Azeglio Vicini (1933-2018)


La nazionale più bella. La più simpatica. La più seguita. Quella che non ha vinto, sì, ma come giocava. Notti magiche, inseguendo un gol. Quello decisivo è sempre mancato sul più bello. Sempre ai rigori. Con lui, per la prima volta, "maledetti". In finale a Euro '86 con la Spagna Under 21 di Luis Suarez, all'unico successo da allenatore. In semifinale contro l'Argentina di Maradona, capopopolo per una volta "spaccanapoli". In un Mondiale, Italia 90, che non si poteva perdere. E che invece chiudemmo al terzo posto davanti all'Inghilterra.

Tempi lontani, quelli di Vicini. Dopo il disastro di Messico 86, il suo quinto Mondiale da vice, subentrò allo stanco Bearzot. Promosse il blocco della Under senza perderne l'incanto: Zenga, Bergomi, Maldini e Ferri; De Napoli, Donadoni e Giannini; e là davanti Mancini & Vialli. I "Gemelli del gol che funzionavano alla Samp, meno in azzurro. Poi, Baggio & Schillaci.

Don Azeglio, il "del Bosque" italiano. I campioni li gestiva, defilandosi. Saggezza antica. Di provincia. Romagnolo purosangue, ma l'esatto opposto di quello che gli sarebbe succeduto. Fatale fu il palo di Rizzitelli contro l'URSS. A noi costò l'accesso a Euro '92, al presidente federale Matarrese un Sacchi di soldi. E a lui la panchina.

La sua stella s'era spenta su quell'uscita di Zenga su Caniggia. Era l'alba di un nuovo calcio. Dal Ct federale a quelli di club. Ma la nazionale più bella, la più simpatica, la più seguita è ancora la sua. E chissà fino a quando lo resterà. 
Ciao, Mister.
PER SKY SPORT 24, CHRISTIAN GIORDANO

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