Sanremo, la superbeffa di Mario Beccia


Sono due i corridori trevigiani ad aver pagato un conto salato alla Classica di Primavera. Anche Adriano Durante...

di Antonio Frigo, 15 marzo 2013

«Mario, non ti resta che l’amore», cantava quel geniaccio di Iannacci, esperto in “buoni” e “troooppobuoni”. Siccome i cantautori hanno sempre dedicato canzoni ai vincenti del calcio (qui al peggio hanno cantato i mediani) e del ciclismo, questa storia s’ha ancora da musicare.

A Mario Beccia, settimo alla Milano-Sanremo 1979, non restò che la rabbia. Ma, siccome era ed è una persona gentile e molto ammodo, Mario se la rosicò e, qualche anno dopo, arrivando quarto invece che settimo, provò a lenire quel dolore. Niente da fare: terzo o settimo non è la stessa cosa, ma anche primo o quarto. E siccome i ciclisti son gente strana, invece di tenersi a casa, come ricordo di quegli anni bellissimi, la bicicletta della Freccia Vallone del 1982, classica del Nord vinta con puntiglio e coraggio, o quella del terzo posto della Classicissima 1979, in rastrelliera Mario tiene ancora la bicicletta dell’anno più amaro.

«Chissà perché, ma ho tenuto proprio quella bici», racconta oggi Mario. «Ci ho pensato solo dopo, che era quella della beffa della Sanremo».

Come andò quella volta?
«La corsa si era mossa, come spesso è capitato, a un chilometro dalla vetta del Poggio, dove c’è un dentino con curva che favorisce gli affondi. C’era un terzetto, formato da Raas, Vandenbrouke e Willems in testa e vi si agganciarono in 12, tra i quali De Vlaeminck, Moser, Saronni, Knetemann , Zoetemelk, Hinault, Pollentier e io. Terminata la discesa, Saronni provò l’allungo, ma Raas e Moser lo presero. Mentre gl altri si guardavano in faccia, all’ultimo chilometro partii io in contropiede: Mario Beccia. Alle mie spalle Moser lanciò la volata, De Vlaeminck, che non lo amava, lo saltò a velocità doppia e me li trovai tutti addosso ai 70 metri. Primo arrivò Roger, secondo Saronni, terzo Knudsen. Io... nel mucchio, settimo e scornato. Ci rimasi male, un male da cani. La Sanremo: ero arrivato a toccarla con un dito e... niente da fare».

Brava persona, Mario. Troppo buona, dicono tutti con rammarico, quasi fosse una colpa. «Non so essere diverso da così, ma è bello prendere sonno serenamente. Sarebbe bastata un po’ di cattiveria? No, ci vuole anche la fortuna”, racconta ancora.

«Nel 1986 ci provai in un altro modo, e andò un po’ meglio ma non quando doveva e poteva. E comunque restai fuori dal podio per un pelo: scattai a metà salita e su una curva mi trovai davanti una schiera di fotografi. Mancò poco che dovessi mettere il piede a terra e comunque il ritmo era spezzato. Mi raggiunsero LeMond e Kelly. Io ero anche un po’ veloce, ma con quella... roba lì non c’era da scherzare, anche perché entrò pure Saronni. Infatti arrivai quarto e a quel punto me la misi via. La grande occasione, comunque, era stata l’altra, perché il contropiede è spesso premiato. Ogni tanto mi capita di riguardarla, quella bicicletta». E l’amarezza non è passata. La gente è migliore dei cantautori e, quando a Ciano del Montello, in una serata di musica e racconti, Beccia ha raccontato la storia della bici della Sanremo della pegola, è scattato l’applauso.

La raccontava in altro modo, dandosi le arie di chi aveva rivelato un genio della bici al mondo (Merckx) un altro trevigiano che s’era mangiato la Milano-Sanremo a fil di traguardo, Adriano Durante, ex gregario di Gimondi in Salvarani. Proprio con la maglia dei mobilieri, Durante aveva quasi raggiunto il traguardo della Classicissima quando fu rimontato e saltato via dal giovanissimo belga destinato a diventare il Cannibale delle due ruote.

Siccome la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo, a Durante toccò anche la beffa di un secondo posto, alle spalle di Sels, al Giro delle Fiandre.

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