. Peja Stojakovic, e vi assicuro che nessuno al mondo ha mai visto un corpo di quelle dimensioni rilasciare la palla così fluidamente dietro quella campana oltre i 7 metri e venticinque. Chris Webber, quell'oggetto misterioso in grado di dominare atleticamente e di impugnare la palla con una mano sola come faceva Connie Hawkins.
E poi c'è quel rookie, quel ragazzino bianco con un taglio di capelli pietoso e dei tatuaggi orrendi sulle braccia. Passa tutto il tempo a saltellare per il campo come un maledettissimo coniglio. Ogni volta a far rimbalzare la palla tra le gambe e dietro la schiena, ogni volta che la passa guardando dalla parte opposta. Sembra quasi incapace di fare un passaggio dal petto. Inoltre ha quella maledetta abitudine di saltare e di cambiare idea durante il salto due-tre volte prima di fare la cosa nettamente più rischiosa e spettacolare.
L'ho già detto che è maledettamente divertente? È la cosa più elettrizzante che si vede in un campo da basket da parecchi anni a questa parte. I paragoni con Pistol Pete viaggiano veloci come pallottole, così come l'interesse verso questo fenomeno da parte di bianchi e neri di tutto il mondo. Ci vorrebbe qualcosa per renderlo davvero "nasty", per farlo apprezzare da tutto il mondo e riconoscergli come White Chocolate il suo soprannome. Una cosa impensabile per il ragazzino più bianco del mondo, una cosa come un crossover in faccia a Gary Payton.
La maglietta con il numero 55 polverizza le vendite mondiali, va via come un disco di Dr.Dre. Serve giusto un gesto, una mossa, qualcosa che i ragazzini di tutto il mondo con la canotta 55 sulle spalle provino a fare al campetto per i prossimi 20 anni. Come un tempo tutti provavano ad imitare il gancio di Kareem o i passaggi no-look di Magic. Qualcosa di folle, spericolato, divertente. Qualcosa come questo: “L’ho fatto così che nessuno di voi mi chieda mai più di mostrarglielo di nuovo”
All'inizio di quella serata i giornalisti scherzano con lui sul fatto che forse non sa nemmeno come fare un passaggio dal petto e Jason fa di tutto per dar loro ragione.
Genio e moltissima sregolatezza: la sua giovinezza ai Sacramento Kings.
L'ADOLESCENZA
“Credo che i genitori vogliano capire perché i loro figli stanno in camera ad ascoltare Eminem. È la stessa cosa dei tempi di 'Non guardare Elvis su Ed Sullivan Show perché non mi piace come muove il suo bacino'. È semplicemente una generazione differente. E credo che sia proprio questo il motivo del perché i bambini lo amano: perché ai loro parenti non piace e perché non lo capiscono. I genitori non capiscono nemmeno cosa dicano la maggior parti delle canzoni hip-hop ed è una cosa che i ragazzini possono tenere per sé”
- Erica Kennedy
È fatta. Il ragazzino è pronto per essere venduto a tutti, ormai potrebbe dire a tutto il mondo cosa fare e il mondo lo farebbe. I Kings arrivano ai playoff dove incontrano la corazzata Utah di Stockton-to-Malone. Giocano tutte le 5 gare della serie perdendo la decisiva a testa alta. Ma qualcosa non va.
White Chocolate è esaltante anche ai playoff, la squadra gira a meraviglia, però il suo modo di giocare è estremamente rischioso. Ogni volta che passa la palla dietro alla schiena potenzialmente espone la sua squadra ad un contropiede avversario, un rischio che Adelman non è disposto a correre. Jason viene mandato in panchina per quasi tutti gli ultimi quarti di ogni gara, con la faccia piena di rabbia assiste ai suoi compagni di squadra arrivare vicini all'obiettivo grosso senza mai avere le speranze di centrarlo davvero.
