Pechino 2008, giro di BOA

VENERDÌ 15 FEBBRAIO 2008

Il comitato olimpico britannico ha reso noto oggi di "non avere intenzione di imbavagliare" i propri atleti durante i Giochi di Pechino 2008. Ieri la stessa British Olympic Association (BOA), il comitato olimpico d'oltremanica, aveva annunciato l'esistenza di una clausola contrattuale che avrebbe proibito ai membri della squadra olimpica britannica di esprimere opinioni politiche, con la parola o attraverso qualsiasi altro atto, durante le suddette Olimpiadi.
"Chiaramente le istruzioni sono state male interpretate e riconosciamo che erano aperte ad interpretazioni inesatte", ha dichiarato oggi Grahan Newsom, portavoce del BOA: "Non c'è l'intenzione di imbavagliare nessuno. Stiamo cercando di riflettere quanto inserito nella Carta Olimpica", ha aggiunto Newsom.
Simon Clegg, amministratore delegato del BOA, ha ammesso un eccesso di zelo nell'interpretazione della Carta Olimpica. "Non è nostra intenzione limitare la libertà di parola degli atleti", ha spiegato il dirigente, "e l'accordo finale rifletterà tale proposito".
Nonostante il chiarimento appaia come un passo indietro da parte del comitato olimpico britannico, Newsom ha assicurato che l'ordine del bavaglio non è mai partito. "La realtà è che, storicamente, abbiamo sempre avuto punti di vista molto forti e indipendenti", ha detto il portavoce, "siamo del tutto diversi dal governo. Non riceviamo finanziamenti governativi e ci formiamo autonomamente i nostri pareri".
Il BOA ha inviato ai propri atleti una serie di istruzioni tese a far rispettare il regolamento dei Giochi, approvato dal CIO, in merito al divieto di commenti di tenore politico, religioso o razziale all'interno delle sedi ufficiali delle Olimpiadi di Pechino 2008. Newsom ha affermato che simili direttive sono in vigore da almeno vent'anni.
La repentina virata della BOA è giunta dunque meno di 24 ore dopo la rivelazione fatta dal domenicale inglese Mail on Sunday, venuto a conoscenza dell'esistenza della controversa clausola. Inserita nel contratto imposto come condizione agli atleti britannici selezionati per i prossimi Giochi, era stata pensata come una promessa scritta di non criticare il paese ospitante le Olimpiadi 2008. Un silenzio obbligatorio, pena l'esclusione dai Giochi, richiesto al fine di evitare incidenti diplomatici e relativi imbarazzi internazionali.
Immediate le proteste di numerosi di politici e attivisti. Nick Clegg, leader dei liberaldemocratici, ha accusato il comitato olimpico di abdicare di fronte alle "responsabilità morali", mentre anche il ministro-ombra alla Cultura, Jeremy Hunt, ha definito l'iniziativa "un eccesso di zelo". Altrettanto dure le prese di posizione di organizzazioni quali Liberty ("Mettere la museruola agli atleti sarebbe anti-britannico oltre che anti-olimpico") e di Amnesty International. "La gente in Cina non può denunciare il non rispetto dei diritti umani per paura di repressioni - le parole di Tim Hancock - Spetta a ciascuno di noi decidere che cosa dire, lo stesso vale per gli atleti".
Critiche di fronte alle quali la BOA, inizialmente preoccupata che gli atleti sfruttassero la cassa di risonanza olimpica per lanciare messaggi politici, è stata così costretta a tornare sui propri passi. Pur ribadendo che non c'era intenzione censoria, il direttore generale Simon Clegg ha annunciato una revisione del 'contratto' con gli atleti. "Accetto che l'interpretazione di una parte dell'accordo tra la BOA e la squadra atleti sembra aver superato le condizioni richieste dal Comitato Olimpico - ha dichiarato Clegg - Non era nostra intenzione restringere le libertà degli atleti, e la revisione dell'accordo lo dimostrerà".
Come la Gran Bretagna altre nazioni (in particolare Belgio e Nuova Zelanda) hanno chiuso la bocca ai propri atleti, diversamente da Paesi quali Stati Uniti, Australia e Canada, che hanno deciso di non limitare la libertà di parola ai propri convocati. Un'iniziativa, quella britannica, ancor più stupefacente se si considera che lo stesso principe Carlo, erede al trono, in più di una occasione non ha esitato a criticare apertamente la Cina, in particolare per l'annessione del Tibet, e in più ha già ufficializzato la propria polemica assenza a Pechino per io Giochi del prossimo agosto.


QUI BELGIO
A gennaio il Comitato Olimpico belga aveva annunciato che gli atleti della propria delegazione non potranno toccare temi legati ai diritti umani o alla politica in alcuna delle strutture griffate "Beijing 2008", dal Villaggio Olimpico agli impianti di gara, passando per mense e centri-stampa. Una volta fuori dalla "bolla" olimpica, i membri della spedizione belga potranno esprimersi liberamente purché per trattare temi "rilevanti a livello personale". "Neanche un partecipante ai Giochi avrà il permesso di esprimere un'opinione politica nelle sedi Olimpiche", aveva fatto sapere in una nota il Comitato belga. Le limitazioni della libertà decise dal Comitato Olimpico belga si estenderanno anche a qualsiasi simbolo di protesta contro la situazione dei diritti umani in Cina. Il comitato belga si era detto "profondamente convinto che i Giochi avranno una influenza positiva sullo sviluppo sociale di un Paese come la Cina".
L'annuncio del Comitato Olimpico belga era arrivato a 24 ore dall'incontro tra il presidente del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), il belga Jacques Rogge, e il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. In occasione della visita di Ban Ki-moon a Losanna, Rogge aveva garantito l'appoggio della comunità olimpica e sportiva internazionale agli sforzi dell'ONU in diverse questioni di interesse globale. Nel corso dell'incontro era stato toccato anche il tema delle Olimpiadi di Pechino. Rogge e Ban Ki-moon avevano discusso dei positivi effetti che i Giochi potranno avere sullo sviluppo sociale ed economico della Cina, portando ad esempio la svolta socioeconomica impressa alla Corea del Sud dalle Olimpiadi di Seul 1988.
CHRISTIAN GIORDANO

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