"È il giocatore più sopravvalutato del mondo per tutta la fanfara che gli hanno fatto attorno l'anno scorso. Era eccitante ed ammetto che amavo guardarlo giocare e fare quelle sue robe, ma mi farebbe impazzire se fossi il suo coach"
Il pensiero di Danny Ainge, al tempo allenatore dei Phoenix Suns, è quello di tutti i puristi del gioco e di tutti i rappresentanti della vecchia scuola. Perfino all'ARCO arena, che lo adora, arrivano i primi brontolii quando il nostro scaglia una tripla prima che metà della sua squadra abbia superato la metà campo o quando sdraia il bibitaro in tribuna con una pallonata che doveva essere un passaggio dietro la testa.
E la cosa prosegue anche negli anni seguenti fino a quando i Kings fanno la scelta più saggia ed impopolare.
Il gioco di J-Will è spettacolare ma non può portarti a vincere. Per di più se hai due Mozart del post come Vlade e C-Webb non puoi limitare il loro potenziale. Ceduto. Scambiato per Mike Bibby, un giocatore molto più concreto, molto più affidabile. I Grizzlies si stanno trasferendo da Vancouver a Memphis e il loro biglietto da visita per il nuovo pubblico è White Chocolate.
Memphis, Tennessee
Take me to another place
Take me to another land
Make me forget all that hurts me
Let me understand your plan
- Arrested Development, Tennessee
Memphis è la terra di Elvis. “He talks like he plays” dicevano al tempo del Re ed è una cosa che si può dire anche oggi di Jason Williams.
“Non mi importa di finire nei guai, voglio dire quello che voglio chiaro? Non ho paura di nessuno. Facciamo schifo. Sì è così: facciamo schifo. Questa è la realtà. Non siamo per nulla una buona squadra. Siamo la peggior squadra della lega. Se qualcuno pensa di essere il peggio noi siamo peggio di loro.”
Sidney Lowe (allenatore) e Dick Versace (GM) sono i diretti responsabili di quello sfacelo di squadra che risponde al nome di Grizzlies. Ma le dichiarazioni del nostro non vengono punite, anzi difese. Apprezzano il fatto che J-Will non ti dia la risposta che vuoi sentire, non fa quello che vuoi che faccia. Ti dice quello che pensa e fa quello che vuole. Sono le parole di due persone che perderanno la loro poltrona in brevissimo tempo.
L'ETA' ADULTA
“È diventato underground contro commerciale, e ci hanno messo in una scatola a me e Mos Def e a un sacco di altri artisti. E avreste visto la scritta ‘underground’ e ‘socialmente impegnato’ davanti ai nostri nomi come un prefisso, ma era una roba come parlare a bocca chiusa. Suonava un po’ come ‘Quella roba ricercata di strada’. Capisci cosa voglio dire? Non veniva detto in modo totalmente rispettoso e allo stesso tempo la gente parlava male del gangsta rap senza capire davvero quali fossero le sue radici. Ma la maggior parte dei dischi hip-hop sono comprati da ragazzini bianchi.”
- Talib Kweli
Nel 2002 subentra come general manager il signor logo in persona: Jerry West che porta con sé per ricoprire il ruolo di allenatore Hubie Brown.
Hubie è uno della vecchia scuola, uno di quei personaggi vecchi che fanno le cose a modo loro, ma che conosce la pallacanestro come pochissime menti al mondo. La scelta del vecchio Brown rende perplesse molte persone: al tempo infatti è l'allenatore più vecchio della NBA a 69 anni e deve cercare di mettere ordine ad un roster con Bonzi Wells e James Posey, oltre al nostro. Sotto di lui i Grizzlies migliorano il loro record in due stagioni consecutive arrivando perfino ai playoff. Una cosa impensabile per i Bobcats dell'epoca.
I Grizzlies cambiano stile di gioco mentre Williams cambia stile di vita. Mette su famiglia con un ex compagna di università, passa molto tempo a casa coi figli, rinuncia alla maggior parte dei passaggi spettacolari in campo. Resta sempre attaccato allo stile della strada ma non è più il giocatore di soli istinti che aveva fatto innamorare il mondo. La sua leadership nella squadra diventa vocale e caratteriale più che tecnica. Tutto sommato la sua traccia su Memphis è stata molto diversa da quella che i proprietari si aspettavano, ma n0n per questo meno significativa. Il suo rapporto con Brown è sterile, asettico. I due quasi si ignorano per tutto il tempo mentre Hubie cerca di costruire la squadra attorno al giovane Pau Gasol. J-Will deve cambiare modo di giocare per non limitare i suoi minuti in campo (e quindi la sua busta paga) a causa della ferrea rotazione a 10 uomini che il coach di Memphis impone. Non se ne rende conto ma la sua maturazione è finalmente conclusa.
Nel 2005 entra a far parte della più grande trade della storia della NBA che vede cambiare maglia a 13 giocatori simultaneamente. Assieme a James Posey approda a Miami alla corte di Pat Riley.
LA SENILITA'
Sometimes my mouth just overloads the acid I don’t got
But I’ve learned, it’s time for me to U-turn
Yo it only takes one time for me to get burned
- Eminem, 8 Mile
Miami, Florida
La Florida è ormai diventata la seconda casa del nostro. Dopo averla vissuta da fenomeno universitario e dopo l'acquisto della casa ad Orlando (fianco a fianco con Shaquille O'Neal in persona), Jason Williams trova negli Heat il trampolino di lancio per il successo.
Pat Riley è un sergente di ferro, ligio alle regole e al rispetto del corpo. Shaq è l'anima scanzonata della squadra, il leader emotivo, l'unico che aveva vinto e che sapeva come fare. E poi c'era Flash, Dwyane Wade, il ragazzino che stava diventando una stella ad una velocità tale da far girare la testa a chiunque.
A discapito di qualunque previsione J-Will si inserisce in punta di piedi negli ingranaggi degli Heat. Ormai è un role player affidabile, un giocatore disciplinato. Quello è per lui l'ambiente ideale. Ha bisogno di stare sotto controllo per evitare di perdere la fiducia di Riley, che variava come il suo umore, ma poteva godersi la vita e gli amici di squadra fianco a fianco con Shaq e gli altri veterani. C'erano persino Antoine Walker e Gary Payton, quello che umiliò il suo anno da rookie.
La cosa curiosa è che nessuno si ricorda davvero quanto fu prezioso il suo contributo nella cavalcata al titolo del 2006. Nella decisiva gara-6 con i Pistons mette a referto 20 punti con un 10/11 dal campo. Il suo rapporto assist/palle perse viaggiava a livelli elitari, ai primi posti della NBA. E anche con i Chicago Bulls è praticamente il motore della squadra in grado di decidere quando forzare la mano e quando rallentare e far andare ogni pezzo al posto giusto prima di dare gas.
In pratica il nostro è passato da sconosciuto a sopravvalutato a sottovalutato nel giro di pochissimi anni.
Il tempo lo ha portato ad essere uno dei playmaker più ordinati del panorama mondiale e la maggior parte della sua carriera l’ha trascorsa da rispettabile veterano,. ma nessuno lo ricorderà mai per queste cose.
Anche dopo il primo ritiro, quando è andato a giocare per i Magic o in Cina, le cose che ha fatto non possono scalfire minimamente il suo ricordo.
Per noi sarà sempre 'White Chocolate', il ragazzino col taglio di capelli ridicolo che passava la palla col gomito per il puro spettacolo. Ripeto: questo non è ciò che Jason è stato davvero sul campo, ma è il modo in cui in ogni caso verrà ricordato.
A volte, nonostante tutto, un giocatore viene ricordato per quei momenti di gioia che ci ha donato più che per i risultati sportivi che ha raggiunto nel corso della carriera. I traguardi sono davvero importanti solo nel momento in cui sono serviti a creare una leggenda.
“Ormai l’Hip-Hop è un fenomeno mondiale, è su tutte le pubblicità, ovunque vai nel mondo. E poi una cosa che ho notato è che siamo responsabili per assottigliare le distanze del razzismo. I miei nipoti, che hanno tipo dai 10 ai 15 anni, non guardano al discorso bianchi/neri come lo facciamo tu ed io. È diverso. Lo guardano come ‘Cosa state pensando? Chi se ne frega?’. E questo è grazie all’hip-hop, grazie a MTV che lo trasmette. BET trasmette video di bianchi e neri. Ed è una cosa bellissima da vedere proprio per la cultura.”
- Heavy D
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